Guy Ritchie
Come nel teatro shakespeariano ogni momento è buono per superbe tirate oratorie, così il cinema di Guy Ritchie si porta una vena oratoria in cuore. I suoi banditi sono infidi, sono cattivissimi, ma soprattutto adorano parlare: la loro retorica nasce come prolungamento parodistico del linguaggio “hard-boiled”, ma si estende a identità e dimensione dell’esistenza.
Così “RocknRolla” - che si apre, non per nulla, con una prolusione di Archie (Mark Strong) sulla definizione del termine - è godibile in primo luogo per il parlato. Non soltanto la voce narrante, descrittiva e gnomica, di Archie ci accompagna per tutto il film illustrando il suo universo. Lenny Cole (Tom Wilkinson) non si limita a minacciare i malcapitati di tuffarli nel Tamigi popolato di gamberi carnivori, ci fa sopra una tirata - attenta ai tempi giusti, alle pause eccetera - degna di un bardo irlandese. Idem per la femme fatale, e dark lady per hobby, Stella (Thandie Newton); per i due tossivi che vanno in giro con dimostrazioni impagabili a vendere refurtiva; per lo Strizza (premio per il miglior nome di personaggio 2009); per il furbetto gay Bob; perfino per il delirante drogato Johnny Quid o per lo sfigato One Two (Gerard Butler, il Leonida di “300”!), protagonista di una simil-storia d’amore con la bellona; tutti in questo sottomondo criminale mettono al primo posto fra le loro capacità la favella - nelle diverse specialità dell’orazione distesa o della battuta sintetica (Stella, sposata con un avvocato omosessuale che non la calcola: “Sono una gaysitter a tempo pieno”). C’è molta scuola post-tarantiniana, ovviamente. Lo denuncia in particolare un passaggio - il discorso sul doppio messaggio del pacchetto di sigarette - che mira un po’ troppo evidentemente a quell’imprevisto lampeggiare di sprazzi filosofici nella bassa quotidianità in cui è ineguagliato il maestro americano.
Solo i due gorilla russi parlano in modo strettamente referenziale (perché si esprimono in modo fisico; e il loro dialogo consiste nel mostrarsi con orgoglio la collezione di cicatrici - nel che, sono investiti da un camion); anche per questo sembrano cose da un altro mondo. Però invece il loro boss è entrato perfettamente in questo panorama, che da british è diventato internazionale in una globalizzazione della disonestà. “Londra è in ascesa”, sentiamo dire, in una kermesse di speculazione edilizia e assessori corrotti: è la nuova Londra che ha perso completamente quelle radici imperial-vittoriane che sopravvivevano, sempre più tenui, lungo tutto il Novecento (i Beatles sono nipotini di Oscar Wilde). In questa Londra globale, chi crede di avere un posto di riguardo solo perché è una carogna inglese (Lenny Cole) come minimo si fa rompere una gamba a colpi di mazza da golf.
“RocknRolla” è inferiore ad altri film dell’ex marito di Madonna, segnatamente il delizioso “Snatch - Lo strappo”, ma è assai divertente. A Ritchie, regista e sceneggiatore, non importa tanto tirare i fili dello sviluppo, portare a casa la conclusione del plot (lo fa anzi con una certa fatica), quanto accumulare personaggi bizzarri e situazioni surreali: è come un bambino che fa raccolta di figurine. Per questo “RocknRolla” avrebbe potuto altrettanto bene essere un serial televisivo in 20 episodi.
Il film non è piaciuto alla critica italiana. Lecito. Ma qui si potrebbe speculare: forse la ragione per cui non piace è appunto che Guy Ritchie è innamorato del narrare. Un peccato grave per la cultura italiana, che non apprezza i narratori puri; li preferisce con un intento di critica sociale, un’ideologia o almeno un impianto teorico forte (Calvino). Questo può essere strano visto che la nostra letteratura praticamente nasce con un grandissimo narratore puro, Boccaccio - ma è la Controriforma che ha lasciato il suo segno. Per i critici semplicemente divertirsi a una narrazione priva di un senso che non sia il suo stesso divertimento, proprio “non è cosa”. E’ come andare a letto con Lolita invece che sposare Anna Magnani.
(Il Nuovo FVG)
lunedì 18 maggio 2009
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