Kevin Costner
Ci riporta all’epoca - come si dice - quando gli uomini erano uomini e le vacche erano vacche, il bellissimo western di Kevin Costner “Terra di confine” (“Open Range”). Però in verità le vacche non godono di una speciale attenzione nel film; mentre i cavalli beneficiano di due o tre inquadrature stupende, ma non sono particolarmente rilevanti. L’animale più significativo del film è un cane, e questo ci dice qualcosa. Nel sistema simbolico del cinema western il cane rappresenta il focolare, la famiglia, la tranquillità della vita quotidiana. Infatti “Open Range” è uno di quei western che mettono in primo piano il quotidiano, il paesaggio, il lavoro, prima che i protagonisti siano tirati per i capelli nello scontro: un western bucolico. Lo dice la prima parte, con quel suo soffermarsi sui cavalli che bevono l’acqua del fiume, sul cagnetto che scodinzola al ritorno dei padroni; lo grida forte la magnifica scelta - nella scena della sepoltura, dopo che i malvagi hanno ucciso un cowboy e il cane - di inquadrare i musi dei cavalli durante la preghiera per “due anime gentili”. Attenzione, bucolico non significa lezioso e piagnucolone. Questo è un western serio e duro: si picchia forte, si spara per uccidere, e si mettono in corpo al nemico tre colpi per assicurarsi di averlo fatto bene. Così fanno i due protagonisti, un indimenticabile Robert Duvall (doppiato splendidamente da Omero Antonutti) e un ottimo Kevin Costner asciutto, sobrio, che non nasconde i capelli che si diradano, e ha perso quel tocco di pomposità alla Robert Redford, un po’ irritante, d’una volta.
Questo film di e con Kevin Costner è una storia di allevatori nomadi contro rancheros; e si capisce che, anche al di là della specifica avventura, il cuore di Costner è tutto per i primi. Tutto il non detto, tutto l’implicato di “Open Range” ci parla di lunghi viaggi sull’erba, vita nella natura fra vento e pioggia, bivacchi nel freddo della notte, scherzi ingenui presso il fuoco, giochi da bambini, litigi, apprendimenti. Il romanticismo quasi russoiano di Costner, che già era l’anima di “Balla coi lupi”.
Western bucolico, russoiano: sono aggettivi che naturalmente ci riconducono dritti a chi incarna la terza delle grandi strade del western classico, accanto a Ford e Hawks: il grande Allan Dwan. “Open Range” è in tutto e per tutto un western alla Dwan. I suoi concetti base sono gli stessi del maestro: rispetto e fiducia, dignità, correttezza, pudore. Robert Duvall e Kevin Costner prima di aprire la caccia ai nemici sotto la tempesta si prendono la briga di salvare un cagnolino (ancora un cane!) che stava annegando nella strada inondata. Annette Bening confessa a Kevin Costner di sognare “un uomo gentile e premuroso”; e le scene del loro timido corteggiamento sono di bellezza assoluta.
Detto in una parola, “Open Range” è un film onesto - la caratteristica dei veri western. I buoni cittadini dapprima hanno paura dei prepotenti, scappano, si rifugiano nella chiesa, poi si ribellano e si mettono anch’essi a sparare, ma poi ci prendono gusto e inseguono il bandito sopravvissuto ammazzandolo in venti contro uno. Kevin Costner (sia come regista sia come personaggio) li guarda con uno sguardo po’ triste, di chi sa che questa è la vita. Nota che anche questa diffidenza nei confronti della folla è un tratto tipico di Allan Dwan (cfr. “La campana ha suonato”). Sempre agganciato al realismo, “Open Range” mantiene una quieta semplicità di racconto (tanto che la scena dell’incubo di Kevin Costner, pur ben realizzata, risulta un po’ artificiosa perché si allontana dalla narrazione “matter of fact” del film). Del pari, i suoi eroi hanno una calma confidenza e accettazione. “Beh, se devo morire voglio prima levarmi la voglia di dolce”, dice Robert Duvall; e la scena in cui prima di affrontare uno scontro impari i due si comprano sigari Avana e cioccolato svizzero è destinata a restare - per la giustezza psicologica, la dignità e la grandezza - nell’antologia ideale del western in assoluto.
(Il Nuovo FVG)
giovedì 11 settembre 2008
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