Non
solo il miglior film di Feng
Xiaogang negli ultimi anni ma sicuramente il suo
migliore in assoluto, I
Am Not Madame Bovary è un
capolavoro. Detto
per inciso, il titolo inglese
internazionale non rende affatto quello cinese, che suona “Io non
sono Pan Jinlian” (un
nome proprio che per antonomasia significa “donnaccia”).
Questo
film potrebbe esser definito la
Storia di Qiu Ju (alludo
al film di Yang Zhimou) di
Feng Xiaogang.
Lian (Fan Bingbing)
è una donna di campagna in lite coll'ex marito (avevano
divorziato come trucco per ottenere un appartamento in più,
coll'accordo di risposarsi subito dopo, ma lui ne ha approfittato per
sposare un'altra). Il tribunale locale le dà torto – e lei amplia
la sua protesta entrando in causa coi giudici, i burocrati del
livello superiore, e via via – fino a turbare l'Assemblea Nazionale
del Popolo a Pechino! E questo è solo l'inizio – continua per
dieci anni, e diventa il
terrore dei politici locali.
Come sentiamo nel film (che è
anche un'ironica riflessione
sulla dialettica fra piccolo
e grande),
“un granello di sesamo è diventato un'anguria”.
Si
tratta di un film fortemente satirico, ma attenzione, un
esempio raro di satira senza commedia: una satira di cervello, dove
l'elemento di aspro
divertimento
è nelle cose e non nel modo di racconto. Volendo
trovare riferimenti occidentali: una
satira che non richiama Swift (anche se è molto
swiftiana la scena del padrone del frutteto nel pre-finale) bensì
Gogol'.
Bisogna
saper cogliere la raffinatezza dei tocchi – ad
esempio, a un certo punto
veniamo
spiazzati da un brusco stacco
a personaggi dell'antica
Cina, immobili, su
cui risuonano massime che paiono confuciane. Poi
vediamo che è un museo delle
cere, e queste
massime sono profferite dal capo-burocrate di partito, in
visita lì,
con la “saggezza”
para-confuciana del
politicante. Oppure, bellissimo
il modo in cui le ripercussioni del
caso coinvolgono le lotte tra
correnti del partito comunista cinese.
L'aspetto
più evidente a prima vista, e del tutto rivoluzionario, è che il
film usa tre formati: uno che è un audacissimo formato “rotondo”
ottenuto con un mascherino (sembra incredibile ma metà del film si
svolge così), per le scene nel villaggio; nei due viaggi a Pechino
cui assistiamo, il film passa all'antico formato 1:37:1 dei film di
una volta; e per la conclusione adotta il formato scope. La
fotografia di Luo Pan, estremamente raffinata, fa miracoli di
eleganza (perfino estenuata), in particolare in questo inusuale
“formato tondo”. E le transizioni da un formato all'altro sono
bellissime, autentica poesia visiva.
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