Giovanni Veronesi
Un
tema molto presente nel teatro di Shakespeare è il travestimento –
che è più che mai interessante quando investe lo scambio di genere,
con una ragazza che si fa passare per giovanotto (La dodicesima
notte, Come vi piace, Il mercante di Venezia). Questo, che implica
una particolare carica di ambiguità sessuale, era naturalmente
facilitato dal fatto che nel teatro elisabettiano le donne erano
sempre interpretate da ragazzi en travesti.
Il
concetto è stato sfruttato da sempre nel cinema (un importante film
del periodo muto, con Asta Nielsen, metteva in scena un Amleto donna
che è stato cresciuto ingannevolmente come maschio per ragioni
politiche). È senza dubbio tale concetto che ha suggerito una
commedia intelligentemente scritta come Romeo è Giulietta di
Giovanni Veronesi. Un anziano regista dispotico (Sergio Castellitto)
maltratta e respinge la giovane attrice Vittoria (Pilar Fogliati)
all’audizione per il ruolo di Giulietta in un suo spettacolo. Lei
giura vendetta e, con l’aiuto di una truccatrice licenziata (Geppi
Cucciari), grazie a un abile trucco e un naso finto assai realistico,
si fa passare per maschio (il nome della protagonista nasconde
un'allusione a Victor/Victoria) e si ripresenta per il ruolo di
Romeo. È per beffa, ma quando ottiene la parte, non ha più voglia
di svelarsi. Si instaura così un gioco degli equivoci, anch’esso
di sapore shakespeariano: vedi la complessa vendetta del fidanzato di
lei. Inoltre il vecchio regista si innamora di “lui”.
Giovanni
Veronesi è un regista che altre volte ha peccato gravemente di
verbosità (il terribile Il mio West non è cinema, è radio!); ma
stavolta, alle prese con un materiale così promettente, consegna un
film piacevole, sebbene non agilissimo. La parte più divertente sono
le audizioni di pessime attrici che precedono quella di Vittoria. Una
cosa degna di nota è peraltro il fatto che il teatro di Shakespeare
non è fatto per i nostri giovani attori: fra la recitazione
umoristicamente modesta imposta dal plot e quella “autentica” non
è che ci sia tutta quella differenza. In ogni modo, sebbene Pilar
Fogliati sia brava e convincente nella doppia parte, si crea nel film
una sorta di disfida generazionale fra i giovani e i vecchi – che i
secondi (Castellitto, Margherita Buy, Alessandro Haber) vincono alla
grande. In particolare Sergio Castellitto si mangia il film nella
parte del vecchio regista gay, ritratto memorabile di un uomo
arrogante ma tutt'altro che sciocco. Ci sarebbe molto da eccepire
sulla sua gentilezza (lo shakespeariano “latte dell’umana bontà”
scorre ben scarso in lui) ma, quanto al contenuto, le sue intemerate
violente e sarcastiche non sono solo divertenti ma del tutto
giustificate.
Nessun commento:
Posta un commento