Steven Spielberg
Al
centro del cinema c’è l’occhio (della macchina da presa e per
suo tramite dello spettatore), ovvero la visione. Ricordiamo che il
cinema nasce non come racconto ma come fotografie animate; e anche in
Méliès la narratività serve a dare occasione alla meraviglia
dell’occhio. E’ proprio la visione che il cinema di Steven
Spielberg mette al suo centro, con quello “sguardo
innocente” che è lo sguardo cinematografico per l'autore
americano:
lo
sguardo della scoperta e dello stupore, sempre
in dialogo col potere della visione totale concesso dal cinema.
Può
essere una visione di orrore (non
solo Schindler’s List! Indimenticabile
Tom Cruise che copre gli occhi alla piccola Dakota Fanning ne La
guerra dei mondi)
oppure
di disperata bellezza (fra
tanti esempi,
L’impero
del sole: il bambino bianco, che
è un
cantore, nel campo di prigionia giapponese assiste di lontano alla
cerimonia di investitura dei kamikaze – e di
fronte ad essa eleva
un inno), ma
sempre colpisce l’occhio come una lama.
Ecco
ora l’autobiografico The Fabelmans (titolo che solo la scarsa
intelligenza dei distributori poteva lasciare in originale, anziché
I Fabelman, che avrebbe pure avuto un sapore andersoniano, o La
famiglia Fabelman). The Fabelmans è quello che uno scrittore latino
avrebbe chiamato apologia pro vita sua. Non è solo un’autobiografia
ma una summa e una spiegazione del suo cinema. Quella marca visiva
costante nel cinema di Spielberg che sono le luci bianche “sparate”
contro l’obiettivo / contro l’occhio dello spettatore qui
consiste esplicitamente nella luce del proiettore.
C’è
un punto di svolta nella vita del piccolo Spielberg trasformata in
quella del piccolo Sam Fabelman: quando a sei anni i genitori lo
portano a vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B.
DeMille, un autore centrale per la formazione dell’immaginario
spielberghiano, e la visione del disastro ferroviario dapprima lo
terrorizza (così fin dall’inizio del film lo shock spielberghiano
della visione si sposta sull’immagine cinematografica) ma poi
diventa la pietra angolare della sua passione per il cinema; e viene
riprodotta con i mezzi super-artigianali del futuro regista, già
conscio della possibilità della macchina cinema di concretizzare i
ricordi e i sogni. La luce del proiettore che dà corpo alle immagini
registrate sulla pellicola è davvero such stuff as dreams are made
on, e il regista è Prospero.
In
The Fabelmans è molto chiaro che il cinema non soltanto concretizza
i sogni ma anche ci fa scoprire (vedere) quello che non abbiamo
visto. Scoprire l'adulterio della madre nella moviola passando il
filmato delle vacanze – anche qui lo sguardo produce la visione
insostenibile di tanto cinema di Spielberg; ma mentre in altri
suoi film tale visione appartiene direttamente alla macchina cinema,
ovvero la “realtà” del racconto, qui appare in un filmino di
famiglia, che nel quadro diegetico è una riproduzione, un documento.
Ecco allora che in The Fabelmans la visione, col suo peso, si articola in
un doppio senso: dalla realtà (nell’universo diegetico e
fictional) alla visione di un film nel film: qui, con la stessa
dignità, il filmato “documentario”, il film di DeMille, il war
movie amatoriale girato da Sam Fabelman con gli amici. Spielberg, che
ha già elaborato nella sua opera una vera e propria filosofia della
visione (si pesi a Minority Report), qui pone questo doppio livello
con lucida semplicità.
In
Spielberg è attraverso la visione che passa con forza la
narratività. Alla base tematica del suo cinema (ne ha scritto
perfettamente Flavio De Bernardinis) stanno il viaggio, la scoperta,
l'incontro con un’energia nuova, e alla fonte c’è la Bibbia, il
concetto della Terra Promessa, che è l’America. Così la Frontiera
(la lotta fra il bene e il male – il deserto e il giardino, direbbe
John Ford, e naturalmente la menzione non è casuale) passa
all’interno della civiltà americana. Perché non sono soltanto le
forze ctonie ad attaccarla da fuori: la natura irredimibile ne Lo
squalo, gli extraterrestri de La guerra dei mondi (dove vediamo i
rampicanti alieni aggredire la statua del soldato della guerra
d’indipendenza!), naturalmente il nazismo, e il comunismo
russo nel quarto Indiana Jones. No, è una faglia che passa al
suo interno: dallo schiavismo da Amistad a Lincoln al maccartismo,
che fa la sua comparsa nel succitato Indiana Jones e il regno del
teschio di cristallo, alla grande industria (dei videogiochi) nel
distopico Ready Player One. E in The Fabelmans Spielberg rievoca
sotto la trasparente maschera di Sam Fabelman l'antisemitismo che ha
conosciuto da ragazzo, con questi giovani californiani “ariani” e
nazi-like senza neppure saperlo. Come (inconscia?) vendetta, Sam
filma il loro capo Logan in forme di esaltazione visiva alla Leni
Riefenstahl – scatenando con questo una crisi interiore nel
giovanotto, il quale intuisce immediatamente la differenza che esiste
fra il sé contingente e la sua rappresentazione epica.
Nota
in margine: Anche se Logan lo ignora (non è un nazista conscio ma solo, come dice Sam, un jerk), il programma di eliminare questa differenza
è una delle caratteristiche base del nazismo. Ne ha scritto, con una
sorta di fosco fascino, Julius Evola.
Tornando
a The Fabelmans, il film è un Bildungsroman,
che delinea con nettezza i
due poli della crescita di Spielberg/Fabelman, tra l’impulso
totalizzante di fare cinema (“arruolando” le sorelle e gli amici
nei primi ingenui tentativi) e la vita nella famiglia ebraica in una
descrizione calda e partecipe. Vi entra un elemento drammatico
in relazione al segreto della madre, l'adulterio con il miglior amico
del padre; il film descrive una situazione tanto più dolorosa in quanto non
c’è odio da nessuna parte – sebbene emerga da parte dei figli
quell'incapacità di comprendere e di accettare che caratterizza
l’egoismo giovanile. Così, The Fabelmans è splendido nel portare
in primo piano un elemento di melodramma familiare che pareva sparito
dal cinema. In questo senso, ha peso l’omaggio finale a John Ford
(interpretato con stupefacente adesione da David Lynch): un incontro
sul quale si fonda la carriera futura di Fabelman ma che dà al di là
di ciò dà il senso a tutto il film. Non serve unicamente al
racconto: è testimonianza di un rapporto organico con il cinema
precedente all'arrivo della generazione dei movie brats
hollywoodiani: un rapporto che, di quella illustre banda, Spielberg
ha forse più di tutti mantenuto.
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