Nel 1997, il triste anno dell'Handover, la Gran Bretagna ha ceduto Hong Kong alla Cina comunista – che aveva promesso di riconoscere alla ex colonia una speciale autonomia per cinquant'anni, ma com'era prevedibile la sta erodendo lentamente. Ten Years è un film indipendente antologico a micro-budget che raccoglie cinque cortometraggi cupamente satirici di giovani (e molto coraggiosi, bisogna aggiungere) registi hongkonghesi su come sarà Hong Kong fra dieci anni (il progetto è stato avviato da Ng Ka-leung). E tutta Hong Kong è andata a vederlo.
Il
primo episodio, Extras (“Comparse”) di Kwok Zune, presenta
due buffi piccoli criminali che preparano un attentato, ma è una
provocazione dei capi della città per far approvare una legge
repressiva sulla sicurezza (si allude qui ai rapporti fra il regime e
le triadi). La cosa migliore del corto è l'ottima descrizione di
questi due sfigati, specie di Vladimiro ed Estragone delle triadi. In
un bel b/n, l'episodio scandisce la preparazione e il prevedibile
(non per i due!) sviluppo finale.
Il
secondo episodio, Season of the End di Yong Fei-pang,
allude alla distruzione dell'identità culturale di Hong Kong e ha un
inizio stupendo: residui frantumati di oggetti d'uso comune che
vengono presi con le pinzette da piatti di terra applicando
precisamente le regole dell'archeologia. Ma poi il corto si sposta
troppo sul terreno arthouse per il suo stesso bene, talché la
bellezza dell'idea iniziale viene sviluppata in una direzione che
finisce per indebolirla.
Satireggia
l'attacco all'identità culturale hongkonghese anche il terzo
capitolo, Dialect di Jevons Au, in cui un tassista si trova
nei guai perché non parla mandarino, sotto l'ombra impietosa di un
progetto governativo per sostituirlo al cantonese. Un episodio
senz'altro buono, compatto, veloce, nel suo tono di commedia con un
sapore molto vecchio cinema hongkonghese.
Il
quarto episodio, Self-Immolator di Chow Kwun-wai, è il più
violento politicamente, del tutto condivisibile, ma anche il meno
bello se prescindiamo dalla simpatia politica che ridesta. Da
ricordare comunque l'immagine, di forte pregnanza simbolica, di Hong
Kong in campo lunghissimo invasa dalla nebbia, immagine che lo
punteggia e lo conclude.
Il
quinto episodio, forse il migliore, è Local Egg di Ng
Ka-leung. Mette in scena con spirito swiftiano (naturalmente c'è
anche Orwell fra i riferimenti) una crociata dei governanti di Hong
Kong contro le uova di produzione locale (la stessa parola “locale”
viene considerata contro le regole), incrociata con una campagna
contro le librerie – contro le quali vengono lanciate uova da una
Youth Guard di bambini in una divisa paramilitare che ricorda le
Guardie Rosse.
All'inizio
del film compare la classica didascalia “Ogni somiglianza con
persone o fatti reali è assolutamente casuale”. C'è mai stata
un'ironia più amara?
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