Uno
dei grandi del cinema giapponese d’oggi è Sono Sion – ben noto ai frequentatori
del Far East Film di Udine, che nel 2009 ha presentato in un pomeriggio il suo
capolavoro di quattro ore, vera enciclopedia cinematografica dell’amore, Love Exposure (un tocco di gossip:
l’anno prima il festival udinese aveva cercato fino all’ultimo di invitare il
suo magnifico horror Exte: Hair
Extensions, che nonostante le insistenze non fu concesso dalla casa
produttrice).
Sono
Sion, di cui non si può certo dire che non ami le sfide, si è cimentato l’anno
scorso con la mission impossible del
primo musical hip hop. E ora la
Tucker Film ha acquistato Tokyo
Tribe, in vista della distribuzione televisiva e home video, sottotitolato
in italiano, e lo presenta in anteprima sul grande schermo in alcune situazioni
festivaliere (e al Visionario di Udine il 15 agosto). Per inciso, la presente
recensione si basa su una precedente visione nella versione internazionale coi
sottotitoli inglesi, in una traduzione che non è semplicemente bella: è poesia.
Epica
della lotta fra bande in una Tokyo futuristica, Tokyo Tribe è la confluenza di due direttrici. Da un lato Sono
(anche sceneggiatore) riprende la classica formula della guerra per il
territorio, amata nel cinema orientale anche più che in quello occidentale
(ricordiamo il recente film taiwanese Monga),
utilizzando il cinema di arti marziali e il chanbara,
e riproducendo tutta la costruzione retorica del sottogenere (non a caso una
delle prime parole che sentiamo nel film è loneliness).
Naturalmente esistono già esempi di versione musicale del tema. Dall'altro lato,
Sono vi porta l'hip hop (costellato di citazioni musicali che si allargano fino
a Beethoven e al valzer): l'idea innovativa è di impiegarlo nella forma
“operistica” del musical assoluto – e non solo come componente musicale di un
sviluppo drammatico. E’ un azzardo, ma risulta vincente. Il suo ritmo
sincopato, con la sua caratteristica discorsiva, provvede un tessuto sonoro sorprendentemente
continuo.
C'è
una figura di cantante rap che fa da coro greco con interpellazione agli
spettatori (poi vediamo che partecipa anche all'azione battendosi), ma tutto
l'impianto del film mira a instaurare un contatto diretto. L'elemento
aggressivo presente nell'hip hop (il battling
di cui è un esempio famoso 8 Mile) si
collega assai bene al tema della rivalità che attraversa il film. Nella
sequenza iniziale, il primo colpo nella rissa che scoppia è, come movimento,
già coreografia di breakdance, e infatti ne anticipa l’evoluzione. Il terremoto,
che ritorna più volte, ha un senso sia reale sia simbolico (enunciato nei
testi: “Tokyo shakes”); e questa identificazione delle forze cosmiche e
telluriche con i fatti umani si può fare pressoché solo nel musical, che
sottomette l'intero ordine delle cose al balletto; quindi il musical è la
massima espressione (più che il fantastico o il catastrofico) della volontà di potenza della narrazione
cinematografica.
Tokyo Tribe si svolge in quel panorama post-apocalittico
(dove l’apocalissi è il crollo della civiltà, quale che ne sia la causa) che è
nato da Blade Runner e Mad Max ma è diventato uno degli scenari
base del manga e dell’anime (il film è appunto tratto da un manga). Il
super-Kitsch degli oggetti (l'auto coi candelabri, l'elmo da samurai coi
lustrini) e il feticismo dei costumi nel film rientrano in quella forma di
“barocco malato” che caratterizza questi mondi con la presenza dei simulacri di
una raffinatezza mezzo evocata mezzo parodiata (che ritorna anche nell’ultimo,
importante Mad Max del 2015).
Connessa
a questa temperie apocalittica è la caratterizzazione dei villains in termini di bizzarria mostruosa. Qui è memorabile Lord Buppa, interpretato
da Takeuchi Riki nella tradizione “eccessiva” del cinema giapponese (e dei
manga e degli anime, naturalmente); rispetto alla quale salta in mente il nome
di Miike Takashi: un personaggio come Ichi
the Killer potrebbe ben appartenere a questo film per la sua carica di
follia - sebbene non per una sua certa sgradevolezza che qui non può esistere, perché
siamo in un musical e tutto dev'essere glossy,
anche le figure più crudeli e le peggiori azioni.
Dunque
il principio ispiratore a livello figurativo è quello del bizzarro, di cui
un'incarnazione memorabile sono gli uomini-mobili (che fanno pensare a una
reminiscenza del grande scrittore giapponese Edogawa Rampo): non solo per il
concetto in sé ma per l'idea geniale di farli passare, a un certo punto, da
mobilio a combattenti al servizio del loro padrone, in una nuvola di cipria. In
questo universo che potremmo definire di “degrado scintillante”, il feticismo
erotico e il sadomasochismo giocano per forza un ruolo fondamentale. In una
sequenza fra le più belle del film, la lista (vien da dire, l'illustrazione
turistica) dei territori delle bande di Tokyo a ritmo di hip hop viene
enunciata da un gangster toccando con la punta del coltello il corpo nudo di
una poliziotta prigioniera – e per lei diventa quasi un orgasmo.
E'
un mondo nichilista, dove il simbolo del Tao diventa la porta di un bordello,
la polizia si fa complice per quieto vivere e i politici sono sbeffeggiati più
di tutti (il Literal Demagogic Party del film ovviamente è un'allusione al
Liberal Democratic Party, che attualmente esprime il primo ministro Abe
Shinzo). Questo tocco di satira politica è solo un aspetto dell'umorismo
perverso che attraversa il film. Superbo lo High Priest che appare (in
videomessaggio) solenne, coi classici paramenti cinesi che conosciamo dai wuxiapian – e appena comincia a parlare
si butta in un gangsta rap del tipo
più brutale. Superba la masturbazione di Lord Buppa con un cazzo finto, che in
un'altra scena si fa accarezzare da una bellona. Buffissima la controversia
finale sulla grandezza dell’uccello, che fa discendere tutta o quasi tutta la
guerra da quel concetto che in occidente definiamo con l’espressione “Chi ce
l'ha più lungo?” – né manca nel finale la contrapposizione retorica fra dick e heart, che col suo riferirsi esplicitamente alle dimensioni cala un
tocco di ironia (appunto per il suo parallelismo azzardato) sulla classica
teorizzazione moralistica finale.
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