sabato 18 maggio 2024

Il gusto delle cose

Tran Anh Hung

L’Ottocento! Il secolo del gusto: la gourmandise. Nel tardo Ottocento, quando alle tavole imbandite (quelle dei ricchi, beninteso) si mantiene il ricordo di Carême e Brillat-Savarin, mentre sta salendo l’astro di Escoffier, si svolge Il gusto delle cose, film francesissimo di Tran Anh Hung, di cui Brillat-Savarin con la sua Fisiologia del gusto è il nume tutelare. Un film che piacerà molto a chi ama il cibo per la pura sensualità con cui lo tratta. Non solo il cibo: lo stesso gusto sensuale lo troviamo in due brevi scene di nudità amorosa che sono rinfrescanti in questi tempi di neo-puritanesimo (è solo un accenno, ma il legame fra il cibo e il sesso è chiaro).
Il famoso gastronomo Dodin Bouffant (Benoît Magimel) ha per cuoca e abilissima collaboratrice, nonché amante più volte chiesta in moglie, Eugénie (Juliette Binoche). Il loro rapporto di cucina e d’amore senza sorpresa, Binoche e Maginel sono eccellenti – si dispiega in un periodo finale (lei è malata) sontuosamente messo in scena con rimandi alla pittura post-impressionista. Le stagioni sono descritte sub specie dei cibi che forniscono (o fornivano...), ma il riferimento è naturalmente al ciclo della vita umana. Lo simboleggia la bellissima panoramica finale, che compie 360 gradi e poi continua, introducendo nascostamente un flashback che rappresenta il ricordo, e insieme la continuità del vivere. C’è una ragazzina (Bonnie Chagneau-Ravoire, dagli occhi molto espressivi), nipote di una servante, che mostra eccezionali capacità. Non è difficile immaginare che dopo la scomparsa di Eugénie prenderà il suo posto come principessa della cucina, all’interno della festiva compagnia gastronomica che si raccoglie intorno a Dodin (poche amicizie sono più salde di quelle che si riuniscono regolarmente a tavola; e anche questo è Brillat-Savarin).
Al centro di questo film così corporeo sta appunto il cibo, nella gloria d’antan della preparazione a mani nude con l’acqua versata dai bacili. Qui si può notare una cosa abbastanza strana: la sensualità del cibo esplode più nella preparazione sembra di sentirne i profumi! che nella consumazione (ove il film si affida soprattutto ai sospiri soddisfatti degli attori). Si ha l'impressione che Tran Ahn Hung fosse preoccupato di evitare l’“effetto Masterchef”, ovvero l’esibizione in dettaglio del piatto finito; eppure quei golosi dettagli, quel tuffare la macchina da presa dentro la materia fumante e i suoi succhi, nel momento magico che precede il godimento, avrebbero arricchito il film (vedi infatti Il pranzo di Babette e ancor più il voluttuosissimo
Tampopo del giapponese Itami Juzo). Ecco una lezione da ricordare: la sensualità è l'ingrandimento.

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