Orson Welles
Un
vecchio ricco che muore: la conchiglia che rotola a terra al momento
della morte di Mr. Clay/Orson Welles ci riporta dichiaratamente alla
palla di vetro con la neve di Citizen
Kane (Quarto
potere). E sentendo
degli oggetti d’arte bruciati del socio francese suicida di Clay,
come non pensare alla casa dove ora Clay abita come a una Xanadu
miserabile e degradata, una Xanadu ridotta a un guscio vuoto?
Dove
Clay passa irosamente i suoi ultimi giorni, proprio come Kane; il
trucco da vecchio di Welles nel ruolo di Clay, evidentemente
teatrale, non solo è in linea con l’essenza del cinema wellesiano
ma nella sua leggera artificialità ricorda direttamente il trucco di
Kane. Clay è un Kane
degradato, in questa
Macao quasi simbolica, suggerita con qualche comparsa cinese e pochi
tocchi su vecchie case. Tutto (anche la ricchezza!) è più povero,
più meschino ed estenuato. Il tema dell’abbassamento di grado,
dell’impoverimento, attraversa tutto il film.
Dopo
che il segretario Levinsky gli ha letto la profezia di Isaia e poi
gli ha raccontato una storia, Mr. Clay protesta che a lui non
piacciono le storie ma i fatti: “I
like facts”, ringhia
la voce di Welles nella versione inglese; “Voglio che questa storia
sia avveri nella vita reale, e a persone reali”.
E
questo è appunto il teatro, che incarna
le storie nei corpi.
Con la differenza - osserva poco dopo Virginie/Jeanne Moreau - che il
teatro non comprende la morte reale e il sesso reale (o i sentimenti
reali). E invece sì, risponde Levinsky, nel teatro messo in scena da
Nerone. Evoca cioè un teatro-hybris,
un “teatro del tiranno”, che si confonde con la vita autentica
trasformandola in messa in scena.
Poco
più tardi nel dialogo fra Levinsky e Virginie sulla terrazza,
ritorna il discorso sull’opposizione fra la grandezza dei potenti e
la gente comune; ma dall’imperatore di Roma siamo passati a Clay e
agli altri ricchi mercanti. Questo calo di status del paragone è un
impoverimento, proprio come il film è l’impoverimento di Clay
rispetto a Kane. Figlia del socio costretto al suicidio, Virginie
anticipa la prossima fine di Clay: “Il suo totale sarà tutto
falsato e non varrà niente” - è da notare qui il tono profetico,
appropriato per una storia il cui svolgimento è stato messo in moto
dalla lettura di una profezia.
Con
Levinsky Virginie parla tristemente del suo viso, dice che il
marinaio la vedrà vecchia, si accorgerà che la sua apparente
giovinezza è trucco (“...que
je suis vieille, poudrée, fardée”).
Ma questa situazione - una donna più anziana che si trasforma in
giovane truccandosi senza ingannare nessuno - non ci riporta
nuovamente al teatro? E infatti il dialogo insiste sulla “commedia”
che viene messa in scena.
Poi
la “commedia” si compie - ma non è una commedia. Concretizzando
nella sincerità dei sentimenti il rapporto amoroso, Paul e Virginie
sfuggono alla costrizione della messa in scena. Si tratta di una
prima sconfitta di Clay. Il quale però può comunque dire “Ora
esiste un marinaio...”: oltre all’hybris
di incidere nella carne il teatro (Nerone), potremmo vedere qui anche
il tentativo di uccidere
una storia facendola
passare allo statuto di realtà (“I
like facts”).
Ma
quando Paul il marinaio se ne va, dice a Levinsky che non racconterà
la storia; nessuno, aggiunge, gli crederebbe se lo facesse (però la
sua ira dice che è un fatto personale). Donde vediamo che anche in
questo Clay è sconfitto. Questa storia non verrà mai raccontata
come fatto - quindi resterà una storia,
e in quanto tale immortale.
(Citizen
Welles, a cura di Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2005)
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