Giacomo Abbruzzese
Dopo
l'immagine di apertura su un gruppo di neri che dormono accatastati,
Disco Boy di Giacomo Abbruzzese (vincitore di un Orso d’Argento a
Berlino) ci porta al racconto di un tentativo di passare
clandestinamente dalla Bielorussia via via fino in Francia.
Apparentemente è un inizio realistico, ma la narrazione
ultrasintetica tende a trasportarlo sul piano poetico; volutamente
ellittico, per non dire slegato, sempre più mentre procede il film
si situa sul versante onirico e simbolico. Il giovane Aleksei (Alex),
che ha un tatuaggio che significa “orfano”, vede morire in un
fiume che potrebbe essere l’Oder l’amico con cui tentava il
passaggio; arrivato in Francia si arruola nella Legione Straniera,
mirando alla cittadinanza promessa entro alcuni anni di servizio. La
sua storia si incrocia con quella di Jomo, guerrigliero in Nigeria
che si batte contro le compagnie petrolifere occidentali, e di sua
sorella (i due hanno la particolarità di un occhio color ambra);
Jomo dice a un compagno che se fosse nato bianco avrebbe voluto fare
il ballerino in una discoteca. Dapprima è una narrazione parallela,
poi arriva un combattimento in un fiume (i fiumi sono un elemento
ritornante del film: l’Oder, la Senna, il Niger), in cui Alex
uccide Jomo. Molto bella qui l'idea del regista di usare una
telecamera a infrarossi, che trasforma i corpi in macchie di colore.
Ritmato
dalla musica di Vitalic, Disco Boy è un film di immagini ritornanti
e di raddoppiamenti. Non solo la ragazza (che potrebbe esser morta:
lo sguardo malaugurante di un militare nigeriano nel villaggio in
fiamme) sembra riapparire in una discoteca parigina, sconvolgendo
Alex; ma anche Jomo, che proprio lui ha ucciso e sepolto, ritorna,
fino a una fusione fra i due, segnalata dall’occhio color ambra. In
verità nella seconda parte, costellata di citazioni (Coppola,
Kubrick, Winding Refn), il film tende a perdersi; sono più belle le
immagini di quanto sia rigorosa la costruzione narrativa. Un film
imperfetto, ma che nella sua apertura simbolica raggiunge un
interesse che manca ad altri lavori narrativamente più rifiniti.
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