Lorenzo Bianchini
Un avviso con la massima evidenza possibile: questa recensione è rigorosamente riservata a chi ha visto il film, non essendo possibile parlarne senza spoiler che ne danneggerebbero fortemente la visione.
Una
voce che parla dal muro… Nel malinconico e poetico L’angelo dei
muri di Lorenzo Bianchini, Pietro (Pierre Richard) è un vecchio
solitario che viene sfrattato dal suo appartamento polveroso, pieno
di cose vetuste, in un palazzo fatiscente a Trieste. Non vuole
lasciarlo: fabbrica una falsa parete e si costruisce un nascondiglio
in fondo a un corridoio, una vera e propria tana, nascosta dietro una
piccola grata; e fa dei buchi nel muro per spiare chi invade quello
che era il suo territorio. Così diventa uno sguardo e una presenza
nascosta – un concetto che sarebbe piaciuto molto a Edogawa Rampo,
il padre del moderno fantastico giapponese. E’ evidente la
centralità del tema dello sguardo, che interessa molto a Bianchini,
come mostrano (fin dal titolo) Occhi e il bellissimo Oltre il guado.
A livello profondo, si potrebbero dire molte cose su questo
restringersi in una tana con una piccola apertura: ovvero sul
rapporto fra questo buco dove Pietro si confina e l’inconscio.
Dapprima
viene a vedere l’appartamento in affitto una donna con un bambino
impiccione di nome Luca – ma non lo prende. Poi però compare una
donna slovena (Iva Krajnc Bagola) con una bambina che sta diventando
cieca (Gioia Heinz). In realtà la visita della madre di Luca innesta
nell’inconscio il cortocircuito della memoria (specie perché Luca
prende il libro di Verne che si rivelerà centrale nello svolgimento,
con rabbia di Pietro che guarda nascosto; la polvere sul libro
suggerisce allo spettatore un’idea di abbandono, ma in realtà
allude a un passato rimosso). Pietro spia la vita delle due nuove
venute – e poi entra in contatto con la piccola, parlandole quand’è
sola; lei lo ribattezza l’angelo dei muri.
Partendo
dal tema della solitudine, che lo ha sempre interessato molto,
Bianchini in questo film lavora sugli elementi costitutivi del
cinema, lo spazio e il tempo. Circa lo spazio, questa casa a scatole
cinesi richiama l’elemento ricorrente in Bianchini
dell’universo-trappola: un universo bloccato e ripetitivo che
coinvolge tanto l’aspetto narrativo quanto quello spaziale, e li fa
coincidere: dal labirinto infernale dei corridoi della scuola nel
primo lungometraggio, l’acerbo ma ammaliante horror in friulano
Lidrîs cuadrade di trê, ai rapporti temporali ritornanti di
Custodes Bestiae, dalla comica descrizione di un universo bloccato
nella demenza, un mondo ricorrente e centrifugo, in un film di
isterismo e ripetizione quale l'ironico Film sporco, fino agli ottimi
lavori della piena maturità.
L’angelo
dei muri è un film che ha qualcosa di polanskiano (la prevalenza
della soggettiva, il rapporto fra lo spazio esterno e la mente) –
salvo l’elemento poetico, che Polanski non possiede. In realtà,
però, Bianchini, regista atmosferico ed evocativo, è sempre stato
assai legato alla soggettività (basta pensare a Occhi); per cui
quello che ci appare vicino a Polanski non viene dal regista
francese-polacco quanto da una poetica interiore. Il suo nuovo film
non è un horror ma una poetica storia di fantasmi dell'inconscio e
del ricordo; un doloroso film sul rimosso, sulla memoria che torna su
se stessa e si materializza creando entro lo stesso nucleo di tempo
due piani temporali diversi. Il film bene illustra la positiva
duplicità di Lorenzo Bianchini: un massimalismo delle idee (non per
nulla Bianchini si esprime per lo più nel campo dell’horror) che
vengono concretizzate attraverso un minimalismo di tempi e di modi,
nuances e sensazioni. E’ un film di allusioni e ambiguità, di
specchi e di riflessi – né manca la figura del doppio
nell’immagine dell’“altra” famiglia nella casa di fronte (un
riflesso anch’essa, a suo modo) – ove va notato che al primo
istante sono immobili come statue, prima che li metta in movimento
l’attività psichica.
Inutile
dire che l'interpretazione di Pierre Richard, muto per quasi tutto il
tempo, è da premio internazionale. La sua capacità di trasmettere
un mondo di sentimenti in un lampo di espressione lascia stupefatti.
Poiché, inoltre, L’angelo dei muri si presenta come una fiaba nera
(e non a caso il disco di Cinque settimane in pallone lo annuncia
come “la fiaba di oggi”), Bianchini racconta di aver scelto
Richard non solo per le sue grandi capacità attoriali ma anche
perché nella sua fisionomia c’è un che di fiabesco, molto ben
reso nei primissimi piani di Peter Zeitlinger. Ecco un altro apporto
assolutamente fondamentale, la bellissima fotografia dell’herzoghiano
Zeitlinger. Negli esterni: forse Trieste non è mai stata fotografata
come, all’inizio, nell'inquadratura dal basso del protagonista con
l’alto palazzo che “si slancia” verso l'alto alle sue spalle,
in modo quasi espressionista. Negli interni, prevalenti: un autentico
tour de force in primo luogo artistico, ma anche tecnico e materiale,
che concretizza il punto di vista dell’“uomo nel muro” in modo
indimenticabile.
La
polvere è una presenza costante nel film, che è molto materiale e
fisico sul piano dei corpi e delle cose. In questa casa senza tempo
ritroviamo l’amore di Bianchini (anche scenografo) per i vecchi
oggetti. Bianchini è un maestro nell'uso evocativo degli oggetti del
passato, una caratteristica che lo accomuna a Pupi Avati: “horror
antiquario” – e qui si potrebbe dir meglio “fantastico
antiquario”. Il modo in cui viene gestita la doppia qualità del
racconto – ieri e oggi, illusione e realtà, il ricordo e l'attuale
– è magistrale. Così il film perviene a quella dimensione
inquietante (una realtà che sembra oggettiva ma nella quale c'è
qualcosa che “non torna”, fino alla rivelazione finale) che è
uno dei capisaldi del fantastico. Inevitabile ricordare il racconto
Un avvenimento sul ponte di Owl Creek di Ambrose Bierce che è un po'
la Bibbia di questo tipo di fantastico; ne fu tratto un film nel
1962, La Rivière du Hibou di Robert Enrico, che mi spiace di non
aver visto, ma salgono alla mente vari esempi più diffusi, a partire
da Jacob's Ladder (Allucinazione perversa, che nel titolo italiano dà
via ingenuamente la sorpresa) di Adrian Lyne. L’angelo dei muri è
un film a rovesciamento, come Il sesto senso e The Others; la
sceneggiatura (Lorenzo Bianchini, Michela Bianchini e Fabrizio
Bozzetti) e il montaggio (del regista) ne riportano efficacemente
l’ambiguità; solo dopo lo spettatore ripercorre all’indietro la
visione per trasformare quelle piccole tracce enigmatiche – si
potrebbe parlare di dissonanze – in tappe della comprensione e
della rivelazione. Segni sparsi lungo il film, ora uno straccio
insanguinato, ora un’antica vasca da bagno sporca e insanguinata.
Oppure, il modello eccessivamente vecchio del televisore della donna;
è vero che il film volutamente non dà indicazioni di tempo, ma il
padrone della casa parla al cellulare: la fantasia di Pietro, o i
fantasmi nella sua mente, che è lo stesso, sono rimasti legati agli
anni ‘60. Peraltro Bianchini gioca pulito con il suo pubblico: la
verità è lì, siamo noi che non la vediamo.
Il
richiamo a Giulio Verne è raffinato. Cinque settimane in pallone
(che compare sia come libro sia come lettura su disco in un vecchio
mangiadischi) dapprima sembra solo un tocco scenografico, poi assume
un valore sempre più importante nello sviluppo, con la mongolfiera
giocattolo costruita da Pietro, e infine un valore simbolico e
metaforico nel finale; ma se ci pensiamo (e L’angelo dei muri, lo
abbiamo detto, è uno di quei film che vanno ripercorsi mentalmente
all'indietro dopo la visione) il cuore del film è costruito
sull’opposizione fra due movimenti associati e inversi,
l’innalzarsi e il cadere.
C’è,
nel film, un feroce senso di inesorabilità – che è giusto perché
stiamo vedendo quello che è già accaduto. Al cinema il disco che
s’incanta rappresenta sempre una dichiarazione del tempo che non
passa e ritorna su se stesso: il “tempo sospeso” dei fantasmi –
e della memoria. Tutte le storie di fantasmi (revenants) sono su un
passato ritornante che si imprime sul presente. Le storie di fantasmi
sono una coazione a ripetere.
Nessun commento:
Posta un commento