Si situa sul versante
migliore dell'ineguale produzione di Giuseppe Tornatore “La
migliore offerta”, da lui scritto e diretto. Un film che - com'è
in fondo confacente a un'opera basata su inversioni e raddoppiamenti
- a un certo punto si rovescia in un altro; ma di questa seconda
parte sarebbe veramente sleale rivelare alcunché, e quindi me ne
astengo. Mi limito a osservare che alcune forzature logiche fanno
parte del gioco e quindi non possono essere ascritte a colpa; semmai
si potrebbe rilevare che indovinare la conclusione non è poi così
difficile.
Virgil Oldman (un
ottimo Geoffrey Rush) è un famoso antiquario e banditore d'aste, che
in tal veste non disdegna qualche piccolo sporco imbroglio con la
complicità di un amico (Donald Sutherland). Beh, neanche tanto
piccolo, visto che quando scopre un originale di Petrus Christus lo
fa passare per un falso del Seicento allo scopo di appropriarsene.
Sul piano umano Oldman (che si porta la vecchiaia già nel nome ma si
tinge i capelli) è un misantropo che detesta toccare la gente, non
ha il cellulare e se deve parlare al telefono lo avvolge in un
kleenex. Come apprendiamo dal dialogo, non ha mai dormito con una
donna. Ma il suo tesoro nascosto è una gigantesca collezione di
ritratti di giovani donne, di varie epoche, che tutte guardano verso
l'osservatore (“in macchina”, come si dice nel cinema). Nella
stanza segreta lo guardano in silenzio e lui risponde in silenzio al
loro sguardo, in bei campi/controcampi.
Una
certa Claire (Sylvia Hoeks), che vuole mettere in vendita le opere
d'arte della villa ereditata dai genitori, chiede al protagonista di
curare la valutazione e il catalogo; ma con varie scuse non si fa mai
vedere di persona. Presto Oldman scopre che lei è una hikikomori
(termine non usato nel film), una di quelle persone che vivono
recluse in una stanza e hanno paura di uscire nel mondo esterno. Si
nasconde in una sezione inaccessibile della villa e ne esce quando
non c'è nessuno.
Tutta la prima parte
del film (prevalente sul piano della lunghezza) è una storia
d'amore, dove Tornatore recupera il senso di astrazione di “Una
pura formalità”. Prima viene per Oldman l'ossessione di vedere la
bella nascosta. E' un'inversione del suo universo erotico: da donne
che guarda ma non possono parlargli a una donna che gli parla ma non
può guardare. C'è un affascinante momento di voyeurismo quando
l'uomo, nascosto nella villa vuota, spia Claire che è uscita dal suo
rifugio ed essendosi scalfita un piede se lo succhia seduta su una
sedia a gambe aperte.
A passi quasi
impercettibili, ben descritti dal racconto, il protagonista mette in
opera un vero assedio per riuscire a stabilire un rapporto con
Claire, entrare nella sua vita, e infine guarirla. Tornatore
tratteggia una convincente analisi psicologica dell'antiquario (non
tanto della donna che - questo è un limite del film - resta una
figura piuttosto fredda). Tanto più per un uomo inesperto e insicuro
qual è Oldman, il processo della conoscenza e dell'amore si
costruisce a piccoli pezzi da incastrare fra loro, proprio come i
meccanismi che lui raccoglie abbandonati in terra qua e là per la
villa e ricompone (con l'aiuto di un giovane meccanico e confidente)
fino a ricostruire un automa del Settecento - il cui ruolo per la
verità è poco più che di metafora. Parlando di metafore, ne
troviamo una più diretta e meno ricercata nei dialoghi sul vero e il
falso nell'arte, facilmente trasferibili all'amore. O nella battuta
dell'assistente di Oldman sulla “migliore offerta”, che è la
migliore del film cui dà il titolo.
E' evidente il
raffinato gioco di analogia e rispecchiamento fra i due. Se Claire si
è segregata fin da adolescente in una stanza, anche Oldman si è
segregato sia spiritualmente (il rifiuto di contatti umani) sia
materialmente sul piano dell'eros: si rifugia anche lui in una stanza
segreta con il suo harem di donne dipinte. Ed è evidente che nel
rapporto con questo harem muto manca l'alea dell'amore. Il suo
difficoltosissimo rapporto con Claire è quindi un passaggio alla
realtà, si trasforma in una crescita.
Una
svolta a sorpresa apre la seconda parte del film - ma, come promesso,
“de eso no se habla”.
In sostituzione, preme annotare che “La migliore offerta” è (senza
sorpresa, vista l'ambientazione) un film straripante di bellezza. A
tal punto che il fascino dei dipinti, dei mobili, degli oggetti,
delle expertise, delle attribuzioni (magari truffaldine), rischia
all'inizio di soverchiare l'interesse del plot. Voglio dire che
quando (Tornatore giustamente si prende il suo tempo) comincia a
svilupparsi il racconto, lo spettatore è come infastidito dal
doversi avviare su questa strada - e per un attimo semplicemente
preferirebbe seguire affascinato l'attività quotidiana di Oldman nel
suo mondo.
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