domenica 1 gennaio 2023

The Fabelmans

Steven Spielberg

Al centro del cinema c’è l’occhio (della macchina da presa e per suo tramite dello spettatore), ovvero la visione. Ricordiamo che il cinema nasce non come racconto ma come fotografie animate; e anche in Méliès la narratività serve a dare occasione alla meraviglia dell’occhio. E’ proprio la visione che il cinema di Steven Spielberg mette al suo centro, con quello “sguardo innocente” che è lo sguardo cinematografico per l'autore americano: lo sguardo della scoperta e dello stupore, sempre in dialogo col potere della visione totale concesso dal cinema. Può essere una visione di orrore (non solo Schindler’s List! Indimenticabile Tom Cruise che copre gli occhi alla piccola Dakota Fanning ne La guerra dei mondi) oppure di disperata bellezza (fra tanti esempi, L’impero del sole: il bambino bianco, che è un cantore, nel campo di prigionia giapponese assiste di lontano alla cerimonia di investitura dei kamikaze – e di fronte ad essa eleva un inno), ma sempre colpisce l’occhio come una lama.

Ecco ora l’autobiografico The Fabelmans (titolo che solo la scarsa intelligenza dei distributori poteva lasciare in originale, anziché I Fabelman, che avrebbe pure avuto un sapore andersoniano, o La famiglia Fabelman). The Fabelmans è quello che uno scrittore latino avrebbe chiamato apologia pro vita sua. Non è solo un’autobiografia ma una summa e una spiegazione del suo cinema. Quella marca visiva costante nel cinema di Spielberg che sono le luci bianche “sparate” contro l’obiettivo / contro l’occhio dello spettatore qui consiste esplicitamente nella luce del proiettore.
C’è un punto di svolta nella vita del piccolo Spielberg trasformata in quella del piccolo Sam Fabelman: quando a sei anni i genitori lo portano a vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille, un autore centrale per la formazione dell’immaginario spielberghiano, e la visione del disastro ferroviario dapprima lo terrorizza (così fin dall’inizio del film lo shock spielberghiano della visione si sposta sull’immagine cinematografica) ma poi diventa la pietra angolare della sua passione per il cinema; e viene riprodotta con i mezzi super-artigianali del futuro regista, già conscio della possibilità della macchina cinema di concretizzare i ricordi e i sogni. La luce del proiettore che dà corpo alle immagini registrate sulla pellicola è davvero such stuff as dreams are made on, e il regista è Prospero.
In The Fabelmans è molto chiaro che il cinema non soltanto concretizza i sogni ma anche ci fa scoprire (vedere) quello che non abbiamo visto. Scoprire l'adulterio della madre nella moviola passando il filmato delle vacanze – anche qui lo sguardo produce la visione insostenibile di tanto cinema di Spielberg; ma mentre in altri suoi film tale visione appartiene direttamente alla macchina cinema, ovvero la “realtà” del racconto, qui appare in un filmino di famiglia, che nel quadro diegetico è una riproduzione, un documento. Ecco allora che in The Fabelmans la visione, col suo peso, si articola in un doppio senso: dalla realtà (nell’universo diegetico e fictional) alla visione di un film nel film: qui, con la stessa dignità, il filmato “documentario”, il film di DeMille, il war movie amatoriale girato da Sam Fabelman con gli amici. Spielberg, che ha già elaborato nella sua opera una vera e propria filosofia della visione (si pesi a Minority Report), qui pone questo doppio livello con lucida semplicità.

In Spielberg è attraverso la visione che passa con forza la narratività. Alla base tematica del suo cinema (ne ha scritto perfettamente Flavio De Bernardinis) stanno il viaggio, la scoperta, l'incontro con un’energia nuova, e alla fonte c’è la Bibbia, il concetto della Terra Promessa, che è l’America. Così la Frontiera (la lotta fra il bene e il male – il deserto e il giardino, direbbe John Ford, e naturalmente la menzione non è casuale) passa all’interno della civiltà americana. Perché non sono soltanto le forze ctonie ad attaccarla da fuori: la natura irredimibile ne Lo squalo, gli extraterrestri de La guerra dei mondi (dove vediamo i rampicanti alieni aggredire la statua del soldato della guerra d’indipendenza!), naturalmente il nazismo, e il comunismo russo nel quarto Indiana Jones. No, è una faglia che passa al suo interno: dallo schiavismo da Amistad a Lincoln al maccartismo, che fa la sua comparsa nel succitato Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, alla grande industria (dei videogiochi) nel distopico Ready Player One. E in The Fabelmans Spielberg rievoca sotto la trasparente maschera di Sam Fabelman l'antisemitismo che ha conosciuto da ragazzo, con questi giovani californiani “ariani” e nazi-like senza neppure saperlo. Come (inconscia?) vendetta, Sam filma il loro capo Logan in forme di esaltazione visiva alla Leni Riefenstahl – scatenando con questo una crisi interiore nel giovanotto, il quale intuisce immediatamente la differenza che esiste fra il sé contingente e la sua rappresentazione epica.
Nota in margine: Anche se Logan lo ignora (non è un nazista conscio ma solo, come dice Sam, un jerk), il programma di eliminare questa differenza è una delle caratteristiche base del nazismo. Ne ha scritto, con una sorta di fosco fascino, Julius Evola.

Tornando a The Fabelmans, il film è un Bildungsroman, che delinea con nettezza i due poli della crescita di Spielberg/Fabelman, tra l’impulso totalizzante di fare cinema (“arruolando” le sorelle e gli amici nei primi ingenui tentativi) e la vita nella famiglia ebraica in una descrizione calda e partecipe. Vi entra un elemento drammatico in relazione al segreto della madre, l'adulterio con il miglior amico del padre; il film descrive una situazione tanto più dolorosa in quanto non c’è odio da nessuna parte – sebbene emerga da parte dei figli quell'incapacità di comprendere e di accettare che caratterizza l’egoismo giovanile. Così, The Fabelmans è splendido nel portare in primo piano un elemento di melodramma familiare che pareva sparito dal cinema. In questo senso, ha peso l’omaggio finale a John Ford (interpretato con stupefacente adesione da David Lynch): un incontro sul quale si fonda la carriera futura di Fabelman ma che dà al di là di ciò dà il senso a tutto il film. Non serve unicamente al racconto: è testimonianza di un rapporto organico con il cinema precedente all'arrivo della generazione dei movie brats hollywoodiani: un rapporto che, di quella illustre banda, Spielberg ha forse più di tutti mantenuto.

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