Woody Allen
Certo la forma-romanzo non è ignota a Woody Allen, che in anni giovanili la esplorava nelle sue parodie per il New Yorker (riverberate sullo schermo nell’amabile parodia tolstoiana di “Amore e guerra”). Ora con “Vicky Cristina Barcelona” ci propone un film in cui essa è assunta direttamente come forma costitutiva. Infatti la caratteristica fondante di “Vicky Cristina Barcelona” è la voce narrante, neutra ed esterna: che va al di là dell'utilizzo vicario, o di incorniciatura, cui siamo abituati nel cinema per divenire vero processo generativo del racconto sullo schermo: voce perfettamente romanzesca. Non risponde soltanto alla semplice funzionalità narrativa (“Arrivarono a destinazione la mattina presto”; “E venne il mattino in cui il futuro marito di Vicky arrivò da New York”); non solo si concede passaggi gnomici (“Come molti uomini creativi Juan Antonio aveva bisogno di vivere sempre con una donna”); di più, incarna la focalizzazione onnisciente classica (“Quella sera le due donne ebbero difficoltà a addormentarsi”), penetra nei pensieri dei personaggi (“Si tolse dalla testa ogni folle e stupida fantasia”; “Ben non seppe resistere e le prese la mano”), non senza il gusto costante dell’ironia. Tutto ciò appartiene a un territorio letterario preciso: Jane Austen e in generale il novel of manners inglese classico. “Vicky Cristina Barcelona” è una commedia - non nel senso della ricerca dell’effetto comico ma per lo sguardo dall'alto sui personaggi - per la quale film of manners non sarebbe una cattiva definizione. Il suo argomento specifico ruota sul rapporto fra i sentimenti e le scelte matrimoniali - più austeniano di così!
Il film si apre sull’arrivo (e si chiuderà sulla partenza) di Vicky e Cristina a Barcellona. La prima è lì per un master sull'identità catalana; la seconda ha appena girato un cortometraggio che “cerca di spiegare perché l'amore è difficile da definire”. Ecco il tema profondo del film di Allen, sotteso a quello della scelta; ed è uno dei temi base della sua opera. In questo senso, concretizzato dalla presenza della voce narrante (che però allora era la voce soggettiva e ricordante di Woody), “Vicky Cristina Barcelona” ricorda “Io e Annie”.
Il privilegio della voce narrante ci illustra velocemente la differenza delle due. Cristina (Scarlett Johansson) cerca l'amore e accetta la sofferenza come parte ineliminabile della passione: “So solo quello che non voglio” (un concetto importante, visto che il narratore lo ripeterà come marca definitiva nella conclusione). Vicky (Rebecca Hall) ha pianificato una tranquilla vita familiare col noioso e ricco Doug: l’orrido fidanzato - che se visita Siviglia è felice di trovare amici newyorchesi per giocare a bridge tutto il giorno - è il classico filisteo del romanzo ottocentesco d'amore e matrimonio. La sua ristrettezza mentale fa da risposta sarcastica all’acribia delle ricerche di Vicky sull’identità catalana. E' quel tipo di americanus vulgaris ch'era incarnato satiricamente (ma con più affetto) da Tony Roberts nei primi film di Woody, “Provaci ancora Sam”, “Io e Annie”.
Le due ragazze s’imbattono nel pittore Juan Antonio (Javier Bardem). L'eleganza del gioco di inquadrature e montaggio nella conversazione nella galleria d'arte non smentisce un film tecnicamente assai notevole: vedi il ristretto e intelligente uso dell'iride, il montaggio lucido e veloce, la bella scansione delle inquadrature nella scena dell’incontro fra Vicky e Juan Antonio di fronte alla fontana. “Il trucco è di godersi la vita accettando che non abbia alcun significato”, dice lui. Qui, sub specie sexualitatis, rientra la grande preoccupazione del cinema alleniano, il senso della vita; il nichilismo epicureo di Juan Antonio corrisponde ironicamente al nichilismo tragicomico di Allen stesso (“Non solo Dio è morto, ma provate a trovare un idraulico durante il weekend”). Va detto che il personaggio, dal cuore disponibile e ancora innamorato dell'ex moglie, è molto più umano e sanguigno di quanto non sia parso a qualche recensore.
Il pittore fa loro delle proposte: Cristina è subito interessata, Vicky rifiuta con orrore moraleggiante (nell’interpretazione di Rebecca Hall ritroviamo il balbettare un po’ nevrotico di tante donne alleniane - un po' alla Mia Farrow, sebbene con più sicurezza). Ma ambedue cederanno al suo fascino, e Cristina si troverà coinvolta in un rapporto a tre col pittore e la sua squilibrata ex moglie Maria Elena (Penelope Cruz). Per entrambe si porrà il problema della scelta. Bruciarsi in una passione dolorosa o rifugiarsi nella sicurezza di un matrimonio grigio?
Due donne, ma, fin dal titolo, un’entità singola, in cui si sdoppia il problema della scelta (esistenziale e sessuale e quindi matrimoniale e quindi - specie ahimè per la donna - determinante della vita futura). Woody Allen è sempre stato attratto dal raddoppiamento, che, presente fin dal titolo in un film piacevole ma non particolarmente brillante, “Melinda e Melinda”, ritorna in larga parte del suo cinema, da “Pallottole su Broadway” ad “Anything Else”, fino alla sontuosa, elaborata, solenne costruzione di doppi e rimandi in uno dei suoi capolavori assoluti, “Crimini e misfatti”.
E Barcellona come entra nel quadro? Perché la triade “Vicky Cristina Barcelona” del titolo? A un certo punto del film, parlando del ménage à trois, Maria Elena dice a Cristina “Tu sei l’elemento che mancava” (infatti, sparita lei, l’amore degli altri due crolla di nuovo). In altre parole, il catalizzatore. Appunto, Barcellona è per le due americane il catalizzatore della scelta. Et pour cause: l’Europa per gli americani è sempre stata il luogo mitico della seduzione. Il concetto d’Europa nel film alleniano ricorda molto la narrativa di Henry James - che quindi possiamo mettere accanto a Jane Austen fra i suoi numi ispiratori.
Questo piccolo e fulminante capolavoro di scarso successo è, a mio parere, il miglior film di Woody Allen fin dai tempi di “Harry a pezzi”. Per la sua saggezza sulle scelte della vita (saggezza perfino estrema: tutti noi nel nostro quotidiano amiamo illuderci di non trovarci di fronte a scelte così nette), “Vicky Cristina Barcelona” è l’opera di un vecchio che sa. Ma mi è capitato sopra di citare due volte “Io e Annie”, un film giovanile (oltre che di svolta): “Vicky Cristina Barcelona” potrebbe annunciare per Woody una seconda giovinezza artistica.
(Il Nuovo FVG)
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