sabato 27 gennaio 2024

Povere creature!

Yorgos Lanthimos

Il Frankenstein di Mary Wollstonecraft Shelley (1818, ripubblicato modificato 1831) non è semplicemente la storia di un mostro. Influenzato da Rousseau, nella vicenda del dottor Frankenstein e della sua creatura il romanzo dipinge in forma tragica la formazione intellettuale e morale di un uomo artificiale, tabula rasa, precipitato adulto nel mondo senza passare per l’apprendimento dell’infanzia (e rinnegato dal suo creatore per il suo aspetto mostruoso). Yorgos Lanthimos è sempre stato affascinato dal tema delle modifiche del/sul corpo umano, ma anche da quello del linguaggio. Così non stupisce il suo incontro col mito di Frankenstein; ce ne dà una riscrittura postmoderna con Povere creature! (Poor Things, sceneggiato da Tony McNamara dal romanzo di Alasdair Gray), che mette in risalto il doppio processo parallelo e in ultima analisi coincidente dell’acquisizione del linguaggio e della formazione dell'autocoscienza.

Entra in scena il dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe), il “dottor Frankenstein” della situazione, dal volto pieno di cicatrici. I suoi studenti lo chiamano “il mostro”, ma nel film ci si riferisce a lui col non innocente diminutivo God (Dio). Quando Bella, la creatura, dirà nel film cose come “God my father” il doppio senso è evidente; questo si perde in traduzione, ed ecco un motivo (in aggiunta a quelli canonici) per vedere il film nella versione originale sottotitolata. Il gusto per il grottesco di Lanthimos (la cui cifra è una "sacra dismisura") si esplicita anche nello zoo frankensteiniano, capitanato da un’oca a quattro zampe – precedenti esperimenti del dottore – che compare nel film. Godwin Baxter porta in viso e sul corpo i segni degli esperimenti sadico-scientifici di suo padre, uno scienziato pazzo: come dire, è anche lui una sorta di mostro di Frankenstein, come se attraesse su di sé la carica di mostruosità del mito. Infatti la sua creatura Bella (Emma Stone, nell'interpretazione della sua carriera), non è un mostro bensì una donna bellissima, anche se ha una backstory particolarmente macabra.
Scopriamo Bella con gli occhi dell’ingenuo assistente dottor McCandless (Ramy Youssef); nel film ritorna per bocca di lei il bisticcio con Candles (candele), ironica allusione alla luce della conoscenza. Lo shock della scena del rospo mostra il grande tema narrativo del film, che si sviluppa a poco a poco: la formazione della coscienza nella creatura; in questo senso, fra tanti Frankenstein cinematografici, fra tante versioni e riscritture del mito, quella di Lanthimos è probabilmente l’opera cinematografica che lo ha meglio compreso. Se da Mary Shelley in poi lo scopo delle varie versioni è stato di delineare (certo, spesso per sommi capi) il modo di pensare del mostro, qui il film crea una cronaca rigorosa e credibile del suo svuiluppo; quello che appare più geniale, innovativo e psicologicamente plausibile è di dipingere uno sviluppo ineguale, a tratti, per cui le preoccupazioni illuministe di Mary Shelley vengono riprese e concretizzate – anche se in un modo che l’avrebbe scandalizzata.
Bella viene dal nulla”, dice God. Il suo sviluppo mentale parte da uno stadio iniziale tutto aggressività e infantilismo, dal linguaggio più che elementare, con una golosità sessuale del tutto opposta alle regole della morale vittoriana (e non solo): “Bella scoperto gioco gradevole”, annuncia tutta lieta a tavola (le citazioni sono dai sottotitoli della proiezione a Venezia). Lanthimos ha notoriamente uno sguardo piuttosto freddo, pur con tocchi di pietas, sulle emozioni umane. Ma Bella, creatura di laboratorio partita da zero, non è umana in senso stretto – o per meglio dire, è più umana degli altri. Proprio come Tod Browning, Lanthimos ha simpatia per i “mostri”.

Senza che Godwin si preoccupi di fermarla, Bella fugge a Lisbona col libertino Duncan (Mark Ruffalo). Il film ci scaraventa in un coloratissimo delirio steampunk (un tardo Ottocento con decisi elementi futuristici) che raggiungerà i tratti più folli nel disegno di Alessandria, una delle tappe del lungo viaggio. Quello spazio-tempo irreale che Lanthimos aveva creato coi grandangoli ne La favorita, qui è dato dall’ambientazione steampunk attraverso la CGI.
A Lisbona e in seguito, Bella si dedica con innocenza primigenia alla gioia del sesso e alla scoperta del mondo. Delizioso il modo in cui il suo linguaggio diventa sempre più preciso ma mantiene un elemento alieno e straniato (è l’aspetto più divertente del film, che senza essere una comedy è tuttavia gustosissimo). Questa creatura uscita da un laboratorio, magari si impaccia sulla sintassi ma ha un modo tutto suo di introdurre nel proprio discorso precisi termini medico-scientifici e concetti come “empirico”. Bella non comprende le metafore e intende tutto in modo referenziale (quando dopo un’assenza Duncan la rimprovera “Sei sparita”, lei: “No. Non si può sparire”). Più oltre nell’apprendimento, Bella prende a usare una sfilza di sinonimi attaccati, come se ciascuno portasse una sfumatura di significato per cui solo l’insieme riesce a trasmettere l’idea. Soprattutto, Bella non comprende le norme sociali che presiedono al linguaggio; non sa mentire: la sua innocenza è quella dell’herzoghiano Kaspar Hauser. Conseguente disperazione dell’innamorato Duncan – per la sua totale ignoranza del background di Bella, la figura di Duncan integra la classica “condizione ironica” : ovvero, soffre di una mancanza di competence rispetto agli spettatori.
Conveniva accennarne separatamente, ma contestualmente allo sviluppo linguistico di Bella Povere creature! (scandito in capitoli che sono altrettante tappe di un percorso sia materiale che interiore) ne traccia il completo sviluppo intellettuale, morale, anche politico. È insieme una satira sociale, un manifesto femminista-libertario e una riflessione sul libero arbitrio (anche questo si può riferire alla riflessione di Mary Shelley). Bella cresce come autocoscienza in stadi progressivi, imparando via via, ma sempre mantenendo un’alterità pressoché anarchica rispetto alle convenzioni della società, come Gulliver nei suoi mondi alieni; passando dalla scoperta orrificata della povertà estrema in Alessandria (“Il denaro è una malattia – e anche la sua assenza”) alla vita alla vita in un bordello a Parigi, che è un’affascinante riflessione sul sesso, fino al ritorno a Londra, per un capitolo finale, forse fattore di minore equilibrio nella tessitura del film ma comunque necessario allo sviluppo narrativo, completando la backstory e aprendo alla conclusione. Una conclusione di trionfale liberazione, in un frankensteiniano giardino incantato, dove Bella decide di diventare la prima donna laureata in medicina d'Inghilterra. Non è anche questo – agli occhi del maschilismo vittoriano – (sanamente) “mostruoso”?

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