Pappi Corsicato
Quelli che apprezzano un film solo ed esclusivamente per il côté visuale saranno (i soli?) soddisfatti da “Il seme della discordia” di Pappi Corsicato. L’idea base del film richiama la kleistiana Marchesa von O. Veronica (Caterina Murino) si ritrova incinta senza sapere come, visto non ha tradito il marito (Alessandro Gassman) e questi è sterile. Offeso nell’onore, il marito - il quale peraltro la cornificava abbondantemente - l’abbandona. In realtà lei è stata posseduta mentre era svenuta dopo una rapina (a differenza della Marchesa originale, qui è del tutto incredibile che non lo capisca subito).
Lo spunto è interessante (lo diceva anche von Kleist), ma la realizzazione è deludente: una simil-commedia diseguale, dal ritmo incerto e dal dialogo faticoso. In ultima analisi, non più che una brutta copia di Almodovar. Per fortuna può contare su una serie di buoni attori - non dico tutti (Sergio Leone diceva del giovane Clint Eastwood: possiede due espressioni, col cappello e senza. Alessandro Gassman possiede esattamente la metà delle espressioni di Clint Eastwood).
Pappi Corsicato è uno dei nostri registi più notevoli, e ricordo in particolare il bellissimo “I buchi neri”; ma il suo stile fatto di bizzarria inventiva, spudoratezza popolare-barocca e raffinatezza visuale si ritrova ne “Il seme della discordia” solo come residuo. Vorrei menzionare a questo proposito una soluzione visiva affascinante: il dialogo di Caterina Murino e Michele Venitucci nel parco, inquadrati in campo lungo mentre contemporaneamente le loro figure sono incorniciate ai due bordi dell’inquadratura dai loro volti di profilo in primissimo piano. Altre scene non sono egualmente felici. Quella sull’orgasmo con Alessandro Gassman e Iaia Forte è una barzellettina: più che Pappi Corsicato è Neri Parenti; mentre la scena, divertente, del litigio con la (finta) suora viene rovinata da un montaggio frettoloso.
Nel suo aspetto migliore, “Il seme sulla discordia” è trionfale fisicità. Un grande merito del cinema di Corsicato è sempre stato il suo sguardo carnalmente rapito sul corpo femminile; lo ritroviamo anche qui, su Caterina Murino come su tutte le altre belle, fin dall’inizio, quando vediamo i titoli di testa dispiegarsi (e chi mai li leggerà?) su una sfilata di splendide gambe, seni e sederi, come in un Truffaut impazzito.
Ma è parimenti assai bello lo sguardo gettato, grazie alla fotografia di Ennio Guarnieri, sull’architettura, che crea una città sognante e chimerica. In questo film la mdp è sempre ben piazzata, la composizione è sempre ricercata, la fotografia è elegante, felice di produrre immagini classicamente “corsicatiane” come quella del sogno di Veronica (quella riprodotta sul poster del film) che fonde in un’estasi panica il corpo, il pube, il fiore. Tuttavia “il seme della discordia” soffre della contraddizione fra la sua raffinatezza visiva e una certa faciloneria della sceneggiatura (di Corsicato e Massimo Gaudioso): l’inefficacia della sceneggiatura e l’inconsistenza del dialogo hanno un effetto esiziale, perché deprivano il film di senso.
Anche la commedia più fiabesca ha bisogno di una credibilità di linguaggio e di una logica di comportamento dei personaggi. Invece “Il seme della discordia” inanella una serie di sconcertanti forzature. Esempio: Veronica ha morso uno degli assalitori; giorni dopo, vedendo che il figlio dell’amica Monica ha un cerotto sulla mano, “ipso facto” lo accusa; Monica (Isabella Ferrari) stupita dice: si è fatto male cadendo dalla moto. Qui una persona normale risponderebbe o “Ah, beh” o “Ti ha raccontato una balla”. Lei invece ringhia: “Ecco, difendilo!” - poca sorpresa che si incrini un’amicizia; si incrina anche la credibilità dell’opera. Questa psicologia “televisiva” (nel senso che gli sceneggiati tv ne sono un campionario) ricorre di frequente nel film. Sicché tutto il ricco aspetto visuale resta come isolato, e finisce per essere soverchiato da un senso montante di molesta contraddittorietà.
(Il Nuovo FVG)
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