domenica 12 ottobre 2008

Giornate del Cinema Muto di Pordenone 2007

Cominciamo questo breve riepilogo delle Giornate del Cinema Muto 2007 su una nota dolente: la contraddizione fra la bellezza sempreverde del festival e la patente inadeguatezza del nuovo Teatro Verdi di Pordenone, uno scandalo nazionale costato una valanga di soldi dei contribuenti per costruirlo in maniera disastrosa, e poi modificato alla meglio per limitare il danno. Il risultato è una specie di brutto anatroccolo architettonico (non s’intende l’aspetto estetico ma quello della funzionalità) che a parere di chi scrive rischia di gettare un’ombra sul futuro stesso delle Giornate.
Sarebbe ozioso stabilire quali siano i capolavori assoluti, in un programma così ricco, ma uno di essi è stato di sicuro (e per chi scrive una scoperta) “Chicago”, di Frank Urson, supervisionato da Cecil B. De Mille, che anche lo diresse in parte, non accreditato (doveva uscire la sua epica vita di Cristo “Il Re dei Re”, e non poteva firmare questa commedia “outrée”). Tratto da una commedia di Maurine Watkins poi portata sullo schermo altre due volte (nel 1942 e nel 2002 coll’eccellente musical di Rob Marshall), “Chicago” è l’ironico racconto di una “cause celèbre”. Roxie Hart, una poco di buono con l’intelligenza di un coniglio ma l’aspetto di un angelo, uccide l’amante che l’ha respinta. Nonostante il marito innamorato cerchi di salvarla, rischia la pena di morte. Grazie alla stampa e a un abile avvocato, trasforma il suo processo in un circo mediatico (vedete, i dementi televisivi d’oggigiorno non hanno inventato niente) e diventa una sorta di eroina di massa. Verrà assolta, ma non si gode la vittoria: il marito l’abbandona e un nuovo omicidio spettacolare la fa ripiombare nell’oscurità. Che dire di questo film del 1927? Soltanto questo: dovrà passare un quarto di secolo prima che nel cinema americano compaia un’opera satirica altrettanto lucida e cinica, quasi brechtiana – alludo a “The Big Carnival” (“L’asso nella manica”) di Billy Wilder, che è del 1951.
Si avvia a compimento il prodigioso Progetto Griffith, con i film del 1921-1924 come “Le due orfanelle”; ma senza voler togliere nulla a nessuno, l’edizione 2007 delle Giornate resterà legata nel ricordo al nome di René Clair, il maestro francese che un tempo era considerato, con un po’ d’esagerazione, quasi al livello di Renoir, ed oggi ingiustamente è mezzo dimenticato. E’ stato un piacere infinito rivedere (o scoprire) opere di scintillante freschezza quali “Un cappello di paglia di Firenze” – la dimostrazione matematica di come andasse realizzata una commedia nel cinema muto – o il pazzo “Paris qui dort” o il raffinato gioco visuale del documentario sulla Torre Eiffel “La Tour”, ma anche film meno conosciuti come la deliziosa commedia “Les deux timides”. E pure un film di livello inferiore come “Le Fantôme du Moulin Rouge”, macchinoso nella costruzione e stranamente (per Clair) incerto fra i registri del dramma e dell’ironia, contiene abbastanza inventiva da soddisfare lo spettatore. Sarebbe davvero provvidenziale se questo omaggio ai suoi film muti servisse a innestare una “Clair-renaissance” generale.
Un secondo autore che meritava da tempo l’onore di una retrospettiva è Lazar Starewitch, russo trapiantato in Francia dopo la rivoluzione, un titano dell’animazione di figurine tridimensionali costruite e animate con pazienza certosina – il suo grande campo sono gli insetti – con dei cortometraggi che si possono definire solo incantevoli. Certo, Starewitch è un nome noto e non è impossibile capitare, nella tv notturna, su qualche sua opera, però vederle su grande schermo è un’altra di quelle esperienze memorabili che le Giornate sanno offrire.
Peraltro non va passata sotto silenzio un’altra grande retrospettiva, intitolata “L’altra Weimar”, con la produzione tedesca meno nota (rispetto ai Lang e ai Murnau), che ci auguriamo possa prolungarsi nel futuro, perché c’è molto da scoprire. Anche qui, fra tanti nomi da conoscere maggiormente, tra i vari Grune, Mack e Oswald, chi scrive vorrebbe menzionare in particolare un regista attivo fra muto e parlato, Reinhold Schünzel. E’ apparso alle Giornate in qualità di supervisore del film del 1927 “Der Himmel auf Erde” (diretta da Alfred Schirokauer), una commedia sull’ambiente del night club, narrata con notevole abilità – non per niente Schünzel dirigerà in seguito il primo “Victor Victoria” – e non priva di sensualità quando la macchina da presa si sofferma con particolarissimo gusto sui corpi grassocci delle ballerine.
Infine, da qualche anno i cosiddetti “muti del XXI secolo”, cortometraggi muti contemporanei, sono di moda alle Giornate. Ma ha destato qualche sconcerto - si vedeva dalle facce - il cortometraggio “El ultimo deseo” (Spagna 2005) di Simon Birrell: piuttosto raro vedere, nel tempio di Lilian Gish, assassinii, “gore”, nudità e sesso lesbico. “El ultimo deseo” può scandalizzare i puristi per una sorta di feconda contraddizione fra il tema e il linguaggio; voglio dire che, mentre di solito i film muti del XXI secolo in qualche modo si rifanno al contesto culturale del muto o quanto meno sono compatibili con esso, “El ultimo deseo” si riallaccia in chiave di omaggio cinefilo al cinema contemporaneo del sesso e del sangue. Nel film, realizzato con buon occhio erotico-sadico-feticista, è evidente il riferimento visuale all’horror erotico spagnolo di J.R. Larraz, anche citato nei ringraziamenti, e di Jesus Franco: cui rende omaggio anche la presenza come protagonista di un suo attore feticcio, Jack Taylor (inoltre, anche la splendida infermiera seduttrice e assassina incarnata da Iris Diaz sembra una Lina Romay - la musa di Franco - dei giorni nostri).

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