sabato 13 giugno 2015

Christopher Lee - Il cinema non muore mai


Il figlio di una mia amica, quando ha saputo che è morto Christopher Lee, ha gridato: “Nooo! Saruman!” Mentre tutti quelli della mia generazione: “Nooo! Dracula!” A confermare come Sir Christopher sia stato un'icona del cinema che ha attraversato le generazioni, per cui ciascuna ha il suo Christopher Lee. Nessuno degli altri divi dell'horror è riuscito a tanto, nemmeno Peter Cushing e Vincent Price, per non parlare dei precedenti.
Eppure i suoi inizi erano stati difficili. Christopher Frank Carandini Lee aveva deciso di fare l'attore nel 1946; glielo aveva suggerito, mentre pranzavano all'ambasciata d'Italia, suo cugino Niccolò Carandini, il primo ambasciatore italiano in Gran Bretagna del dopoguerra. Ma la carriera di Lee – colto, poliglotta, buon ballerino e schermidore, cantante dotato di una bella voce – non era decollata; il suo aspetto “poco inglese” e la sua statura di 1,96 erano considerati degli handicap. Furono anni di particine, in cinema e in tv. E' vero che compare nell'Amleto di Olivier, ma a differenza di Peter Cushing ha un ruolo insignificante. Meglio ricordarlo come Seurat in una scena di Moulin Rouge di Huston.
Il suo momento arriva nel 1957, accanto a Cushing ne La maschera di Frankenstein di Terence Fisher per la Hammer Films: una parte muta, per la quale fu scelto in grazia del suo fisico, l'altezza imponente e la bravura nel linguaggio del corpo. L'anno dopo la coppia si riformò con Dracula il vampiro, ed entrò nella leggenda.
Già nel 1959 Lee interpretava la parodia italiana Tempi duri per i vampiri di Steno accanto a Renato Rascel. Tuttavia, sembra assurdo oggi, ma la Hammer non si rese conto subito della miniera d'oro che aveva in casa. Il divo era Cushing. Il sequel Le spose di Dracula non presentava il vampiro eponimo ma un suo seguace, interpretato da David Peel. Ne La furia dei Baskerville Lee non era Sherlock Holmes (Cushing, eccellente) ma Sir Henry Baskerville (sarà Holmes più d'una volta in seguito). La mummia, di nuovo con Cushing, gli offriva di nuovo un ruolo muto dove “Lee comunica un senso di amore e di perdita vecchio di 4000 anni esclusivamente mediante l'espressività degli occhi e il linguaggio del corpo” (Jonathan Rigby). Nella versione Hammer del Dr Jekyll (Il mostro di Londra) Lee non ebbe la parte di Jekyll, che desiderava, e interpreterà anni dopo, ma un ruolo secondario.
Bisognò aspettare il 1965, dopo vari horror europei (con Bava, Margheriti, Mastrocinque in Italia), perché Lee riprendesse il ruolo di Dracula in Dracula, principe delle tenebre. Di lì in poi la Hammer “pompò” il personaggio sfruttandolo al punto che Lee finì, a torto, per disamorarsene alquanto; tanto più che pensava che i film si allontanassero sempre più dalla concezione di Bram Stoker. Va menzionato qui il Dracula spagnolo che Lee interpretò per Jesus Franco (Il conte Dracula, 1969): un film che passa per essere il più fedele al romanzo, ma non è vero; tuttavia qui Lee ebbe l'opportunità di interpretare il Conte coi capelli e i baffi bianchi, proprio come Stoker lo aveva immaginato. Comparve fuggevolmente come Dracula in un paio di altre occasioni, e fu il Dracula storico, Vlad Tepes, nel documentario In Search of Dracula.
Da solo o in coppia con Peter Cushing (erano amicissimi nella vita), a volte con Vincent Price, o perfino col vecchio Boris Karloff, attraversò l'horror europeo nella grande stagione del cinema di genere, inglese, spagnolo e tedesco. Fra i suoi vari personaggi vorrei ricordare almeno Fu Manchu. Accettava con gioia le occasioni di interpretazioni meno di formula – per esempio, un film che a ragione amava molto è The Wicker Man di Philip Hardy. Qui Lee è indimenticabile nel ruolo di Lord Summerisle, capo di un culto pagano; l'immagine di lui che guida la processione sacrificale danzando vestito da donna con una parrucca nera (e scarpe da ginnastica!) potrebbe essere la più stupefacente di tutta la sua lunga carriera.
Questo attore inglese di origini italiane avrebbe potuto essere tedesco. Professionista per eccellenza, si preparava per ogni parte anche minima studiando il personaggio e riflettendo accuratamente su cosa significava e qual era il modo migliore per renderlo, con la regolarità e l'onestà di un orologiaio. E' strano dirlo per uno che ha interpretato una galleria di mostri, ma Lee tendeva a stare sotto le righe (tanto che alcuni critici, fraintendendolo, lo definirono “legnoso”). Fra i tre grandi divi horror della sua generazione, Peter Cushing non è mai istrionico; Vincent Price al contrario porta una vena di geniale istrionismo in tutti i suoi ruoli; Lee calibra l'istrionismo della sua interpretazione sul grado di istrionismo intrinseco del suo personaggio – e comunque tende a sottrarre più che aggiungere.
Sempre preoccupato di non finire typecasted, cercò di ampliare le sue interpretazioni fuori dal campo dell'horror. Fu Scaramanga, il nemico di James Bond (Roger Moore), ne L'uomo dalla pistola d'oro di Guy Hamilton. Le capacità di spadaccino, già esibite in più d'un film di pirati, gli tornarono utili ne I tre moschettieri di Richard Lester e i suoi seguiti. Fu perfino un pistolero western ne La texana e i fratelli Penitenza di Burt Kennedy. Si fa ricordare come vecchio gaudente che gira felice a cavallo di una testuggine meccanica in mezzo a un gruppo di prostitute ne Il ladro dell'arcobaleno di Jodorowsky. E' la cosa migliore de L'avaro di Tonino Cervi accanto a un Alberto Sordi bollito. Era un uomo spiritoso (con Cushing amava giocare a fare Tom e Jerry al telefono) e lo troviamo in varie commedie, come Scuola di polizia – Missione a Mosca, o il superbo The Stupids di John Landis. E naturalmente riprendeva volentieri la sua immagine horror anche fuori dall'horror; per esempio fu un memorabile Pew ne L'isola del tesoro di Fraser Heston.
George Lucas, che non era riuscito ad averlo per Guerre Stellari, lo recupera anni dopo per la seconda serie – la prima in ordine diegetico – di Star Wars. Ma il nuovo grande momento di fama glielo dà Peter Jackson con Il Signore degli Anelli nel ruolo di Saruman. Per Tim Burton, poi, Lee è una presenza, se non costante, quasi. E la menzione di Tim Burton viene in taglio per accennare al momento conclusivo della carriera di Christopher Lee, in cui la sua presenza nei film assume un sapore di omaggio ed evocazione. Attenzione, essa parte sempre da un'interpretazione attenta e calibrata: non è una pura apparizione/omaggio, come, diciamo, Samuel Fuller o Roger Corman nei film di Wenders; c'è questa volontà ma viene sempre tradotta nella robustezza artigianale di una parte secondaria sempre gustosa e ben definita.
Sir Christopher è morto a 93 anni appena compiuti. Ci lascia una serie sconfinata di film (oltre che incisioni musicali, anche con gruppi heavy metal!), senza contare il teatro e la tv. La celluloide può perdersi, ma il cinema non muore mai.

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