C'è
una caratteristica che ha sempre marcato il cinema inglese, dal muto
fino ad oggi, e in cui per esempio la grande stagione della commedia
Ealing ha trovato il materiale per elaborare quel suo piccolo
realismo che la distingueva: la realtà dei visi. Che non è solo
fisiognomica, naturalmente, e men che man fotogenia; è una capacità
di mantenere il contatto visivo/descrittivo con una realtà nazionale
di fondo; ed essa ha forse prodotto i suoi esiti migliori quando si è
sposata a quella vena di bizzarria, spesso e volentieri nera, che
pure è un tratto del cinema britannico.
Tutto
ciò lo ritroviamo nel memorabile Killer in viaggio di Ben
Wheatley, una delirante storia d'amore fra due serial killer
proletari. Questo cineasta indipendente ha incrociato la miglior
tradizione della commedia nera inglese con il minimalismo psicologico
alla Mike Leigh: se Leigh decidesse un giorno di fare uno slasher,
ne uscirebbe qualcosa di molto simile, e infatti è impressionante la
somiglianza dei protagonisti Tina e Chris (gli eccellenti Alice Lowe
e Steve Oram, interpreti e sceneggiatori) con i personaggi leighiani
rappresentanti di un fascia d'Inghilterra giovanil-popolare alla
quale ancora oggi non conviene menzionare la signora Thatcher.
Tina
è una ragazza insicura, la classica né-brutta-né-bella, che deve
vivere con una madre asfissiante (Eileen Davies, superba), malata più
o meno immaginaria, e naturalmente castratrice (si dice anche per le
donne?). Tanto più che lei, la madre, la accusa per un assurdo – e
comico - incidente in cui è morto il cagnolino Poppy, impalato su un
ferro da calza. Scambio di battute di così agghiacciante naturalezza
che lo si potrebbe sentire solo in una commedia britannica (oppure in
un film Dogma): “Assassina!” - “E' stato un incidente, mamma”
- “Proprio come te”.
Chris
è un giovanotto tarchiato, barbuto, rosso di pelo, il che gli ha
causato qualche problema quando andava a scuola; tipo gentile,
aspirante scrittore, con un forte tratto nerd. Non è Johnny
Depp, naturalmente, ma per Tina è qualcosa di molto simile a una
scialuppa di salvataggio esistenziale (la madre lo intuisce, e ne è
scocciata). I due partono in vacanza con la roulotte di Chris per un
giro dei luoghi memorabili dell'Inghilterra (il titolo originale è
Sightseers): categoria che spazia dai siti archeologici al
Museo della Matita.
Solo
che quando Chris si innervosisce, beh, uccide la gente – magari con
solenne accompagnamento di voce over che recita William Blake. Il
bello è che Tina, dopo un (moderato) scandalo si scopre più folle
di lui. I loro litigi in merito sono esilaranti, al pari delle
sesquipedali calunnie sessuali di Tina su chi le sta antipatico,
nella speranza di farlo uccidere da Chris. Il film è un ritratto dei
due tipi base di serial killer (chissà che non possa nascerne una
tassonomia), che potremmo definire il moralista e l'impulsivo. Chris
uccide per migliorare il mondo, Tina quando le gira male. Comunque,
pur litigando, si ritrovano d'accordo sulla teoria per cui l'omicidio
è ecologico: quante emissioni in meno!
E
così vanno in giro, amandosi, litigando, riappacificandosi, e
massacrando. Non senza rubare, a una coppia appena dimezzata, il
cane, identico al defunto Poppy (Tina crede che sia la sua
reincarnazione); e questo cane di nome Banjo diventa un adorabile
co-protagonista del film (nella vita reale il cane attore si chiama
Smurf, che vuol dire Puffo). C'è uno straziante humour nell'umanità
di questa coppia di assassini, che va oltre il paradosso umoristico
delle uccisioni dispensate con nera liberalità. Voglio dire che non
si tronca mai quel filo di riconoscibilità empatica che li
caratterizza; tanto più si avvolgono nel sangue, tanto più
potrebbero essere nostri cugini. Eliminate gli omicidi che
punteggiano il film, sostituiteli con litigi su scelte di percorso o
su spese extra e o sull'aver guardato troppo una ragazza o un uomo, e
avete semplicemente quella commedia d'amore popolare nella quale il
cinema inglese eccelle attraverso la descrizione della quotidianità.
Allo
stesso modo, sono perfettamente quotidiani, riconoscibili, potremmo
incontrarli anche noi se girassimo per il regno della Regina
Elisabetta, i personaggi loro vittime. Il film non è solo un giro
turistico dei luoghi ma anche della popolazione inglese, dagli
esponenti di un'upper class un po' spompata alle volgarissime
squinzie ubriache della festa di addio al nubilato. E tutti mordono
la polvere – fino a un folgorante finale che naturalmente non è il
caso di svelare qui.
Così
il film inserisce il realismo alla Leigh nella logica assurda ma non
campata in aria della grande tradizione della commedia nera inglese;
della quale, d'accordo, la Ealing è stata il punto culminante, ma
ritroviamo anche qualcosa della sfacciataggine dei Monty Python
nell'immediatezza abrupta degli omicidi. Come diceva in tono
di protesta Norman Bates in Psycho: “A tutti può capitare
di perdere la testa! A voi non è mai capitato?”
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