Asia Argento
Si sente, nel bel debutto al lungometraggio di Asia Argento “Scarlet Diva”, la cultura moderna del videoclip. Non solo per l’impronta visiva, il ritmo, o più in generale l’importanza “fondante” della musica (un ottimo lavoro di John Hughes); anche più in generale, e conviene partire di lì.
Il discorso dei videoclip è un discorso di secondo grado, ha in sé qualcosa della citazione. E’ un discorso espresso come segno, concentrato, e per così dire “rispecchiato”: perché, se non modellato sulla musica, si pone comunque “a partire da” quella. Ora, “Scarlet Diva”, che Asia Argento ha scritto e diretto, descrive sentimenti autentici - i passaggi esistenziali della protagonista Anna, alter ego di Asia, dalla “personalità obliqua”; il suo amore per Kirk, rockstar e imbroglioncello - ma il linguaggio attraverso cui si esprimono è quello dell’“amore citato”, il discorso come segno, come nella canzone e nel clip. Anche sul piano stretto del linguaggio: “Noi siamo amanti impossibili”, “E’ tutta la vita che ti aspetto”, “Tu sei il mio amore, io ti aspetterò per sempre” (come è “citata” l’espressione di un certo neo-decadentismo giovanile nel discorso di Anna su di sé, vergine e puttana).
Qui però Asia Argento introduce il rovesciamento, che passa attraverso la sua presenza fisica, perno del film. Questa ha un doppio statuto. Nella maschera di Asia Argento abbiamo la persona e l’icona; il film lavora su questa doppia istanza con molta consapevolezza, che si vorrebbe dire istintiva. In questo, non nei fatti, è profondamente autobiografico. Nel film Asia Argento gioca sul sé e il non sé con intelligenza e ironia: un ambiguo rispecchiamento (racconta di un’attrice che vuole smettere di recitare per passare alla regia), dettagli come quello geniale di inserire nella parte della madre cattiva, e drogata che muore d’overdose, la sua madre autentica, Daria Nicolodi
Icona, Asia Argento lo è. Per la sua figura, per la sua mitologia; e nei suoi film più significativi ha lavorato con due registi fortemente metacinematografici come suo padre Dario e Abel Ferrara. Ma lei incrina l’icona con l’immediatezza del suo esser/ci. Tratti vivi, espressivi, spontanei, quasi spudoratamente personali (esempio minimo, la smorfia sul deodorante che brucia sulla pelle depilata). Insomma Asia Argento è mercuriale. Tutto il suo film, e lei nel film, gioca su questo essere dentro e fuori dai confini, dalla drammaturgia, dall’icona, dal ruolo. E’ questo a dargli la sua freschezza.
Cui si collega uno humour vivace. A 24 anni Asia Argento ha già qualcosa da insegnare nel panorama asfittico del cinema italiano: un approccio vivo, “curioso”, spiritoso, che emerge con un tocco memorabile nel quadretto di Paolo Bonacelli intervistatore svizzero col cappello da alpino; ma possiamo citare il bell’episodietto erotico-surreale con Selen, la scoperta di Veronica (Vera Gemma) legata nuda, lo scherzo su Anna che inciampa e cade nel guardarla che scopa col suo amante - qui riprendendo ironicamente quel tema del voyeurismo sessuale ch’è ritornante nel film, e implicito nel nostro stesso guardare di spettatori; nota che il film consapevolmente lo innesta con la prima inquadratura; anche su questo piano “Scarlet Diva” gioca consapevolmente con lo statuto del racconto.
Velocità e freschezza. E’ importante che il film sia stato realizzato in digitale. Asia Argento ha definito bene, parlando a Udine con la stampa, la leggerezza del mezzo che rende più liberi gli interpreti (ancora una volta vediamo che la caratteristica dell’occhio determina ciò che è guardato). Ma penso in particolare a come il digitale abbia consentito il furto degli esterni: il film, racconta l’autrice, è stato realizzato in poche settimane a Roma più una in giro frenetico per il mondo a riprendere esterni di nascosto, poi utilizzati con didascalie che sembrano trofei. In giro per il mondo a rubare cinema (un’idea da Nouvelle Vague). E’ giusto: il cinema ruba la vita (è un vampiro, direbbe il Coppola di “Bram Stoker’s Dracula”); la vita rubi il cinema.
(Il Friuli)
giovedì 17 gennaio 2008
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