giovedì 11 settembre 2008

La vita è un miracolo

Emir Kusturica

Un film come “La vita è un miracolo” di Emir Kusturica sembra fatto apposta per dimostrare l’antico principio che il tutto è più della somma delle parti. Esempio di ordine culinario più che estetico: i krapfen sono molto buoni, però se uno ne mangia trentacinque di seguito è possibile che gli vengano a nausea. Allo stesso modo, quest’affastellamento di scenette anche gradevoli, ma così programmaticamente “à la Kusturica”, non dà vita a un film; produce piuttosto un effetto di infastidita sazietà.
L’essenza del cinema ipertrofico di Emir Kusturica è un’eccitazione, un gasamento, una frenesia, che appartiene allo stesso modo all’autore (dalla vis narrativa e dalla golosità visuale strabordanti, pantagrueliche, smoderate) e al mondo che egli dipinge: un affollarsi strabocchevole di figurette semi-grottesche, frenetiche, rumorose, ubriache di grappa, con quei “visi all’ennesima potenza”, quegli animali onnipresenti, quel bric-à-brac oggettistico tipo madeleine proustiana in salsa jugo, quell’atmosfera balcanica fra sogno e realtà.
Anche ne “La vita è un miracolo” diverse scene, prendendole isolatamente, sono felici (a volte, le più “laterali”, meno necessarie dal punto di vista della costruzione narrativa). Vedi per esempio la delirante descrizione della festa dell’inaugurazione, satira memorabile dei riti nazional-popolari dell’era comunista. Oppure la folle sequenza della caccia all’orso con musica e canti - come molto cinema di Kusturica, specie nella sua prima parte “La vita è un miracolo” è quasi un musical balcanico, con la sua gustosa musica di sapore gitano (però talvolta il mediocre montaggio lo rovina negando a quelli che potremmo chiamare i “numeri” un vero climax). L’interpretazione del protagonista Slavko Stimac è piuttosto modesta, ma ottima è Vesna Trivalic nella parte della moglie pazza.
L’aspetto più rilevante del film è il modo invero abile in cui inserisce nell’allegro caos pacifico della prima parte accenni simbolici cupamente premonitori della guerra futura. Vedi l’invasione degli orsi, che raggiunge, anche grazie a un bel passaggio di dialogo, una pregnanza metaforica autentica e drammatica. O la notevole sequenza della partita di calcio che diventa comica rissa. O la festa di partenza del giovane di leva, dove i gioiosi spari in aria diventano un’anticipazione di ben altri spari.
Un problema de “La vita è un miracolo” è che in realtà si tratta due film in uno: poiché, quando si passa dalla pace alla guerra, quel suo allegro grottesco dispiegato si restringe; forse era inevitabile, ma certo si crea una discrasia di tono ch’è fra i difetti maggiori del film. Ma c’è un problema ben maggiore: anche le scene più felici si perdono in una costruzione gonfia e pesante. In questo film, le caratteristiche di tutto il cinema di Kusturica nel bene e nel male (una vitalistica ipertrofia descrittivo/visuale, intrisa di irrealismo poetico, che si allarga a spese della struttura narrativa) sono ormai diventate manierismo. E’ un rifare se stesso: proprio come Fellini (cineasta vicino per molti tratti al nostro) nella parte declinante della sua carriera fellinava, così Kusturica kusturizza. Così, a un certo punto è tristemente inevitabile che il letto con sopra i due amanti si metta a volare: non è più una soluzione poetica, è un marchio di fabbrica.
Certamente Emir Kusturica ha talento - ma un talento incapace di autodisciplina. Non per nulla i suoi film migliori sono i primi (gli splendidi “Ti ricordi di Dolly Bell?” e “Papà è in viaggio d’affari”), dove condizioni storiche e biografiche lo costringevano a moderarsi; vi aggiungerei “Gatto nero gatto bianco”, dove l’argomento più ristretto e limitato in qualche maniera sortisce l’effetto di circoscrivere la sua enfasi visionaria prima che diventi magniloquenza. Mentre “La vita è un miracolo” con tutto il suo impegno para-poetico ha qualcosa di ampolloso e indisponente, perché si sente sotto un manierismo autocompiaciuto.

(Il Nuovo FVG)

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