Morte
di una formica. Subito dopo lo spietato prologo (su un'altra ragazza)
che apre il bellissimo It Follows di David Robert Mitchell,
vediamo la protagonista Jay immersa nell'acqua della piscina, che si
accorge di avere una formica sul braccio. E cosa potrebbe fare?
Nuotare fino al bordo con un braccio solo per tenerla fuori
dall'acqua? Comunque, neanche ci pensa: immerge il braccio e
l'annega. Così per la formica Jay è un indifferente dio
della morte – esattamente come quella creatura lenta e neutra (It),
muta e come priva d'emozione, che nel film uccide i giovani con una atroce “gratuità” che conosciamo specialmente dall'horror
orientale. Come la ragazza del prologo (il cui cadavere contorto
sembra proprio una formica schiacciata). Non siamo tutti come
formiche per questa forza inconoscibile? Non sembra esserci odio
nella sua impenetrabilità, non mostra emozione se non la ferocia al
momento dell'attacco.
Una
sera Jay ha un rapporto sessuale con un ragazzo; poi questi, prima di
darsi alla macchia, le confessa di averle così trasmesso la
maledizione: c'è una creatura inesorabile (“Questa cosa ti
inseguirà”) che segue le sue vittime per ucciderle, assumendo
diverse forme umane, fra cui magari quella delle persone amate. “E'
lenta, però non è stupida”. Solo la vittima può vederla; tant'è
che il film presenta in un paio di
casi l'uso
di soggettive dei personaggi minori
per mostrarci che non
vedono il mostro: un
salto di focalizzazione poco
disciplinato, ma probabilmente inevitabile.
Chi
è perseguitato dalla creatura ha un solo modo per liberarsene: la
maledizione si trasferisce a un'altra persona attraverso il rapporto
sessuale. Ciò ha fatto gridare molta critica alla metafora
dell'AIDS; c'è del vero, ma bisogna puntualizzare, pena
l'incomprensione del film. L'allusione rientra in quel grumo nebuloso
di suggestioni legate al corpo fisico sul quale si organizza It
Follows – che è un film sul corpo (e di conseguenza
sulla percezione), non sul sesso o la malattia; se c'è tanta
importanza della sessualità è perché la materialità del corpo
trova nella sessualità un punto nodale, tanto più nella condizione
insicura e magmatica dell'adolescenza. E infatti, l'AIDS
è contagioso
mentre qui è vero il
contrario, perché la
maledizione si trasmette per
via sessuale ma chi la
trasmette se ne libera. A
questo punto l'analogia
evidentemente non vale più, e
piuttosto
siamo a quel topos
dell'horror
che potremmo chiamare della
“maledizione a staffetta”. Molto opportunamente in una recensione
Rudy
Salvagnini ne
allega
un esempio famoso, il
racconto Casting the Runes di
Montague Rhodes James.
Sul
che si innesta un discorso del tutto differente da quello del
contagio, che è quello dello scambio. Mors tua, vita mea, con
tutti i suoi addentellati morali: ecco il tema del film. Non è
casuale il gioco di carte che
vediamo fare ai
giovani protagonisti, sul quale l'inquadratura
insiste in dettaglio: è una
variante di quel gioco che
in Italia,
almeno nel
Nordest, si chiama
popolarmente
“pampalugo”, e in America è
“l'uomo nero” (devo
quest'ultima
informazione a
Francesca Sorbilli): si
scartano le coppie e fa
pescare una carta a un altro
giocatore, cercando di fare in modo che rimanga con l'unica
carta non accoppiata, col che
ha perso.
Le
diverse apparizioni
della creatura sono
accomunate da qualcosa di bizzarro, di unheimlich,
che riporta
certamente l'incongruo ma anche il censurato, il non guardabile: la
nudità, i fluidi corporei che scorrono lungo le gambe, la brutale
decadenza fisica della vecchiata;
mentre
l'angoscia della
trasformazione dei familiari
in
mostro ha una lunga storia nell'horror, dal vampirismo alla
trasformazione
in zombi della
bambina che uccide e mangia i genitori ne La notte dei
morti viventi. Più
in generale, proprio come con
gli zombi lenti e
sonnambulistici del
capolavoro di Romero, la
comparsa stessa di una
persona sul fondo è un campanello d'allarme; in
modo stridente la normalità si
rovescia in pericolo. Così
in It Follows la
vittima scruta con angoscia l'essere
umano che appare e
che potrebbe non essere umano,
e scambia coi suoi amici interrogazioni angosciose che riecheggiano
continuamente nel film: “La vedete…?”, “Che cosa vedi?”
La
scena sulla spiaggia, con
l'avvicinamento del mostro sotto la
forma di una donna in maglietta bianca, illustra perfettamente la strategia narrativa
di Mitchell,
che trasmette
(delega)
l'inquietudine e l'allarme allo spettatore prima
che ai personaggi (tant'è vero che la score
di
Disasterpeace
serve a sua volta a caricare
di allarme un'immagine neutra,
modificandone la nostra
percezione). Anche
ciò contribuisce a dar ragione delle scelte linguistica del film col
suo uso dei campi lunghi. It
Follows si
caratterizza per un ritmo
narrativo ampio
e disteso, opposto al
montaggio isterico oggi di moda, che
rinforza l'effetto di
spiazzamento. Il
sontuoso piano sequenza iniziale, comprendente
una panoramica a 360 gradi,
esprime un'onnipotenza dello sguardo della mdp che è un'onnipotenza
dello sguardo dello spettatore – ma che si rovescia in
un'onnipresenza della minaccia: con una folgorante equazione il film
ci dice che se tutto è visibile allora tutto può essere visto. Non esiste salvezza.
La
difficoltà nel parlare di questo film è di non trovarsi ridotti a
ripetere molte buone osservazioni che sono state già fatte in campo
critico. Qui è d'obbligo citare almeno un'eccellente recensione di
Stefano Lo Verme su Movieplayer.it,
contenente fra
l'altro l'osservazione
fulminante che nel film l'ambientazione diegetica contemporanea è
attraversata da richiami costanti agli anni Ottanta, “quasi a voler
conferire all'intero racconto un sostrato onirico ma in maniera
sottilissima, quasi impercettibile”.
Si
potrebbe aggiungere che la
sovrapposizione di
questi due
tempi ci riporta immediatamente a David Lynch. E che il
riferimento non sia peregrino è dimostrato dalla scena in cui Jay,
barricata in camera, si lascia convincere dagli amici ad aprire la
porta, ma dietro l'amica Yara compare la creatura persecutrice in
forma di un uomo gigantesco: e questo
gioco di sproporzione delle dimensioni fisiche è puro Lynch. Ancora
sui riferimenti
cinematografici, tutta la
critica
ha giustamente menzionato
John
Carpenter; bisogna poi citare per la scena della piscina Jacques Tourneur – del quale
It Follows, se non
riprende l'ingegnosa ambiguità, certamente riecheggia la sensazione
“lewtoniana” di un mondo assurdo che non perdona.
It
Follows è un film estremamente intessuto, colmo di rime,
analogie, rimandi, e di riferimenti calzanti sia sul piano della
cultura alta (Dostoevskij, Eliot) sia di quella popolare, coi due
film di fantascienza povera degli anni cinquanta-sessanta in b/n che
vediamo trasmessi alla televisione. E' un film ricchissimo di
suggestioni che si aprono nel testo - ne suggerisco un paio: il
ritorno all'infanzia come fuga; l'acqua come simbolo di salvezza
(cfr. anche il dialogo – ripetuto, con uno strappo al realismo –
del secondo film visto in tv). Ma forse quello che meglio funziona da
chiave del film è il riferimento finale da L'idiota di
Dostoevskij, che così si può (goffamente) parafrasare: la tortura è
orribile ma la vera tortura è, al di sotto di essa, l'avvicinarsi
implacabile della morte. “La cosa peggiore è questa certezza”.
Ecco, questo seguire implacabile – che forse o senza forse
continua nell'ambiguo finale – è la morte.
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