C'è un delizioso libro
di Alberto Anile che è uscito alla fine dell'anno scorso, e quindi
si è trovato subito a impattare con il blocco e la stasi imposti ai
lettori dal coronavirus. E' solo giusto, ora, considerarlo come una
novità.
Un
affascinante sottoprodotto della fantasia narrativa sono gli
pseudobiblia. Ovvero i
libri inventati che compaiono dentro opere di fantasia. Un solo
esempio, forse il più famoso: nella realtà il Necronomicon
è stato inventato e usato in vari racconti da H.P. Lovecraft e dalla
sua scuola; nella dimensione del racconto è stato scritto nel VIII
secolo dall'arabo Abdul Alhazred come Al Azif,
è stato poi tradotto in greco dal bizantino Teodoro Fileta, poi in
latino da Olaus Wormius e infine in inglese dal Dottor Dee (figura
storica com'è noto) in epoca elisabettiana. Orbene, il sogno di ogni
amante dei libri, e in particolare di alcuni autori, sarebbe di avere
nella propria biblioteca uno scaffale riempito dai vari pseudobiblia,
acquistati tramite qualche specie di Amazon inter-dimensionale.
Ah,
ma esiste uno spazio simile anche per la nostra personale videoteca.
Meno dei libri, certo, ma numerosi film contengono nella loro trama
film immaginari: o perché l'azione si svolge in parte su un set,
come quello di Vi presento Pamela
in Effetto notte di
Truffaut, o perché protagonista è un attore o attrice come ne La
signora di tutti di Ophuls, o
semplicemente perché vengono visti dai personaggi al cinema (qui
bisogna distinguere dalla citazione, dove il film visto è
esistente), o perché nello svolgimento compare un trailer o un
poster, e via dicendo.
Alberto Anile, attento storico
del cinema di cui menzionerò solo i lavori su Orson Welles, ha
realizzato un'opera tanto impensata quanto meritoria. Il suo
Dizionario del cinema immaginario. I film che esistono solo dentro
i film (Lindau, 24 €)
è, possiamo dire, un “Mereghetti” di questi film d'invenzione, o
pseudofilm (Paolo Mereghetti del
resto firma la prefazione). Lo conclude un serissimo saggio
intitolato In lode del cinema immaginario. Gli appassionati
della fantascienza d'antan ci troveranno, e sogneranno, La
fine degli uomini gatto (da Il bruto e la bella di
Vincente Minnelli) o Mant! (da Matinee di Joe Dante),
gli esegeti lynchani The Sylvia North Story (da
Mulholland Drive di David Lynch), gli amanti del peplum
hollywoodiano Ave, Cesare! (dal film omonimo dei fratelli
Coen) – e i fan della commediaccia italiana, come chi scrive, La
dottoressa del distretto ogni sera cià il vizietto di portar gli
alpini a letto (da Arrivano i gatti di Carlo Vanzina).
Naturalmente alla fine di ogni scheda ci sono tre righe intitolate
“Dove si vede”; ed è come un risveglio da un sogno cinefilo.
Questa dimensione tra
reale e fantastica non manca di vertiginosi incroci. Esempio: dopo
che Olmi girò L'albero degli zoccoli nel 1978, Tinto Brass
nel film Action (1979) s'inventò un ipotetico L'albero
delle zoccole che sta girando Luc Merenda (film doverosamente
listato da Anile). Ma nel 1995 Leo Salemi girò veramente un L'albero
delle zoccole, che Anile
non lista perché è un film vero (vertigine!) – e chiamò a
interpretarlo (non per le scene porno) Luigi Ornaghi, lo stesso
Batistì che aveva interpretato il film di Olmi. Olmi la prese
malissimo.
E ancora: Anile lista
tutti gli pseudofilm di cui vediamo il trailer nella versione
originale di Grindhouse di Tarantino & Rodriguez (non
nella disastrosa versione italiana sdoppiata e mutilata dai
distributori), fra i quali non posso non citare Werewolf Women of
the S.S.; tutti, dico, tranne uno, Machete: perché in
seguito Machete è diventato un film vero, di Robert Rodriguez
& Ethan Maniquis, con Danny Trejo. Naturalmente sarei pronto a
partecipare a un crowdfunding affinché si possano girare
anche gli altri.
Siccome il destino
del film-nel-film dipende dalle vicende
diegetiche del film-contenitore, questo dizionario contiene una
quantità inusuale di film incompiuti o perduti, o di opere ultime a
causa di morti sul set o fuori. Nonché, in un paio di casi, di
vicende fantastiche, come per La rosa
purpurea del Cairo (non il film di
Woody Allen ma il film-nel-film omonimo), ritirato dalla circolazione
perché un personaggio era uscito dalla pellicola; e compare anche un
film girato nel 2505!
Il gioco funziona solo
a patto di essere filologico, e Anile lo fa brillantemente. Con
un'opera certosina di ricostruzione, dà dei “suoi” pseudofilm
solo le notizie reperibile dal film-contenitore (o dal paratesto di
esso), e con notevole, ironica abilità “impasta” queste poche
notizie in una scheda completa. Un divertimento ulteriore è che
Anile scrive le sue schede seguendo strettamente la forma di quelle
del Mereghetti, e non solo come forma, ma riprendendo lo stile
“aggressivo” delle critiche mereghettiane – per cui il suo
Dizionario contiene anche un elemento di sottile parodia.
Spiritosissimo quando, a proposito di uno pseudofilm (Face Punch)
che vanno a vedere Bella e Jacob in The Twilight Saga: New
Moon, la scheda scrive “il grado zero del film di consumo
per teenager decerebrati” – ed ecco un
giudizio elegantemente implicito sui protagonisti della Twilight
Saga.
L'impegno
filologico si scontra inevitabilmente con un limite oggettivo circa i
dati: “Il dizionario li riporta così come sono stati menzionati,
senza aggiunte di fantasia” (Anile). Siccome spesso i
film-contenitore non forniscono il nome del regista o degli
interpreti degli pseudofilm contenuti, e in particolare, spesso gli
attori del set fittizio sono nominati solo per nome, nelle voci del
Dizionario può
capitare di leggere qualcosa come “con Anna, Mike”, mettendo a
dura prova la sospensione dell'incredulità. Ma è inevitabile:
certo, per dare alle schede un tono di autenticità si sarebbe potuto
inventare dei nomi (magari mettendoli fra parentesi quadra); ma ciò
avrebbe violato la regola base di fornire solo informazioni presenti
nel film-contenitore. Possiamo dire che qui si scontrano, ciascuna
con le sue buone ragioni, due filologie opposte.
Peggio
ancora, spesso i film-contenitore non ci forniscono il titolo dello
pseudofilm. Vale
a dire, la storia del cinema immaginario è piena di “militi
ignori”, di cui nessuno ha pensato a inventare il titolo. Gran
peccato! Riempirebbero un'intera sezione (di un'edizione immaginaria)
delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone le comiche interpretate
da Marion Davies e William Haines in Show People
di King Vidor. Evidentemente questi film non possono entrare nel
dizionario. Anile dedica una pagina del saggio finale quelli che più
rimpiange. Mi permetto un rimpianto personale: da sempre mi sarebbe
piaciuto sapere di più di quel film di vampiri, più vicino a Jean
Rollin che alla Hammer, che Claudine Auger guarda in una scena di
Gioco di massacro di
Alain Jessua (1967). Ma tant'è, lo sceneggiatore non ci ha dato il
titolo.
Uno
potrebbe chiedersi: ma è, quest'opera di Anile, solo un
divertissement?
L'elemento aereo del divertimento è certamente presente; ma non
esaurisce l'operazione. Al di là dell'utilità concreta di poter
reperire facilmente le informazioni su un film immaginario contenuto
in un film reale (il Dizionario
è corredato da un indice dei film-contenitore), questo libro
illustra un affascinante gioco di specchi in cui il cinema riflette
in varie forme su se stesso. Ma di più: sfogliando queste pagine, ci
rendiamo conto che questi pseudofilm (non dico tutti) vorremmo
appassionatamente vederli – proprio come appassionatamente vorremmo
vedere tanti film progettati e mai realizzati della storia reale (il
Cuore di tenebra di
Orson Welles e il Jesus
di Carl Th. Dreyer per primi). Il libro ci apre uno sguardo impensato
su dimensioni vietate perché non esistono. In ultima analisi, il
Dizionario di Anile è
un caldo omaggio al desiderio.
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