mercoledì 21 luglio 2021

Marx può aspettare

Marco Bellocchio

La famiglia, la religione, la ribellione, la follia, i punti nodali del cinema di Marco Bellocchio, ruotano, si sa, attorno a una dimensione marcatamente autobiografica. Bellocchio non solo trasfonde nell'elaborazione artistica singole esperienze e traumi della sua vita, come il suicidio del fratello, ma vi porta tutto un insieme di ricordi, atmosfere, suggestioni. E' questo uno dei vari tratti che lo accomunano a Luis Buñuel e ai suoi tocchi di reminiscenza “privata”, potremmo chiamarli micro-biografici (per esempio i tamburi di Calanda). La figura ricorrente del pazzo che urla o bestemmia (L'ora di religione) rimanda al fratello maggiore psicotico – e I pugni in tasca è costruito sull'evocazione del desiderio inconscio e inammissibile della sua morte. L'ossessione per la religiosità tradizionale cattolica è legata, prima che all'educazione dai Barnabiti, all'atmosfera familiare e alla figura della madre (“La mamma era ossessionata dall'Inferno e dal Paradiso”, sentiamo in Marx può aspettare). Da incrociare con la figura del padre che rifiuta i conforti religiosi (“Va via pretaccio!”) sul letto di morte. Dell'antipatia di Bellocchio per le strutture formali del cattolicesimo, per la pompa (per fare due titoli su un lungo arco temporale si va da In nome del padre a Sangue del tuo sangue), si capisce il background biografico ed emozionale. Nota in margine: ho detto antipatia e va bene, ma – Bellocchio essendo un autore barocco – in questa c'è anche un'attrazione oscura.
Non ignoto già prima, ora questo background biografico si precisa nell'abbacinante Marx può aspettare. Bellocchio, che ha già usato molto la forma del documentario familiare (Sorelle), si apre come non mai, costruendo il film sulla figura del fratello gemello Camillo, morto suicida nel 1968.
Si sentiva un fallito”, tra la mancanza del successo scolastico e l'incertezza su cosa fare nella vita – e questo in una famiglia colta con figure brillanti come i fratelli Pier Giorgio (Quaderni Piacentini) e Marco, giovane regista premiato a Locarno e Venezia. Camillo, apprendiamo qui, aveva anche scritto una lettera a Marco chiedendogli un parere sulla possibilità di cercare anche lui una carriera nel cinema. Chissà se ha un senso che ne La Cina è vicina (1966) il personaggio dello studente maoista che rovina in modo farsesco il discorso del candidato socialista abbia nome Camillo? Dopo aver fatto l'ISEF Camillo sembrava aver trovato una sistemazione; ma, racconta Marco parlando dell'ultimo incontro nel 1968, “era molto scontento”. Al suo malessere Marco rispose con “quattro cazzate rivoluzionarie”, al che Camillo replicò “Marx può aspettare”. “Voi eravate talmente occupati a salvare il mondo... – parla la sorella dell'allora fidanzata di Camillo, la cui presenza educatamente ma fermamente critica nel film di Bellocchio è implicitamente autocritica – che non vi siete accorti che avevate in famiglia una persona assolutamente fragile”. Però Marco, (che era andato a Roma) poco prima è stato ancora più duro: “Io proprio mi annullai”.
E quando a proposito di Camillo sentiamo “Percepiva che non avevate stima di lui”, colpisce molto ritrovare nella sua vicenda umana, effettuale, quella domanda di riconoscimento impossibile che accomuna i personaggi bellocchiani – e la sua mancata soddisfazione come causa ultima del suo suicidio.
Con questo suicidio Bellocchio aveva già drammaticamente fatto i conti in forma traslata ne Gli occhi, la bocca (che pure contiene la frase “Marx può aspettare”), il quale naturalmente compare tra i brani che vediamo nel presente film. Ma qui lo prende di petto, in forma documentaria, senza mediazioni.
Della necessità della maschera “per difendersi, sopravvivere, e vivere” parlava Bellocchio in una vecchia intervista sul suo Enrico IV nel 1984. Ci si potrebbe chiedere se la rielaborazione artistica di una tragedia personale non sia essa stessa un modo sottile, e necessario, di mettere una maschera – una protezione, una pellicola, uno spessore – tra la propria pelle nuda e il fatto terribile. In Marx può aspettare non ci sono più maschere. E' un processo rivolto a se stesso, anche in presenza dei figli Pier Giorgio ed Elena, non meno coraggioso che impietoso. Di qui l'obbligo di scavare non solo nel groviglio delle responsibilità ma nelle cose più minute, nei dettagli più minuti. Il tragico è che comprendiamo le cose solo dopo che sono successe: prima vige l'ignoranza pigra del quotidiano. E', quello di Bellocchio, un mettersi a nudo quasi chirurgico (e non dimentichiamo la lunga esperienza di Bellocchio con la psicoanalisi, sebbene non ortodossa) sul suo essere mancato, al pari degli altri familiari: un'analisi del passato che diventa un'autoanalisi, e mette in luce l'aspetto più tremendo delle questioni morali: l'irreparabilità del tempo. Qualsiasi ricerca del genere è un rito di espiazione.
Questo termine ci porta direttamente all'aspetto religioso. L'impressionante racconto, da parte della cognata Pia, della scoperta e della deposizione di Camillo morto è appunto una Deposizione. Il racconto è denso di immagini religiose (“C'era la mamma – crocefissa proprio”), con un senso che va oltre la soggettività di chi parla. Anche Bellocchio, come Don Luis, è “ateo per grazia di Dio”; ma, potremmo aggiungere, con più inquietudine. Assai intelligentemente padre Virgilio Fantuzzi, il gesuita qui intervistato, dice a Bellocchio che lo riconosce come un suo penitente, e lo potrebbe assolvere, avendo visto i suoi film che sono tappe della sua confessione: lo schermo al posto della grata del confessionale.
In uno di quei grandi finali bellocchiani, immaginari e simbolici, che non si dimenticano, Marco incrocia un uomo – per noi di spalle – che corre in direzione inversa; dalla tuta ISEF “riconosciamo” il fratello morto; Marco si volta a guardarlo mentre quello corre e si allontana. E' un senso di pacificazione. Quest'assunzione di responsabilità, seguita a questo scavo nel passato, ora consente di lasciar andare.

Nessun commento: