martedì 3 giugno 2014

Map to the Stars

David Cronenberg 

I morti si mescolano ai vivi nella Hollywood cronenberghiana di Map to the Stars. Li visitano, li avvisano, li beffano, si lamentano (“Sai cos'è l'inferno? Un mondo senza narcotici”). Se Havana (Julianne Moore) riceve dal suo terapeuta una formula psicologica per eliminare le sue “allucinazioni” della madre morta, non serve, perché la madre le scodella con sarcasmo le parole che lei dovrebbe dire. E' impossibile scacciare i morti – perché conoscono già le armi che useremo contro di loro.
Ma sono allucinazioni o fantasmi veri? In realtà la domanda non ha molto senso nel cinema di David Cronenberg, in cui l'universo coincide con la mente: l'unica risposta possibile è paradossale: sono allucinazioni di fantasmi veri. Cronenberg e lo sceneggiatore Bruce Wagner inseriscono un paio di indizi risolutivi: Havana apprende dalla madre una cosa che non poteva sapere (e infatti dice, con più ironia di quanto creda, “Prendo le mie informazioni da una morta”); più tardi, Benjie vede nella piscina assieme al fantasma di una ragazzina che conosceva quello del bambino Mika, e a differenza dello spettatore non sa chi è.
Havana è ossessionata dal ricordo della madre, star del cinema, che lei odia per uno stupro lesbico incestuoso subito da bambina (però il fantasma lo nega). Val la pena di ricordare che di odii madre/figlia è piena la storia di Hollywood, il più famoso essendo quello della figlia di Joan Crawford. Adesso la star è Havana, un misto di nevrosi, fragilità e malignità, sull'orlo del declino per l'età che avanza (grande interpretazione di Julianne Moore, che in questi tempi di moralismo plumbeo non si tira indietro di fronte a niente, nemmeno le scorregge onscreen). Il suo sogno è di interpretare sua madre nel remake di un vecchio successo di lei, del quale vediamo un paio di scene in b/n (ispirate, se non erro, a Lilith di Robert Rossen).
La sua storia s'incrocia con quella di Benjie (Evan Bird), divo-bambino tredicenne in disintossicazione dalla droga, scostante e disperato, segnato da un trauma: anni prima la sorella maggiore Agatha - che aveva l'ossessione di giocare con lui al matrimonio - cercò di ucciderlo e diede fuoco alla casa. Il terzo personaggio è proprio Agatha (Mia Wasikowska), che è stata dimessa dal manicomio ed è tornata segretamente a Hollywood, sfregiata dal fuoco, per cercare di riannodare fila che non vogliono essere riannodate. L'ignara Havana la assume come assistente personale, ma preferisce dire “schiavetta”: a un certo punto seduce l'amante di Agatha (Robert Pattinson) per puro dispetto e gusto del potere sessuale. Cronenberg ritorna sempre sui suoi temi: nella curiosità sbavante di Havana che chiede al giovane com'è far sesso con Agatha, col suo corpo segnato dalle cicatrici, ritroviamo l'ombra di Crash.
I segreti uccidono”: il titolo del bestseller scritto dall'egoistico padre di Benjie nonché terapeuta di Havana (John Cusack, dai memorabili occhi opachi) ci fa capire cosa sta alla base del film: la memoria. Non è per caso che quando Agatha in un incontro/scontro strappa la fede dal dito della madre la lascia col dito insanguinato. Il passato scortica.
E' un film di persone lacerate dalla loro memoria; il che ci riporta all'universo hollywoodiano ricostituendo uno dei suoi generi costitutivi, il melodramma. Con Map to the Stars Cronenberg ci dà la sua versione (vale a dire, contorta e mutante) del mélo alla Douglas Sirk.
Sbaglia dunque chi ha visto nel film una semplice diatriba contro Hollywood. Certo, Cronenberg e Wagner fanno propria la ben nota ostilità di Carrie Fisher, che compare nella parte di se stessa, in una minacciosa inquadratura dal basso. Hollywood fornisce al film quell'atmosfera di egocentrismo malato che lo permea, e che peraltro si può trovare anche altrove; chiedete al Martin Scorsese di The Wolf of Wall Street; ma Cronenberg non poteva mica replicare il mondo del suo Cosmopolis, al quale fa un riferimento con humour quasi tarantiniano a inizio film, con Robert Pattinson appoggiato all'auto (però stavolta è l'autista!).
Questo, però, è l'involucro. Soprattutto, Hollywood è lo sfondo perfetto per un film di Cronenberg perché Hollywoodland è Dreamland, un mondo mentale, in cui la vita reale si intreccia e confonde con la fiction; un luogo di fantasmi creati per lo schermo; e di tutte queste creazioni la più fantasmatica è il remake, l'evocazione del passato che si incarna in altri corpi... E allora che dire dell'ossessione di Havana, l'operazione spettrale/incestuosa di replicare in se stessa il corpo della madre?
Noi siamo fuoco e lui è acqua”, esulta crudelmente Havana quando la morte del bambino annegato in piscina, figlio di una rivale, le apre la strada verso la parte bramata. Acqua e fuoco sono gli elementi ritornanti del film. Acqua: quante piscine hollywoodiane compaiono in Map to the Stars! Sembrano quasi un tratto di passaggio fra questo mondo e l'aldilà. Fuoco: un incendio ha ucciso la madre di Havana, un altro doveva uccidere Benjie e ha marchiato Agatha. Gli snodi della storia - fantasmi, incendio, incesto - non appartengono a un personaggio in opposizione caratterizzante agli altri, bensì a tutti, si intrecciano e si confondono. Map to the Stars è un film apparentemente lineare e invece multiplo, incrociato, più vicino in realtà a Il pasto nudo che ad altre opere cronenberghiane; la sua narrazione ricorda David Lynch. Su tutto risuona in modo ossessivo la poesia di Paul Eluard Libertà - che è già di per sé ossessiva, non per il suo contenuto ma per la sua struttura, giocata tutta sulla ripetizione. Ma questa libertà coincide con la morte.

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