Meno sconvolgente de
“Il petroliere” ma comunque affascinante, “The Master” di
Paul Thomas Anderson è una sorta di balletto a due sull'orlo
dell'inferno.
A
pochi anni dalla seconda guerra mondiale due figure si incontrano.
Dodd
è uno psicologo-filosofo-guru, ciarlatanesco (inventa le sue teorie
man mano che va avanti) ma dotato di quell'intuito
psicologico che è un sine
qua non
per qualsiasi mistificatore. Ha
fondato una setta a conduzione familiare, la Causa, che promette ai
seguaci la pace e la libertà interiore attraverso una serie di
procedimenti per metà proiettivi per metà fantastici, comprendenti
il ricordo delle vite precedenti (ovvia l'ispirazione a L. Ron
Hubbard, scrittore di fantascienza e fondatore di Dianetics,
l'attuale Scientology). Maestro nell'arte di rivoltare la frittata
sul piano dialettico, aggredisce verbalmente chi lo critichi,
proclamandosi perseguitato.
Quell
è un reduce di guerra, un alcoolista incapace di reinserirsi.
Bestiale, primitivo, infantile, agitato da pulsioni di sesso e
violenza, si potrebbe definire l'uomo delle caverne in libera uscita
nell'America degli anni '50 se non avesse come ulteriore fardello la
percezione - negata quanto si vuole - della propria inadeguatezza.
Già a livello fisico (la postura contratta e storta all'indietro, la
bocca irrigidita a metà) denuncia la “corazza caratteriale” che
lo imprigiona.
E'
un'interpretazione di Joaquin Phoenix fortemente marcata, di un
naturalismo spinto ai limiti del simbolico, alla Robert De Niro, che
si contrappone a quella smooth,
realistica e rilassata di Philip Seymour Hoffman nei panni di Dodd.
Non è che non si senta il contrasto fra i due stili interpretativi,
a volte stridente, ma è un contrasto ricercato dal regista.
S'instaura
subito un rapporto. Per Dodd, Quell è l'uomo-animale da sollevare al
livello superiore, la miglior dimostrazione delle sue teorie. Per
Quell, Dodd è il padre-Führer
che può “perdonare” la sua mediocrità (questo film dove non si
parla di nazismo o comunismo è una perfetta illustrazione della
mentalità totalitaria).
Dodd
difende il rozzo plebeo sbalestrato contro la diffidenza della moglie (che una bella recensione di
Justin Chang su Variety
paragona
a Lady Macbeth) e degli altri notabili della setta. Perché al
fondo
c'è una mutua attrazione: i due si riconoscono reciprocamente l'uno
nell'altro, onde si crea una
bizzarra forma di affetto. Ciascuno dei
due vede nell'altro quello che vorrebbe essere ma non può. Quell
vede in Dodd l'uomo simpatico per natura (e contagiosamente simpatico
Dodd lo è: guardatelo
mentre canta “Ramingo” in una notevole scena - nella quale per
inciso Quell si immagina nude tutte le donne presenti). Viceversa,
Dodd senza ammetterlo invidia a Quell quella brutalità senza
infingimenti che la sua persona
(maschera) gli inibisce; anche lui è violento, ma in modo più
raffinato. Quando Quell si comporta da gangster contro gli
oppositori, Dodd lo rimprovera come un animaletto vivace o un
ragazzino che ha fatto una marachella. E' sintomatico che il primo
rapporto simpatetico fra i due si instauri attraverso la condivisione
di un vizio: il bere con soddisfazione la velenosa mistura ubriacante
che Quell sa fabbricare.
Una
recensione americana definisce la postura di Quell simianlike,
scimmiesca. E' detto ancor meglio di quanto pensi l'autore – perché
al di là della fisicità l'aggettivo ci offre una chiave di lettura
per questo film assai ricco: Quell è la scimmia di Dodd, nella
doppia caratteristica che quest'animale possiede: l'aggressività e
l'istinto di imitazione. Il film segue la sua parabola in tre stadi
logicamente connessi.
Nel
primo, Quell è l'animale ammaestrato che attacca i nemici del
padrone. Quando in un incontro a New York Dodd litiga con un invitato
che lo contesta, Quell tira addosso all'uomo un frutto - non
diversamente da come farebbe uno scimpanzé. Ed è proprio da padrone
di un pet
la reazione, già citata, del guru, che lo blocca con voce ferma:
“Adesso basta!”
Nel
secondo stadio Quell progredisce nella setta imitandone
(scimmiottandone)
i comportamenti. Non solo diventa
uno
dei collaboratori principali del capo sul piano materiale ma cerca di
eseguire gli spossanti procedimenti di auto-comprensione inventati da
Dodd – magari imbrogliando un po' quando nessuno lo vede.
Infine lo stadio
superiore: la scimmia avendo introiettato l'imitazione del padrone
perviene a realizzarne una autonoma e indipendente copia/parodia.
Esattamente come in quelle vignette ottocentesche intitolate ”L'isola
delle scimmie” o simili, dove si contemplavano i primati che vanno
in giro in una loro repubblica vestiti parodisticamente all'europea.
Infatti nel sorprendente finale del film, dopo aver lasciato per
sempre il suo maestro, Quell rimorchia in un pub inglese una
malinconica ragazza non bellissima e mentre scopano mette in atto
tutto l'apparato pseudo-psicologico di Dodd, in un'imitazione che
trasferisce naturalmente la ciarlataneria intellettuale al livello
direttamente sessuale.
Qui ci lascia il film -
commento sulle ferite psicologiche dell'America postbellica
attraverso un suo figlio sbandato; riflessione sull'eterna ricerca
americana di una rassicurazione; analisi sulla figura del guru, che
ha sempre affascinato Anderson, da “Magnolia” via via fino a “Il
petroliere”; ragionamento sul rapporto servo-padrone. Come dice a
un dipresso Dodd in una scena: “Grazie! Questo è cibo per il
pensiero”.
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