La
Illumination Entertainment (proprietà Universal) ha avuto un
meritato successo con Cattivissimo me,
e ha imposto i Minions fra le figure più amate dell'animazione e del
merchandising; anche
se, come mostra il film omonimo,
in veste di protagonisti i
Minions sembrano reggere solo
nella
dimensione del cortometraggio. Come
che sia, la
I. E. è
ben lontana dal raggiungere la grandezza,
diciamo, della Pixar.
Ragion
di più per salutare un
suo ritorno alla grande col
bellissimo Pets – Vita da
animali (The Secret
Life of Pets),
di Chris
Renaud e Yarrow Cheney, che è superiore
anche a Cattivissimo me
e segna il capolavoro a
tutt'oggi della ditta.
Aggiungo
subito che è consigliabile
vederlo
in 3D: un
3D
bellissimo (senza fare
spoiler,
dirò che il momento migliore è connesso alle bisce),
esaltato nella doppia
declinazione dell'oggetto che si protende verso lo spettatore e
dell'oggetto che entra in campo dal lato della mdp, “sopra la testa
dello spettatore”, come per
esempio un pittorico
volo
d'uccelli.
New York è accarezzata dallo
sguardo del film con una tale
adesione, un calore alla Woody Allen, che questo film può
entrare a far parte dei classici sulla Grande Mela, anche se la
vicenda potrebbe svolgersi in qualsiasi
metropoli occidentale… forse. Forse, perché c'è nei suoi pelosi
personaggi una certa brusca
saggezza streetwise,
un certo cinismo urbano,
che appare assolutamente
newyorkese (devo precisare
che non ho visto la versione doppiata, e spero renda merito
all'originale).
Il
concetto base è che quando noi umani lasciamo i nostri animali da
soli (e la loro grande domanda esistenziale è “Dove
vanno tutto il giorno?”)
loro vivono una vita segreta che non ci immaginiamo; evadono dalle
case, organizzano party, mettono
musica rock sull'impianto
stereo, guardano in tv la telenovela latinoamericana – e qui la
cagnetta traduce in forma
canina, come girare
su se stessa per
l'eccitazione, le tipiche
reazioni delle
telespettatrici.
Il
protagonista, il terrier Max,
ha una brutta sorpresa quando la padrona gli porta in casa Duke,
un cagnone enorme che all'inizio sembra amichevole ma poi si rivela
un prepotente; il maldestro tentativo di Max
di liberarsi dell'intruso mette in moto il film. Deliziosa, per
inciso, l'idea di
una slurpata di amicizia di
Duke
che, essendo in soggettiva, lascia una
traccia di saliva
sull'obiettivo della mdp. Ovvero,
quello che in passato sarebbe stato un errore e oggi ha un semplice
valore retorico
(pensiamo agli spruzzi di sangue sulla
mdp in tanti film) qui
viene replicato come disegno,
cioè come strizzata d'occhio allo
spettatore: meta-cartoon.
I
due cani finiscono in un mare
di guai, comprendenti l'incontro con una
memorabile accolita di animali
rivoluzionari capitanati
da un coniglio psicopatico. Sono gli “sciacquonati”, gli ex pets
di cui i padroni si sono liberati – e sì, c'è
pure il coccodrillo buttato
via da piccolo nello sciacquone e
cresciuto nelle fogne, come vuole la
leggenda metropolitana
americana.
La
moralità e la mitologia rivoluzionaria di questi reietti
sono
delineate
con minuzioso umorismo (“pet”
e “padrone” sono per loro
il peggiore degli insulti).
Il
cuore del film, il suo punto nodale,
è la
descrizione di una cultura altra
che è quella degli animali. Qui
val la pena di ricordare il raffinato
uso dell'anacronismo concettuale
che rende esilarante
il romanzo
Il più grande uomo scimmia del Pleistocene
di Roy Lewis, col
suo trapassare istantaneo tra ignoranza
e conoscenza, tra la mente
dell'ominide e
quella dell'uomo
colto contemporaneo. In
Pets troviamo
qualcosa di molto simile. Perché queste
bestiole hanno una loro
cultura “ad altezza di animale”, ma in essa si inseriscono
concetti complessi. Esempio,
l'amica gatta parla con
sarcasmo di “cane alfa”;
oppure, i due cani sanno di
discendere dai lupi, quasi avessero letto Konrad Lorenz, ma di fronte
alle
difficoltà nell'orientarsi si chiedono se non sia una leggenda. La
comicità nasce dalla
contraddizione tra la “cultura animale” con le sue incomprensioni
– lo “sguardo dal basso” – e il bagaglio concettuale alto che
vi spunta.
Non è
una novità, certo, ma non
ricordo altri casi nel cinema scritti così bene.
Sul
piano del dialogo, Pets
è una screwball comedy.
Sul piano dell'azione, è un vero rollercoaster
avventuroso, con un ottimo
uso dei tempi, molto mosso –
dove è
assai presente la
paura dell'acqua, di annegare. Non
manca un intermezzo di tipo
fantastico, il sogno canino
di un musical di salsicce viventi, tra
Busby Berkeley ed Esther Williams. Mentre
una pagina alta mette in
relazione la ricerca dell'antico padrone di Duke
con l'esitazione che tutti
proviamo davanti ai rapporti
sentimentali –
col che
ci fa capire poeticamente
qualcosa.
Basta
quanto detto per capire
che il film si basa su un
umorismo a molti livelli. Da
quello facile da comprendere
per i bambini, lo splastick
immediato o certe semplici
situazioni (la vergogna della
gatta quando, filmata dagli
animali dopo essersi sporcata
di cibo a un party,
si ritrova su YouTube – e qui umani e animali guardano gli
schermi e ridono
allo stesso modo), si passa
ai vari livelli di
complessità dello humour verbale, fino alle
citazioni cinefile
che passano sopra la testa
dei bambini per deliziare gli spettatori adulti (niente
spoiler, ma la più bella è
quando viene riciclata a
bell'effetto una delle battute più celebri del cinema americano).
E
a costo di scocciare l'addetto alle pulizie che compare implacabile
nei multisala appena compaiono i titoli di coda… restate per tutta
la durata dei titoli, in modo da godervi l'episodietto post-credits!
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