sabato 13 febbraio 2021

Anna

Luc Besson

Russia: una ragazza sbandata viene raccolta e addestrata dal KGB per farne una spietata spia-killer. Ricorda Nikita? Luc Besson ha un feticcio – la bella donna armata – e un tema: la creatura semplice che viene scaraventata nella logica della violenza (di cui Besson sente fortissimo il fascino) e la fa sua. Nell'eccellente Anna la bella Sasha Luss rappresenta la figura in questione e instaura un rapporto prima di (ringhiosa) collaborazione e poi di complicità con la dirigente del KGB interpretata da Helen Mirren. Come temibile veterana dell'organizzazione nemica, matriarca rossa, Helen Mirren è memorabile: la miglior figura dai tempi di Lotte Lenya (Dalla Russia con amore) e inoltre meno unidimensionale.
Ben presto Anna apprende che la ricompensa promessa – la liberazione dopo cinque anni – è una menzogna. La sua “copertura” in Occidente è il lavoro di top model (questo è anche un nod all'attività di Sasha Luss) e il film non manca di una sorta di aspro humour noir nel mostrare la difficoltà di coniugare le due facce di una vita scissa. Sia col suo controllore KGB (Luke Evans) sia con la sua controparte della CIA (Cillian Murphy) Anna avrà una relazione: metaforicamente, va a letto con Oriente e Occidente; entrambe le parti, nei loro stili differenti (l'Est preferisce minacciare, l'Ovest comprare), sono manipolatrici. Tuttavia il principio di Besson è che gli uomini sono di poco conto rispetto alla forza femminile.
Film come Nikita erano declinazioni del genere action: quel genere in cui l'elemento dinamico, il barocchismo spettacolare del movimento (e della balistica), la concentrazione isterica del tempo tengono il primo posto. Orbene, si fa presto a dire cinema di spionaggio, ma vi sono due filoni assolutamente differenti: quello avventuroso alla 007, poi sfociato nell'action alla Mission: Impossible, e quello realistico, che descrive la nebbia d'inganno e ambiguità di quel mondo. La paranoia è il sottofondo naturale del genere. Se ne potrebbero fare cento esempi ma il primo che mi viene in mente è un capolavoro poco conosciuto del cinema francese: Le spie (1957) di Henri-Georges Clouzot.
Ora, le scene frenetiche di combattimento dicono che Anna è sicuramente un action, con la concitazione ultradinamica del genere; e come tutti gli action tende ad alzare l'asticella: qui, aprirsi la strada combattendo dal cuore della sede centrale del KGB a Mosca, coi suoi busti e ritratti di Lenin e Dzeržinskij. E però Anna è anche tutt'altra cosa: è quel tipo di film di spionaggio in cui l'enfasi cade sulla verità che cambia continuamente forma. La “realtà vista” del racconto muta senza posa. Infatti l'aspetto più rilevante del film è la sua struttura anacronica; il racconto salta avanti e indietro nel tempo, e ci capita di rivedere la stessa scena che però ha cambiato significato perché ci sono state fornite maggiori informazioni, che la ridefiniscono. Tutto ciò non è prerogativa dell'action, che preferisce svolgersi su un piano di realtà più definito (anche se non mancano casi in cui l'ambiguità gioca un ruolo centrale, come Atomica bionda di David Leitch). Ecco dunque che Luc Besson è riuscito nel compito non facile di mettere insieme le due correnti, calda e fredda, del cinema spionistico, con una giunzione di notevole abilità.

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