I
morti si mescolano ai vivi nella Hollywood cronenberghiana di Map
to the Stars. Li visitano, li avvisano, li beffano, si lamentano
(“Sai cos'è l'inferno? Un mondo senza narcotici”). Se Havana
(Julianne Moore) riceve dal suo terapeuta una formula psicologica per
eliminare le sue “allucinazioni” della madre morta, non serve,
perché la madre le scodella con sarcasmo le parole che lei dovrebbe
dire. E' impossibile scacciare i morti – perché conoscono già le
armi che useremo contro di loro.
Ma
sono allucinazioni o fantasmi veri? In realtà la domanda non ha
molto senso nel cinema di David Cronenberg, in cui l'universo
coincide con la mente: l'unica risposta possibile è paradossale:
sono allucinazioni di fantasmi veri. Cronenberg e lo sceneggiatore
Bruce Wagner inseriscono un paio di indizi risolutivi: Havana
apprende dalla madre una cosa che non poteva sapere (e infatti dice,
con più ironia di quanto creda, “Prendo le mie informazioni da una
morta”); più tardi, Benjie vede nella piscina assieme al fantasma
di una ragazzina che conosceva quello del bambino Mika, e a
differenza dello spettatore non sa chi è.
Havana
è ossessionata dal ricordo della madre, star del cinema, che lei
odia per uno stupro lesbico incestuoso subito da bambina (però il
fantasma lo nega). Val la pena di ricordare che di odii madre/figlia
è piena la storia di Hollywood, il più famoso essendo quello della
figlia di Joan Crawford. Adesso la star è Havana, un misto di
nevrosi, fragilità e malignità, sull'orlo del declino per l'età
che avanza (grande interpretazione di Julianne Moore, che in questi
tempi di moralismo plumbeo non si tira indietro di fronte a niente,
nemmeno le scorregge onscreen).
Il suo sogno è di interpretare sua madre nel remake di un vecchio
successo di lei, del quale vediamo un paio di scene in b/n (ispirate,
se non erro, a Lilith
di Robert Rossen).
La
sua storia s'incrocia con quella di Benjie (Evan Bird), divo-bambino
tredicenne in disintossicazione dalla droga, scostante e disperato,
segnato da un trauma: anni prima la sorella maggiore Agatha - che
aveva l'ossessione di giocare con lui al matrimonio - cercò di
ucciderlo e diede fuoco alla casa. Il terzo personaggio è proprio
Agatha (Mia Wasikowska), che è stata dimessa dal manicomio ed è
tornata segretamente a Hollywood, sfregiata dal fuoco, per cercare di
riannodare fila che non vogliono essere riannodate. L'ignara Havana
la assume come assistente personale, ma preferisce dire “schiavetta”:
a un certo punto seduce l'amante di Agatha (Robert Pattinson) per
puro dispetto e gusto del potere sessuale. Cronenberg
ritorna sempre sui suoi temi: nella curiosità sbavante di Havana che
chiede al giovane com'è far sesso con Agatha, col suo corpo segnato
dalle cicatrici, ritroviamo l'ombra di Crash.
“I
segreti uccidono”: il titolo del bestseller scritto dall'egoistico
padre di Benjie nonché terapeuta di Havana (John Cusack, dai
memorabili occhi opachi) ci fa capire cosa sta alla base del film: la
memoria. Non è per caso che quando Agatha in un incontro/scontro
strappa la fede dal dito della madre la lascia col dito insanguinato.
Il passato scortica.
E'
un film di persone lacerate dalla loro memoria; il che ci riporta
all'universo hollywoodiano ricostituendo uno dei suoi generi
costitutivi, il melodramma. Con Map to the Stars Cronenberg ci
dà la sua versione (vale a dire, contorta e mutante) del mélo
alla Douglas Sirk.
Sbaglia
dunque chi ha visto nel film una semplice diatriba contro Hollywood.
Certo, Cronenberg e Wagner fanno propria la ben nota ostilità di
Carrie Fisher, che compare nella parte di se stessa, in una
minacciosa inquadratura dal basso. Hollywood fornisce al film
quell'atmosfera di egocentrismo malato che lo permea, e che peraltro
si può trovare anche altrove; chiedete al Martin Scorsese di The
Wolf of Wall Street;
ma Cronenberg non poteva mica replicare il mondo del suo
Cosmopolis, al quale fa un riferimento con humour quasi
tarantiniano a inizio film, con Robert Pattinson appoggiato all'auto
(però stavolta è l'autista!).
Questo,
però, è l'involucro. Soprattutto, Hollywood è lo sfondo perfetto
per un film di Cronenberg perché Hollywoodland è Dreamland, un
mondo mentale, in cui la vita reale si intreccia e confonde con la
fiction; un luogo di fantasmi creati per lo schermo; e di tutte
queste creazioni la più fantasmatica è il remake, l'evocazione del
passato che si incarna in altri corpi... E allora che dire
dell'ossessione di Havana, l'operazione spettrale/incestuosa di
replicare in se stessa il corpo della madre?
“Noi
siamo fuoco e lui è acqua”, esulta crudelmente Havana quando la
morte del bambino annegato in piscina, figlio di una rivale, le apre
la strada verso la parte bramata. Acqua e fuoco sono gli elementi
ritornanti del film. Acqua: quante piscine hollywoodiane
compaiono in Map to the
Stars! Sembrano quasi un tratto di passaggio fra questo mondo e
l'aldilà. Fuoco: un incendio ha ucciso la madre di Havana, un altro
doveva uccidere Benjie e ha marchiato Agatha. Gli
snodi della storia - fantasmi, incendio, incesto - non appartengono a
un personaggio in opposizione caratterizzante agli altri, bensì a
tutti, si intrecciano e si confondono. Map to the Stars è
un film apparentemente lineare e invece multiplo, incrociato, più
vicino in realtà a Il pasto nudo
che ad altre opere cronenberghiane; la sua narrazione ricorda David
Lynch. Su tutto risuona in modo ossessivo la poesia di Paul Eluard
Libertà - che è già
di per sé ossessiva, non per il suo contenuto ma per la sua
struttura, giocata tutta sulla ripetizione. Ma questa libertà
coincide con la morte.
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