giovedì 10 gennaio 2013

The Master

Paul Thomas Anderson

Meno sconvolgente de “Il petroliere” ma comunque affascinante, “The Master” di Paul Thomas Anderson è una sorta di balletto a due sull'orlo dell'inferno.
A pochi anni dalla seconda guerra mondiale due figure si incontrano. Dodd è uno psicologo-filosofo-guru, ciarlatanesco (inventa le sue teorie man mano che va avanti) ma dotato di quell'intuito psicologico che è un sine qua non per qualsiasi mistificatore. Ha fondato una setta a conduzione familiare, la Causa, che promette ai seguaci la pace e la libertà interiore attraverso una serie di procedimenti per metà proiettivi per metà fantastici, comprendenti il ricordo delle vite precedenti (ovvia l'ispirazione a L. Ron Hubbard, scrittore di fantascienza e fondatore di Dianetics, l'attuale Scientology). Maestro nell'arte di rivoltare la frittata sul piano dialettico, aggredisce verbalmente chi lo critichi, proclamandosi perseguitato.
Quell è un reduce di guerra, un alcoolista incapace di reinserirsi. Bestiale, primitivo, infantile, agitato da pulsioni di sesso e violenza, si potrebbe definire l'uomo delle caverne in libera uscita nell'America degli anni '50 se non avesse come ulteriore fardello la percezione - negata quanto si vuole - della propria inadeguatezza. Già a livello fisico (la postura contratta e storta all'indietro, la bocca irrigidita a metà) denuncia la “corazza caratteriale” che lo imprigiona.
E' un'interpretazione di Joaquin Phoenix fortemente marcata, di un naturalismo spinto ai limiti del simbolico, alla Robert De Niro, che si contrappone a quella smooth, realistica e rilassata di Philip Seymour Hoffman nei panni di Dodd. Non è che non si senta il contrasto fra i due stili interpretativi, a volte stridente, ma è un contrasto ricercato dal regista.
S'instaura subito un rapporto. Per Dodd, Quell è l'uomo-animale da sollevare al livello superiore, la miglior dimostrazione delle sue teorie. Per Quell, Dodd è il padre-Führer che può “perdonare” la sua mediocrità (questo film dove non si parla di nazismo o comunismo è una perfetta illustrazione della mentalità totalitaria).
Dodd difende il rozzo plebeo sbalestrato contro la diffidenza della moglie (che una bella recensione di Justin Chang su Variety paragona a Lady Macbeth) e degli altri notabili della setta. Perché al fondo c'è una mutua attrazione: i due si riconoscono reciprocamente l'uno nell'altro, onde si crea una bizzarra forma di affetto. Ciascuno dei due vede nell'altro quello che vorrebbe essere ma non può. Quell vede in Dodd l'uomo simpatico per natura (e contagiosamente simpatico Dodd lo è: guardatelo mentre canta “Ramingo” in una notevole scena - nella quale per inciso Quell si immagina nude tutte le donne presenti). Viceversa, Dodd senza ammetterlo invidia a Quell quella brutalità senza infingimenti che la sua persona (maschera) gli inibisce; anche lui è violento, ma in modo più raffinato. Quando Quell si comporta da gangster contro gli oppositori, Dodd lo rimprovera come un animaletto vivace o un ragazzino che ha fatto una marachella. E' sintomatico che il primo rapporto simpatetico fra i due si instauri attraverso la condivisione di un vizio: il bere con soddisfazione la velenosa mistura ubriacante che Quell sa fabbricare.
Una recensione americana definisce la postura di Quell simianlike, scimmiesca. E' detto ancor meglio di quanto pensi l'autore – perché al di là della fisicità l'aggettivo ci offre una chiave di lettura per questo film assai ricco: Quell è la scimmia di Dodd, nella doppia caratteristica che quest'animale possiede: l'aggressività e l'istinto di imitazione. Il film segue la sua parabola in tre stadi logicamente connessi.
Nel primo, Quell è l'animale ammaestrato che attacca i nemici del padrone. Quando in un incontro a New York Dodd litiga con un invitato che lo contesta, Quell tira addosso all'uomo un frutto - non diversamente da come farebbe uno scimpanzé. Ed è proprio da padrone di un pet la reazione, già citata, del guru, che lo blocca con voce ferma: “Adesso basta!”
Nel secondo stadio Quell progredisce nella setta imitandone (scimmiottandone) i comportamenti. Non solo diventa uno dei collaboratori principali del capo sul piano materiale ma cerca di eseguire gli spossanti procedimenti di auto-comprensione inventati da Dodd – magari imbrogliando un po' quando nessuno lo vede.
Infine lo stadio superiore: la scimmia avendo introiettato l'imitazione del padrone perviene a realizzarne una autonoma e indipendente copia/parodia. Esattamente come in quelle vignette ottocentesche intitolate ”L'isola delle scimmie” o simili, dove si contemplavano i primati che vanno in giro in una loro repubblica vestiti parodisticamente all'europea. Infatti nel sorprendente finale del film, dopo aver lasciato per sempre il suo maestro, Quell rimorchia in un pub inglese una malinconica ragazza non bellissima e mentre scopano mette in atto tutto l'apparato pseudo-psicologico di Dodd, in un'imitazione che trasferisce naturalmente la ciarlataneria intellettuale al livello direttamente sessuale.
Qui ci lascia il film - commento sulle ferite psicologiche dell'America postbellica attraverso un suo figlio sbandato; riflessione sull'eterna ricerca americana di una rassicurazione; analisi sulla figura del guru, che ha sempre affascinato Anderson, da “Magnolia” via via fino a “Il petroliere”; ragionamento sul rapporto servo-padrone. Come dice a un dipresso Dodd in una scena: “Grazie! Questo è cibo per il pensiero”.

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