venerdì 5 dicembre 2008

I mondi di Scarabottolo

Udine, Visionario, estate 2005

Disposte in geometrico ordinamento, 4 file di 29 “tasselli” ciascuna (alcuni doppi), pochi altri alle altre pareti, fanno un singolare effetto le illustrazioni di Guido Scarabottolo esposte nell’abside del Visionario - il Centro Arti Visive di via Asquini - nella sua mostra a cura di Giovanna Durì, divisa fra la sala esposizioni e l’abside. Sono come mattonelle, col loro fondo dal colore smaltato, ma in realtà ognuna di esse è un buco che dà su un altro mondo: una collezione di finestre sul cortile per un James Stewart impazzito. Un orso rosso legge il “Berliner Express” seduto su un orso giallo; uno scheletro amletico medita sopra una testa umana; un angelo e un diavolo in borghese, wendersiani, si incrociano per strada; un dinosauro legge un libro sul Titanic; un uomo cerca di entrare in un film esotico proiettandoselo addosso.
Questo geniale grafico e illustratore lavora al computer. I suoi disegni non esistono: sono stampe digitali. Scarabottolo (scrive benissimo Thomas Bertacche nel mini-catalogo “La sindrome di bau”) usa il computer come una macchina da scrivere grafica; il computer sostituisce la tecnica del collage e gli permette di scombinare, rimontare, replicare a volontà il suo catalogo iconografico. Lo stesso lieve fumo di nuvole sopra lo stesso profilo di montagne lontane può ritornare all’infinito.
Scarabottolo lavora attraverso la semplificazione e la sintesi, inserendo le sue ironiche distaccate composizioni in spazi di colore immobili. Condizione del suo (relativo) minimalismo, Scarabottolo è maestro nell’uso dello spazio. Nei suoi campi statici riposano vuoti e pieni armoniosamente bilanciati. I suoi fondi sono solitamente monocromatici, lisci, distesi, fatti apposta per “poggiarci” una figura. Il colore in Scarabottolo ha qualcosa di tranquillo e di meccanico, adatto al computer. Lo sfondo può aprirsi in porte e finestre - ma non si corruga.
E’ forte, dichiarato, l’influsso di Saul Steinberg. Almeno una illustrazione ricorda un Folon divenuto finalmente perverso. Un disegno rende omaggio a Copi. Altri influssi si possono solo indovinare (Dino Buzzati pittore). L’immaginario di Scarabottolo, che utilizza anche vecchie stampine e xilografie, ingloba e riscrive. Ecco rispuntare una sirena alata, antica figura decorativa di grottesche. Un quadretto macabro (corpi umani pigiati nella botte che danno un rosso sangue/vino) riprende ingenue xilografie stregonesche. Rivediamo il celebre capezzolo pizzicato d’un dipinto della Scuola di Fontainebleu. Un bel nudo di schiena arriva da Ingres passando per Man Ray tramite la pop art.
C’è un’ombra di solipsismo nei disegni di Scarabottolo, una solitudine, una tendenza a isolarsi, specie legata alla lettura. Mentre in secondo piano si spoglia una donna, dal corpo di carta stampata (è la voce “Book” del dizionario), il personaggio in primo piano legge un libro. Il pittore e la modella si danno le spalle, persi ciascuno in sé. Anche i due orsi (disegnati, dice l’autore, per illustrare un racconto di russi a Berlino) sono l’uno assente all’altro; l’uno lettore, l’altro sedile; gli sguardi vanno in direzioni opposte.
La caratteristica dei disegni di Scarabottolo è la risonanza. La loro semplicità e insieme la loro densità li rende piccoli imbuti dell’esistenza. Di raro Scarabottolo è autoanalitico; il suo intimismo dipinge il percorso psicologico nei suoi bizzarri accostamenti, fotografa lo hic et nunc di una sensazione profonda, senza volerlo sezionare: “Non è necessario spiegare tutto e neanche spiegarselo”. Preferisce creare immagini che “occupano uno spazio con discrezione, si offrono con grande generosità” (Giovanna Durì): poi ognuno vi troverà il modo di declinare le proprie suggestioni. Il dono di questi disegni altamente evocativi è l’apertura.
Nella loro staticità sono istantanee che congelano un attimo, ma non annullano il tempo in sé. Così queste immagini eccitano la tendenza all’affabulazione - come un mazzo di tarocchi dello spirito. Allora non fa meraviglia che i disegni di Scarabottolo siano diventati la base di varie graphic novels realizzate con Giovanna Zoboli, che scegliendoli dal mazzo li ha ordinati creando uno svolgimento; da citare la splendida “Love”, I Libri a Naso, 2004. Ancora più ambizioso “Una vita (Romanzo Metafisico)”, Guanda, 2005 - però col limite che il testo è graficamente invasivo nei confronti dell’immagine. Certamente non è una novità nel gusto postmoderno della combinazione (nei “Cahiers du cinéma” 600 ve n’è un esempio fotografico bellissimo, grazie a Takeshi Kitano e altri) - però le immagini di Scarabottolo sembrano prestarvisi in modo particolarmente felice, vuoi sulla carta stampata, vuoi nel cervello di chi guarda.
In questo senso sono epifaniche.

(Il Nuovo FVG)

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