mercoledì 1 ottobre 2008

Burn After Reading - A prova di spia

Joel & Ethan Coen

“Totus mundus stultus”. Per i fratelli Coen il noir e la commedia sono egualmente validi per rappresentare quello che a loro più interessa dipingere: la grande assurdità dell’esistenza. Ma la commedia offre loro particolare agio di illustrare al massimo grado un secondo concetto correlato: l’irreparabile stupidità degli esseri umani.
In “Burn After Reading” John Malkovich, analista della CIA sbattuto fuori per alcoolismo, scrive le proprie memorie e poi perde in palestra il dischetto. Lo trovano Frances McDormand (Linda), una complessata in cerca di soldi per la chirurgia plastica, e Brad Pitt, un idiota a tempo pieno. Pensando di avere sottomano il segreto spionistico del secolo, tentano il ricatto, poi la vendita ai russi, e tutto ciò s’incrocia con le multiple avventure di letto in cui si distinguono Tilda Swinton e George Clooney, la prima, moglie di Malkovich e amante del secondo, il secondo, amante di qualunque femmina che respiri.
I Coen realizzano “Burn After Reading” come un crescendo rossiniano, recuperando/pervertendo la commedia classica americana più acida (Sturges e Wilder prima di tutto) – compreso l’elemento irrinunciabile (perché fondante dell’unità festiva del genere) di una felicità corale dell’interpretazione. Il film grida l’inconsistenza assoluta di tutto ciò che si muove e di tutto ciò per cui ci si muove - vedi la gag della rivelazione del misterioso meccanismo che vediamo costruire (con tanto di musica da thriller) da George Clooney. Ad aggiungere comicità alla comicità, e sapore di cenere al sapore di cenere, il CD delle memorie di Malkovich non è neanche un vero MacGuffin. Perché un MacGuffin è un valore per chi lo cerca (magari un valore che alla sua apparizione uccide, come nel folgorante finale di “Un bacio e una pistola” di Aldrich). Invece questo CD è privo di segreti importanti - e tutti quanti sono messi in allarme semplicemente dal movimento, come un cane che insegue la propria coda.
Quando Malkovich grida a Ted (il maturo innamorato di Linda, rappresentante della tradizionale fiammella di umanità nell’assurdità cannibalistica del mondo) “Fai parte di un’associazione di coglioni”, lui, che non sa niente dell’affare, protesta timidamente di no. Però se al posto dell’insultante “coglioni” mettiamo un più neutro “illusi”, allora ci rientra benissimo: questo club si chiama umanità. Detto in margine, Malkovich ha torto di considerarsi esterno all’associazione, mentre invece c’è dentro fino al collo; ma, siamo onesti, ben pochi uomini sono capaci di riconoscersi quando si guardano nello specchio.
Se nella commedia wilderiana, com’è stato ottimamente detto, “l’uomo è un animale che pensa”, nella commedia coeniana “l’uomo è un animale che non pensa”. La stupidità dei comportamenti nel film si rispecchia in quella (scritta con acuta perfidia) dei discorsi. Ma una razza umana (o una specifica American civilization) che non usa più il cervello, presumibilmente atrofizzato, a quale altro organo può rivolgersi per fondare l’autocoscienza? Avete indovinato: proprio a quello. Di conseguenza, “tutti vanno a letto con tutti” – come viene detto nel film – ed è un uragano Katrina di inganni e di corna.
Se per i Coen nel turbinare del mondo l’unico punto fermo è la morte, tanto più nella presente commedia la morte (e come entra imprevista, smentendo la comicità!) rappresenta la sola istanza reale nel gioco delle marionette dementi: la faccia insanguinata del cadavere nell’armadio, l’ascia che scava un solco in un cranio calvo. Parimenti, i Coen riportano nel film quell’elemento di bizzarria contorta che marca il loro cinema. Il fatto che il motore dell’azione sia il sogno di una liposuzione potrebbe appartenere alla commedia cinica di Billy Wilder, ma è puro fratelli Coen il dettaglio della carne cicciosa di Linda, con segni di pennarello nero, che apre la scena della visita del chirurgo estetico. “Burn After Reading” è un catalogo di momenti e notazioni profondamente coeniani – pensiamo alla triste fila delle panchine per sfigati in attesa di incontri trovati su Internet.
Grandi amanti dell’ellissi, i Coen evitano di vellicare lo spettatore come fa molto cinema-babysitter contemporaneo. Omettono ad esempio il passaggio cruciale di Malkovich che perde il CD in palestra: ci basta vedere Brad Pitt che lo sta leggendo al computer mentre l’inserviente Manolo racconta di averlo trovato per terra. In quest’ellissi non si perde la comprensione, perché comprendiamo benissimo, bensì quella povera drammaturgia del cinema d’oggi che accompagna lo spettatore reggendolo per le dande lungo ogni minimo passo del plot. La stessa risoluzione finale (che non vado a esporre qui) è detta e non mostrata, come nella tragedia greca.
E’ particolarmente elemento ironico l’uso ricorrente nel film di due parole: analista e intelligence. Due sostantivi che postulano la comprensione e suonano tragicamente ridicoli in questa Totentanz degli stupidi, dove uomini e istituzioni sono egualmente disorientati. Lo sguardo “dal satellite” che apre e chiude il film (ed è anche lo sguardo onnipresente del cinema: c’è sempre un aggancio metacinematografico nei Coen) è lo sguardo totale e totalitario, lo sguardo del controllo, lo sguardo assoluto dell’intelligence – ma qui è lo sguardo dell’ignoranza. La CIA, l’organismo che dovrebbe rappresentare i cinque sensi dell’America nella lotta delle nazioni per la loro sopravvivenza, meno di tutti capisce cosa succede; e il suo intervento (buffamente provvidenziale) non serve ad accendere lumi ma a spegnerli.
E’ questo un concetto vecchio quanto l’istituzione (military intelligence: contraddizione in termini”, diceva il generale in “Good Morning, Vietnam”), ma i Coen lo declinano con acutezza e humour incomparabili nei dialoghi fra il dirigente della CIA, dagli occhi di rugiada, e il suo sottoposto – fino alla sublime conclusione che dice: Cosa abbiamo imparato da questa storia? Forse a non farlo più. Anche se è difficile, visto che non sappiamo cosa abbiamo fatto. Questa vertigine della non conoscenza (il non-senso delle cose) è la cifra di tutto il cinema coeniano.
Non vorrò qui sostenere che “Burn After Reading” è il miglior film dei fratelli Coen. Mi limito ad attestare che è quasi intollerabilmente intelligente, estremamente divertente (nel suo tono stridulo, ch’è proprio di tutta la commedia coeniana, a parte l’alto e cordiale “Fratello, dove sei?”), splendidamente diretto (e come non menzionare la precisione chirurgica del montaggio?). E che s’inserisce a perfezione nella filmografia coeniana. Può abbondantemente bastare.

3 commenti:

Favilla ha detto...

Al solito, una recensione che lascia abbacinati per la puntualità e il sintetismo dei commenti, e per la finezza delle metafore: quel "ben pochi uomini sono capaci di riconoscersi quando si guardano nello specchio" non è meno da applausi del film cui fa riferimento.
Per una rara volta nella vita, mi trovo a non avere null'altro da aggiungere.

giorgioplac ha detto...

Cara Silvia, ti ringrazio del parere, ma mi fai arrossire (e così divento George Blush)

Favilla ha detto...

Beh, con i tempi che corrono (o meglio, che arrancano) il calembour sarebbe più che doveroso per il tuo quasi omonimo ;)