Quarto
episodio della serie Jurassic Park, il piacevolissimo Jurassic
World di Colin Trevorrow (con Spielberg come produttore
esecutivo) si apre con uno scherzo divertente: inizia con due uova di
dinosauro che si schiudono e la zampina artigliata che esce, poi
vediamo una grossa zampa squamosa posarsi sul terreno e pensiamo
“Ecco il dinosauro cresciuto”; invece era un dettaglio di un
comune uccellino, che vola via. Il cinema ha sempre giocato sulla
confusione tra il grande e il piccolo; del resto, siccome la
derivazione degli uccelli dai sauri è uno dei capisaldi scientifici
di Jurassic Park, può essere
che il joke sia più
profondo di quanto appare a prima vista.
Jurassic
World non ha la forza
“filosofica” dei film di Spielberg. La regia è corretta ma si
direbbe che il valoroso montatore Kevin Scott si sia dato da fare per
vivacizzarla. Però il film mantiene tutto quel che promette: il
divertimento c'è, la suspense pure; e l'attacco dei pterodattili (o
qualche loro omologo preistorico) ai turisti è una gran bella
pagina, a metà fra Gli uccelli
di Hitchcock e Lo squalo
di Spielberg.
Jurassic
World è l'isola di Jurassic Park
ormai diventata un mega-parco naturale dei dinosauri con migliaia di
visitatori. La sua prossima star è un nuovo dinosauro creato
dall'ingegneria genetica, in confronto al quale gli altri sembrano
Lassie di fronte al Mastino dei Baskerville: l'Indominus Rex (okay,
il nome è ridicolo – non sarà un errore per Indomitus?). Seguendo
la classica regola dell'enunciazione ritardata, il film è molto
abile nel graduare l'apparizione del gigante in tutta la sua
magnificenza. Ma naturalmente tutto andrà a catafascio.
“I
consumatori li vogliono sempre più grandi... più rumorosi... più
denti”, sentiamo dire a un personaggio; “il fattore wow”,
chiosa un altro. Dunque questo concetto è posto alla base del
successo di Jurassic World nel film. Ma naturalmente è alla
base anche del successo di Jurassic World, il film.
Come dire che Jurassic World ha l'intelligenza metanarrativa
di rispecchiare il proprio oltranzismo di genere, e le sue ambizioni
commerciali, nella diegesi.
Ambizioni
legittime. Un film di mostri grandi e feroci deve offrire di più del
precedente - e questo vuol dire trovare un mostro più grosso,
cattivo, badass. Ma quando arriva questo mostro badass,
cosa succede a quelli di prima? Beh, devono battersi, naturalmente; e
siccome la regola cinematografica impone che il più cattivo di tutti
venga sconfitto, ecco che i mostri ex supercattivi vengono in qualche
modo sollevati al rango di collaboratori quasi positivi. Come recita
l'adagio di fondo di tutta la politica, “il nemico del mio nemico è
mio amico”.
Questa
è precisamente la parabola dei kaiju eiga, i film giapponesi
di mostri giganteschi come Godzilla. Quando apparve nel film di
Honda Inoshiro del 1954 Godzilla era cattivissimo, e devastava Tokyo
senza il minimo problema. Ma la ricerca di creature sempre più
pericolose, come ad esempio Ghidorah, finì per spostarlo dalla parte
dei buoni. Riabilitazione pedissequamente rispecchiata nell'ultimo
remake americano, il Godzilla di Gareth Evans (benché nel
frattempo il rinnovamento del genere abbia restituito ai Godzilla
giapponesi la giusta dose di cattiveria).
Ma
è legittimo il collegamento con i kaiju eiga?
Direi di sì. I film della serie Jurassic Park sono avventure
di caccia grossa rovesciata, del genere “l'uomo e la belva”; ma
anche se sono caratterizzati da una maggior dose di realismo
fantascientifico, la presenza dei dinosauri li rende perlomeno cugini
di quei film, che poi sono un'invenzione americana; basta pensare a
quell'autentico apripista (ispirato, per inciso, a King Kong)
che è Il risveglio del dinosauro, 1953, di Eugene Lourié (lo
stesso che poi realizzerà Il drago degli abissi e Gorgo).
Dunque
in Jurassic World compare un super-dinosauro con qualità che
lo rendono invincibile (per fortuna dei protagonisti, ogni tanto la
sceneggiatura se ne dimentica). Posto che noi esseri umani in queste
circostanze facciamo sempre la figura del peracottaio, a chi ci
rivolgeremo per levare il bastardo di torno? Ai cattivissimi dei film
precedenti: i velociraptor e un tyrannosaurus rex liberato all'uopo.
Non sono dei pentiti, beninteso, restano ben pericolosi; nondimeno,
il loro intervento nella parte finale è un vero “arrivano i
nostri”.
I
dinosauri ci attraggono perché sono alieni: non tigri o leoni o
elefanti, che la nostra civiltà ha banalizzato, bensì mostri
(nel senso latino); nel
contempo, non sono “troppo” alieni, non hanno la ferocia
meccanica e incomprensibile dell'insetto predatore. Tant'è vero che
possiamo instaurare con loro una precaria comunicazione; Jurassic
World in chiusura rende questo embrione di dialogo attraverso il
mezzo classico che per esso provvede il cinema, lo scambio di
sguardi. Inoltre si direbbe che i sauri “originali” mal
sopportino questo dino-Frankenstein genetico; peraltro il concetto di
hybris - via Crichton - è forte in tutta la serie Jurassic
Park.
La
conclusione mostra il tirannosauro libero sopra le strutture umane
abbandonate (in attesa della prossima puntata): nobile guerriero
vincitore più che belva at large. Dopo L'ultimo dei
Mohicani il cinema ci ha dato L'ultimo dei T-Rex?
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