domenica 18 novembre 2012

Skyfall

Sam Mendes

Due dipinti di navi sono i poli simbolici dell'ultimo film di James Bond, “Skyfall”, diretto da Sam Mendes - il miglior film bondiano del cupo Daniel Craig ma anche uno dei migliori in assoluto. Non solo perché è abile, compatto, appassionante, ma perché è un esempio da manuale di decostruzione e ricostruzione del mito.
Naturalmente un film di 007 è sempre un'opera collettiva. Accanto alla regia di Mendes il merito va a un trio di sceneggiatori, dove accanto ai regulars Neal Purvis e Robert Wade si sente l'impronta di John Logan, autore di molti film ottimamente scritti (da “Ogni maledetta domenica” a “Hugo Cabret”). Ed oltre ai consueti competenti apporti (interpretazioni, montaggio, fotografia) una menzione speciale va alla musica di Thomas Newman perché sa dosare abilmente il classico tema di Bond, da accordi citazionistici fino all'esplosione trionfale, in perfetta sintonia col movimento dialettico del film.
Due dipinti di navi, dicevamo. Il primo è di Turner, alla National Gallery; lì si incontrano Bond e il nuovo Q, un giovincello, il quale è fin troppo lieto di illustrargli il quadro: “Una grandiosa nave da guerra trainata ingloriosamente alla demolizione”. Segue uno scambio di frecciate sul rispettivo valore di gioventù ed esperienza. Questo il tema del film.
Nessuno avrebbe mai pensato di “rottamare” Sean Connery. Ma Daniel Craig rappresenta il culmine e l'esplicitazione di un lungo percorso in cui il personaggio di 007 è stato, più ancora che attualizzato, demitizzato, perdendo quell'imperturbabilità serena e irreale che aveva Connery. Si potrebbe dire che è stato portato nel tempo – laddove il mito esiste fuori dal tempo. Vero che contestualmente lo 007 di Craig ha recuperato le caratteristiche di quello dei romanzi di Fleming (al quale fra i Bond cinematografici è probabilmente il più vicino): la crudeltà, l'emozione e, segnatamente in “Skyfall”, la vulnerabilità. Per non dire che ammodernandosi ha anche incassato molti dollari. Ma entrare nel tempo significa invecchiare; e se invecchi, salta su qualcuno che vuole rottamarti. Vale anche per M (Judi Dench).
In “Skyfall” Daniel Craig appare in doppia veste: sia come personaggio Bond nella concretezza del racconto sia come portatore, attuale incarnazione, del mito Bond. Ebbene, con geniale coerenza di costruzione il film prende di petto l'“umanizzazione” di Bond e parte di lì per ricostituire la sua dimensione mitica. Dapprima porta Bond fino al nadir dell'anti-mito: la sconfitta, la stanchezza, la somma vergogna del quasi licenziamento per inadeguatezza fisica. Poi avvia un calibratissimo movimento di restaurazione.
Prima vediamo Bond stanco, stracciato, ferito per errore dai suoi, tentato di “godersi la morte”, come dice, sfruttando la sua morte presunta per scomparire (è una reminiscenza della conclusione di “Si vive solo due volte”, non il film ma il romanzo). Lo vediamo anche bere una Heineken (i giornali ci hanno ricamato sopra). Poi il senso del dovere lo richiama in servizio, con tutte le difficoltà citate. Il momento in cui la sua “resurrezione” viene enunciata sta in un passaggio a Macao. Dopo la battuta “Vecchia volpe, nuovi trucchi”, il film stacca a un totale panoramico del casinò, con fuochi artificiali in cielo (simbolicamente celebrativi) – e vediamo arrivare Bond, in piedi su un motoscafo in abito da sera, mentre la score riprende il suo tema. E infatti segue la sua classica formula di presentazione: “Signor...?” - “Bond. James Bond”. E infatti poco dopo beve un Martini.
Il movimento dialettico del film si realizza su tre piani diversi (“Skyfall” è un film assai più interconnesso dei soliti episodi bondiani, cosa che non stupisce, visto che c'è Sam Mendes alla regia). Il primo è quello diegetico, ossia del racconto, con Bond che mostra di essere tutt'altro che superato; dà persino una lezioncina a Q individuando il dettaglio utile sulla schermata del computer. Il secondo piano è quello allegorico di un percorso di morte e resurrezione - teorizzata anche in una battuta - che si risolve in una rivendicazione delle radici (il ritorno alla tenuta di Skyfall è quasi una cura psicoanalitica). Il terzo è quello simbolico legato a tutto un apparato di oggetti. Appunto il secondo dipinto di navi, visibile nell'ufficio di M nel finale, mostra una fila di navi da guerra in navigazione, che certamente è la flotta di Nelson in rotta per Trafalgar: navi da guerra destinate non alla demolizione ma alla vittoria. Fra questi oggetti-simbolo non poteva mancare la famosa Aston Martin con il seggiolino eiettabile e le mitragliatrici dietro i fanali.
Bisogna aggiungere che “Skyfall”, addirittura citando Lord Tennyson, applica alla Gran Bretagna la stessa operazione di Bond. La rinascita passa per la riappropriazione delle radici: dai sotterranei di Churchill, che appaiono come nuova sede del MI6, alla tenuta di famiglia, Skyfall, in Scozia. In un finale costellato di bandiere britanniche, il film si chiude su un rinnovo di licenza; con una nuova Moneypenny e un nuovo M, 007 is back. Proprio per questo il tradizionale occhio/iride che apriva tradizionalmente tutti i film bondiani qui appare alla fine: non annuncia una situazione già data ma suggella un percorso compiuto.



Nessun commento: