lunedì 11 maggio 2020

Dizionario del cinema immaginario

di Alberto Anile


C'è un delizioso libro di Alberto Anile che è uscito alla fine dell'anno scorso, e quindi si è trovato subito a impattare con il blocco e la stasi imposti ai lettori dal coronavirus. E' solo giusto, ora, considerarlo come una novità.
Un affascinante sottoprodotto della fantasia narrativa sono gli pseudobiblia. Ovvero i libri inventati che compaiono dentro opere di fantasia. Un solo esempio, forse il più famoso: nella realtà il Necronomicon è stato inventato e usato in vari racconti da H.P. Lovecraft e dalla sua scuola; nella dimensione del racconto è stato scritto nel VIII secolo dall'arabo Abdul Alhazred come Al Azif, è stato poi tradotto in greco dal bizantino Teodoro Fileta, poi in latino da Olaus Wormius e infine in inglese dal Dottor Dee (figura storica com'è noto) in epoca elisabettiana. Orbene, il sogno di ogni amante dei libri, e in particolare di alcuni autori, sarebbe di avere nella propria biblioteca uno scaffale riempito dai vari pseudobiblia, acquistati tramite qualche specie di Amazon inter-dimensionale.
Ah, ma esiste uno spazio simile anche per la nostra personale videoteca. Meno dei libri, certo, ma numerosi film contengono nella loro trama film immaginari: o perché l'azione si svolge in parte su un set, come quello di Vi presento Pamela in Effetto notte di Truffaut, o perché protagonista è un attore o attrice come ne La signora di tutti di Ophuls, o semplicemente perché vengono visti dai personaggi al cinema (qui bisogna distinguere dalla citazione, dove il film visto è esistente), o perché nello svolgimento compare un trailer o un poster, e via dicendo.
Alberto Anile, attento storico del cinema di cui menzionerò solo i lavori su Orson Welles, ha realizzato un'opera tanto impensata quanto meritoria. Il suo Dizionario del cinema immaginario. I film che esistono solo dentro i film (Lindau, 24 ) è, possiamo dire, un “Mereghetti” di questi film d'invenzione, o pseudofilm (Paolo Mereghetti del resto firma la prefazione). Lo conclude un serissimo saggio intitolato In lode del cinema immaginario. Gli appassionati della fantascienza d'antan ci troveranno, e sogneranno, La fine degli uomini gatto (da Il bruto e la bella di Vincente Minnelli) o Mant! (da Matinee di Joe Dante), gli esegeti lynchani The Sylvia North Story (da Mulholland Drive di David Lynch), gli amanti del peplum hollywoodiano Ave, Cesare! (dal film omonimo dei fratelli Coen) – e i fan della commediaccia italiana, come chi scrive, La dottoressa del distretto ogni sera cià il vizietto di portar gli alpini a letto (da Arrivano i gatti di Carlo Vanzina). Naturalmente alla fine di ogni scheda ci sono tre righe intitolate “Dove si vede”; ed è come un risveglio da un sogno cinefilo.
Questa dimensione tra reale e fantastica non manca di vertiginosi incroci. Esempio: dopo che Olmi girò L'albero degli zoccoli nel 1978, Tinto Brass nel film Action (1979) s'inventò un ipotetico L'albero delle zoccole che sta girando Luc Merenda (film doverosamente listato da Anile). Ma nel 1995 Leo Salemi girò veramente un L'albero delle zoccole, che Anile non lista perché è un film vero (vertigine!) – e chiamò a interpretarlo (non per le scene porno) Luigi Ornaghi, lo stesso Batistì che aveva interpretato il film di Olmi. Olmi la prese malissimo.
E ancora: Anile lista tutti gli pseudofilm di cui vediamo il trailer nella versione originale di Grindhouse di Tarantino & Rodriguez (non nella disastrosa versione italiana sdoppiata e mutilata dai distributori), fra i quali non posso non citare Werewolf Women of the S.S.; tutti, dico, tranne uno, Machete: perché in seguito Machete è diventato un film vero, di Robert Rodriguez & Ethan Maniquis, con Danny Trejo. Naturalmente sarei pronto a partecipare a un crowdfunding affinché si possano girare anche gli altri.
Siccome il destino del film-nel-film dipende dalle vicende diegetiche del film-contenitore, questo dizionario contiene una quantità inusuale di film incompiuti o perduti, o di opere ultime a causa di morti sul set o fuori. Nonché, in un paio di casi, di vicende fantastiche, come per La rosa purpurea del Cairo (non il film di Woody Allen ma il film-nel-film omonimo), ritirato dalla circolazione perché un personaggio era uscito dalla pellicola; e compare anche un film girato nel 2505!
Il gioco funziona solo a patto di essere filologico, e Anile lo fa brillantemente. Con un'opera certosina di ricostruzione, dà dei “suoi” pseudofilm solo le notizie reperibile dal film-contenitore (o dal paratesto di esso), e con notevole, ironica abilità “impasta” queste poche notizie in una scheda completa. Un divertimento ulteriore è che Anile scrive le sue schede seguendo strettamente la forma di quelle del Mereghetti, e non solo come forma, ma riprendendo lo stile “aggressivo” delle critiche mereghettiane – per cui il suo Dizionario contiene anche un elemento di sottile parodia. Spiritosissimo quando, a proposito di uno pseudofilm (Face Punch) che vanno a vedere Bella e Jacob in The Twilight Saga: New Moon, la scheda scrive “il grado zero del film di consumo per teenager decerebrati” ed ecco un giudizio elegantemente implicito sui protagonisti della Twilight Saga.
L'impegno filologico si scontra inevitabilmente con un limite oggettivo circa i dati: “Il dizionario li riporta così come sono stati menzionati, senza aggiunte di fantasia” (Anile). Siccome spesso i film-contenitore non forniscono il nome del regista o degli interpreti degli pseudofilm contenuti, e in particolare, spesso gli attori del set fittizio sono nominati solo per nome, nelle voci del Dizionario può capitare di leggere qualcosa come “con Anna, Mike”, mettendo a dura prova la sospensione dell'incredulità. Ma è inevitabile: certo, per dare alle schede un tono di autenticità si sarebbe potuto inventare dei nomi (magari mettendoli fra parentesi quadra); ma ciò avrebbe violato la regola base di fornire solo informazioni presenti nel film-contenitore. Possiamo dire che qui si scontrano, ciascuna con le sue buone ragioni, due filologie opposte.
Peggio ancora, spesso i film-contenitore non ci forniscono il titolo dello pseudofilm. Vale a dire, la storia del cinema immaginario è piena di “militi ignori”, di cui nessuno ha pensato a inventare il titolo. Gran peccato! Riempirebbero un'intera sezione (di un'edizione immaginaria) delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone le comiche interpretate da Marion Davies e William Haines in Show People di King Vidor. Evidentemente questi film non possono entrare nel dizionario. Anile dedica una pagina del saggio finale quelli che più rimpiange. Mi permetto un rimpianto personale: da sempre mi sarebbe piaciuto sapere di più di quel film di vampiri, più vicino a Jean Rollin che alla Hammer, che Claudine Auger guarda in una scena di Gioco di massacro di Alain Jessua (1967). Ma tant'è, lo sceneggiatore non ci ha dato il titolo.
Uno potrebbe chiedersi: ma è, quest'opera di Anile, solo un divertissement? L'elemento aereo del divertimento è certamente presente; ma non esaurisce l'operazione. Al di là dell'utilità concreta di poter reperire facilmente le informazioni su un film immaginario contenuto in un film reale (il Dizionario è corredato da un indice dei film-contenitore), questo libro illustra un affascinante gioco di specchi in cui il cinema riflette in varie forme su se stesso. Ma di più: sfogliando queste pagine, ci rendiamo conto che questi pseudofilm (non dico tutti) vorremmo appassionatamente vederli – proprio come appassionatamente vorremmo vedere tanti film progettati e mai realizzati della storia reale (il Cuore di tenebra di Orson Welles e il Jesus di Carl Th. Dreyer per primi). Il libro ci apre uno sguardo impensato su dimensioni vietate perché non esistono. In ultima analisi, il Dizionario di Anile è un caldo omaggio al desiderio.

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