venerdì 15 giugno 2018

Jurassic World - Il regno distrutto

J.A. Bayona


Senza dubbio non è il Jurassic World del 2015 di Colin Trevorrow ma il presente Jurassic World – Il regno distrutto di J.A. Bayona a introdurre un netto cambiamento d'indirizzo nella franchise creata da Steven Spielberg, ora produttore esecutivo. Il titolo Jurassic World, che nel film precedente era solo un ampliamento retorico di Jurassic Park, ora assume un vero significato.
E' pur vero che la spinta propulsiva della serie sembrava essersi esaurita – sebbene vedere un uomo inseguito da un dinosauro carnivoro sia invariabilmente divertente per lo spettatore – e niente lo mostra con maggiore evidenza della necessità di introdurvi nuovi dinosauri d'invenzione (nella diegesi creati da manipolazioni genetiche): l'Indominus Rex nell'episodio precedente e qui l'Indoraptor, che sembra una via di mezzo fra Alien e un velociraptor gigante.
Nota in margine: con tutti i soldi che ha, Spielberg non poteva assumere qualcuno che conosca il latino e i principi della classificazione linneana?
Per l'appunto, bisogna riconoscere al presente film, sceneggiato da Colin Trevorrow e Derek Connolly, il coraggio di cambiare le carte in tavola. Adesso... attenzione, col thump thump thump dei passi pesanti dei dinosauri in avvicinamento (che sono sempre stati l'effetto sonoro clou della serie) non sentite arrivare gli spoiler? Questa recensione può essere letta solo dopo la visione del film.
Adesso, dico, l'isola dei dinosauri viene distrutta da un'eruzione vulcanica (molto spettacolare, per inciso) e un gruppo di dinosauri viene portato via in extremis sotto specie di salvarli. Finisce nell'enorme villa della tenuta Lockwood, fra i boschi americani, dove, all'insaputa del moribondo Lockwood (James Cromwell), il villain della situazione – un appropriatamente viscido Rafe Spall – ha intenzione di metterli all'asta fra criminali politici e non. E all'asta finisce anche la nuova creazione genetica. Naturalmente i buoni – gli eroi del film precedente più una bambina che rappresenta il prolungamento del protagonismo infantile spielberghiano, con sorpresa finale – riescono a sventare i loro piani, con un tripudio di dinosauri a piede libero che si avventano sulle canaglie (è un vero piacere vedere la demise di Rafe Spall in bocca a un tirannosauro, che per la seconda volta sembra incarnare la giustizia giurassica). Dopodiché i dinosauri si danno, è il caso di dirlo, alla macchia. Bellissima l'inquadratura nel finale di surfisti californiani con un animalaccio marino gigantesco che si presenta in mare pronto a papparli... Tutta la serie si basava sul concetto di hybris, ed ecco che ora la frittata è fatta. Tutto ciò è anche in accordo con uno spirito animalista che attraversa il film. Gli orgogliosi dinosauri si trovano retrocessi a specie in pericolo. Come tutti i commentatori hanno già osservato, il vero cattivo, qui, è l'uomo.
Tuttavia, resta da vedere se questo cambiamento si rivelerà utile; resta da dar conto di un vago senso di mancanza, se non proprio di delusione. Da dove viene?
La serie Jurassic Park metteva in scena, semplicemente, i dinosauri. In mancanza della giungla del Pleistocene prendeva la foresta vergine contemporanea (l'Isla Nublar) e ci inseriva i bestioni. Erano film di caccia grossa rovesciati – nei quali cioè è l'uomo che viene cacciato quando si avventura fra gli alberi. Il dinosauro e il suo ambiente selvaggio erano intimamente legati. Fra le immagini più memorabili dell'intera serie si annoverano quelle dei velociraptor minacciosamente celati nell'erba alta (il secondo film, Il mondo perduto, mostrava la loro corsa all'attacco attraverso le erbe della giungla che si piegavano in linee convergenti). C'era una particolarissima magia in questo matrimonio della vegetazione e dei mostri.
Nel presente film, dopo la veloce prima parte, ci troviamo in una situazione del tutto differente, il cui succo è: dinosauro d'invenzione che si aggira dentro un castello vagamente gotico. Ci sentiamo più vicini a un film come The Relic (nemmeno al vecchio Il risveglio del dinosauro, che si svolgeva all'esterno in città) che alla magica illusione di ritrovarci proiettati nel Cretaceo.
Sul piano positivo, va detto che la regia trae il meglio da questa situazione. In una delle scene più interessanti, la bambina si è rifugiata terrorizzata a letto (pessima scelta) e l'ombra minacciosa dell'Indoraptor in caccia si proietta sulle pareti della sua camera come in un incubo infantile. Del resto, Bayona aveva esordito con un bell'horror quale The Orphanage.
J.A. Bayona è molto abile proprio nell'uso di ombre, schermi, profondità di campo. Citiamo dall'apertura una memorabile inquadratura subacquea: vediamo in primissimo piano i denti, come una palizzata, del teschio dell'Indominus, morto nell'episodio precedente; dietro in campo mediano c'è il mini-sommergibile degli uomini venuti a recuperarne uno per prenderne il DNA; e dietro ancora, sul fondo, si spalanca l'immersa bocca zannuta del mostro acquatico. Da segnalare anche un'altra bella inquadratura in cui un gioco di riflessi sovrimprime sul visetto della bambina il muso feroce del dinosauro.
Peraltro il film soffre tanto di una sceneggiatura alquanto traballante quanto di tagli notoriamente effettuati in vari paesi, fra cui l'Italia, allo scopo di renderlo più “adatto” a un pubblico infantile. Basta vedere come scompaia improvvisamente il personaggio di Geraldine Chaplin.
Ammettiamolo: ci sentiamo vedovi dell'Isla Nublar. Può essere però che i film futuri della serie sapranno trarre il meglio da questo cambiamento radicale, che certo apre un ventaglio di possibilità. Per parafrasare il vecchio Marx, i dinosauri hanno perso solo lo loro catene – e hanno un mondo da conquistare.

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