Emma Dante
Ecco
l’aggettivo adatto per il nuovo film di Emma Dante: tellurico. Film
potente per immediatezza e forza della visione, Misericordia è
tratto da una sua opera teatrale ma trasforma l'elemento
astratto/evocativo del teatro nel paesaggio concreto del cinema: il
mare, la montagna, i campi giallastri, la cava di marmo (l’eccellente
fotografia è di Clarissa Cappellani).
In
un borgo sul mare, vive in casupole poverissime una comunità
prevalentemente femminile. E’ un luogo di prostituzione su cui
regna il bestiale Polifemo (ha un occhio solo); gli uomini sono per
lo più sfruttatori: il magnaccia e i “clienti”. Qui Emma Dante
parla del dolore e della resistenza delle donne. Fra litigi e
rappacificazioni volano sorrisi segreti e motti d’intesa. C’è
un'inquadratura assai bella in cui tutte le donne, immobili, guardano
in silenzio verso l’obiettivo.
A
inizio film, il protagonista Arturo è neonato quando sua madre viene
uccisa. Con un abile uso del gesto di girare su se stesso nel
montaggio di Benni Atria siamo trasportati all'Arturo cresciuto
(Simone Zambelli), un giovane mentalmente disturbato, amico delle
pecore e dei bambini. Vive sull’isola protetto da due donne che
l’hanno allevato, Nuccia e Betta, “zie” e madri sostitutive,
più Anna, una giovane prostituta appena arrivata (la scena in cui lo
sorreggono dopo una crisi epilettica è reminiscente di molte Pietà),
che lo difendono dall’odio di Polifemo.
Ma
ritorniamo all'apertura: la mano della madre che si aggrappa alla
roccia, come a passarle la vita del figlio, e il crollo di pietre
dalla montagna, che precedono la ripresa subacquea del corpo in mare,
si legano all’inquadratura del neonato in una nicchia fra le rocce,
quasi figlio della montagna stessa. Mentre l’acqua preme dal basso
allagando i pavimenti delle povere case, la montagna romba e
minaccia; e scatenerà la sua ira con una frana quando Arturo viene
aggredito nel pre-finale. Misericordia incrocia con successo un
realismo addirittura verista e un sottotesto simbolico e mitico, a
partire dalla correspondance fra la montagna e Arturo. Non è neppure
senza significato che queste donne che lo appoggiano siano tre: la
triade femminile che regge l’esistenza in diverse mitologie.
Si
ha l’impressione che questo film, in cui il dolore umano e la
resistenza delle donne si iscrivono nella “straziante, meravigliosa
bellezza del creato” (parole finali di Che cosa sono le nuvole?), debba qualcosa a Pasolini; e c’è effettivamente almeno una scena
che lo ricorda molto (il gioco fra Arturo e Anna in un intrico di
fili di lana). Ma ancor più il film ricorda, nella sua concretezza e
materialità che non si oppone al substrato mitico, il cinema
“primevo” di Michelangelo Frammartino.
Invero,
rispetto alle opere precedenti di Emma Dante, Misericordia è come
certe gemme con leggere imperfezioni. A parte la musica forse troppo
presente, a tratti (rari) fa capolino un sospetto di “poeticismo”:
pensiamo all’inquadratura “fiabesca” della ragazzina suicida
che dopo essersi gettata in mare si adagia sul fondo con l’acqua
che muove le sue trine – un’inquadratura che ricorda Matteo
Garrone, regista che Emma Dante ammira. Tuttavia, il film è
in genere estremamente controllato, e certe rare e minori svirgolate
poetiche, stante l’ambiente mitico, pesano di meno.
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