lunedì 24 giugno 2013

Killer in viaggio

Ben Wheatley

C'è una caratteristica che ha sempre marcato il cinema inglese, dal muto fino ad oggi, e in cui per esempio la grande stagione della commedia Ealing ha trovato il materiale per elaborare quel suo piccolo realismo che la distingueva: la realtà dei visi. Che non è solo fisiognomica, naturalmente, e men che man fotogenia; è una capacità di mantenere il contatto visivo/descrittivo con una realtà nazionale di fondo; ed essa ha forse prodotto i suoi esiti migliori quando si è sposata a quella vena di bizzarria, spesso e volentieri nera, che pure è un tratto del cinema britannico.
Tutto ciò lo ritroviamo nel memorabile Killer in viaggio di Ben Wheatley, una delirante storia d'amore fra due serial killer proletari. Questo cineasta indipendente ha incrociato la miglior tradizione della commedia nera inglese con il minimalismo psicologico alla Mike Leigh: se Leigh decidesse un giorno di fare uno slasher, ne uscirebbe qualcosa di molto simile, e infatti è impressionante la somiglianza dei protagonisti Tina e Chris (gli eccellenti Alice Lowe e Steve Oram, interpreti e sceneggiatori) con i personaggi leighiani rappresentanti di un fascia d'Inghilterra giovanil-popolare alla quale ancora oggi non conviene menzionare la signora Thatcher.
Tina è una ragazza insicura, la classica né-brutta-né-bella, che deve vivere con una madre asfissiante (Eileen Davies, superba), malata più o meno immaginaria, e naturalmente castratrice (si dice anche per le donne?). Tanto più che lei, la madre, la accusa per un assurdo – e comico - incidente in cui è morto il cagnolino Poppy, impalato su un ferro da calza. Scambio di battute di così agghiacciante naturalezza che lo si potrebbe sentire solo in una commedia britannica (oppure in un film Dogma): “Assassina!” - “E' stato un incidente, mamma” - “Proprio come te”.
Chris è un giovanotto tarchiato, barbuto, rosso di pelo, il che gli ha causato qualche problema quando andava a scuola; tipo gentile, aspirante scrittore, con un forte tratto nerd. Non è Johnny Depp, naturalmente, ma per Tina è qualcosa di molto simile a una scialuppa di salvataggio esistenziale (la madre lo intuisce, e ne è scocciata). I due partono in vacanza con la roulotte di Chris per un giro dei luoghi memorabili dell'Inghilterra (il titolo originale è Sightseers): categoria che spazia dai siti archeologici al Museo della Matita.
Solo che quando Chris si innervosisce, beh, uccide la gente – magari con solenne accompagnamento di voce over che recita William Blake. Il bello è che Tina, dopo un (moderato) scandalo si scopre più folle di lui. I loro litigi in merito sono esilaranti, al pari delle sesquipedali calunnie sessuali di Tina su chi le sta antipatico, nella speranza di farlo uccidere da Chris. Il film è un ritratto dei due tipi base di serial killer (chissà che non possa nascerne una tassonomia), che potremmo definire il moralista e l'impulsivo. Chris uccide per migliorare il mondo, Tina quando le gira male. Comunque, pur litigando, si ritrovano d'accordo sulla teoria per cui l'omicidio è ecologico: quante emissioni in meno!
E così vanno in giro, amandosi, litigando, riappacificandosi, e massacrando. Non senza rubare, a una coppia appena dimezzata, il cane, identico al defunto Poppy (Tina crede che sia la sua reincarnazione); e questo cane di nome Banjo diventa un adorabile co-protagonista del film (nella vita reale il cane attore si chiama Smurf, che vuol dire Puffo). C'è uno straziante humour nell'umanità di questa coppia di assassini, che va oltre il paradosso umoristico delle uccisioni dispensate con nera liberalità. Voglio dire che non si tronca mai quel filo di riconoscibilità empatica che li caratterizza; tanto più si avvolgono nel sangue, tanto più potrebbero essere nostri cugini. Eliminate gli omicidi che punteggiano il film, sostituiteli con litigi su scelte di percorso o su spese extra e o sull'aver guardato troppo una ragazza o un uomo, e avete semplicemente quella commedia d'amore popolare nella quale il cinema inglese eccelle attraverso la descrizione della quotidianità.
Allo stesso modo, sono perfettamente quotidiani, riconoscibili, potremmo incontrarli anche noi se girassimo per il regno della Regina Elisabetta, i personaggi loro vittime. Il film non è solo un giro turistico dei luoghi ma anche della popolazione inglese, dagli esponenti di un'upper class un po' spompata alle volgarissime squinzie ubriache della festa di addio al nubilato. E tutti mordono la polvere – fino a un folgorante finale che naturalmente non è il caso di svelare qui.
Così il film inserisce il realismo alla Leigh nella logica assurda ma non campata in aria della grande tradizione della commedia nera inglese; della quale, d'accordo, la Ealing è stata il punto culminante, ma ritroviamo anche qualcosa della sfacciataggine dei Monty Python nell'immediatezza abrupta degli omicidi. Come diceva in tono di protesta Norman Bates in Psycho: “A tutti può capitare di perdere la testa! A voi non è mai capitato?”

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