Due
dipinti di navi sono i poli simbolici dell'ultimo film di James Bond,
“Skyfall”, diretto da Sam Mendes - il miglior film bondiano del
cupo Daniel Craig ma anche uno dei migliori in assoluto. Non solo
perché è abile, compatto, appassionante, ma perché è un esempio
da manuale di decostruzione e ricostruzione del mito.
Naturalmente
un film di 007 è sempre un'opera collettiva. Accanto alla regia di
Mendes il merito va a un trio di sceneggiatori, dove accanto ai
regulars Neal Purvis e Robert Wade si sente l'impronta di John
Logan, autore di molti film ottimamente scritti (da “Ogni maledetta
domenica” a “Hugo Cabret”). Ed oltre ai consueti competenti
apporti (interpretazioni, montaggio, fotografia) una menzione
speciale va alla musica di Thomas Newman perché sa dosare abilmente
il classico tema di Bond, da accordi citazionistici fino
all'esplosione trionfale, in perfetta sintonia col movimento
dialettico del film.
Due
dipinti di navi, dicevamo. Il primo è di Turner, alla National
Gallery; lì si incontrano Bond e il nuovo Q, un giovincello, il
quale è fin troppo lieto di illustrargli il quadro: “Una
grandiosa nave da guerra trainata ingloriosamente alla demolizione”.
Segue uno scambio di frecciate sul rispettivo valore di gioventù ed
esperienza. Questo il tema del film.
Nessuno
avrebbe mai pensato di “rottamare” Sean Connery. Ma Daniel Craig
rappresenta il culmine e l'esplicitazione di un lungo percorso in cui
il personaggio di 007 è stato, più ancora che attualizzato,
demitizzato, perdendo quell'imperturbabilità serena e irreale che
aveva Connery. Si potrebbe dire che è stato portato nel tempo –
laddove il mito esiste fuori dal tempo. Vero che contestualmente lo
007 di Craig ha recuperato le caratteristiche di quello dei romanzi
di Fleming (al quale fra i Bond cinematografici è probabilmente il
più vicino): la crudeltà, l'emozione e, segnatamente in “Skyfall”,
la vulnerabilità. Per non dire che ammodernandosi
ha anche incassato molti dollari. Ma entrare nel tempo
significa invecchiare; e se invecchi, salta su qualcuno che vuole
rottamarti. Vale anche per M (Judi Dench).
In
“Skyfall” Daniel Craig appare in doppia veste: sia come
personaggio Bond nella concretezza del racconto sia come portatore,
attuale incarnazione, del mito Bond. Ebbene, con geniale coerenza di
costruzione il film prende di petto l'“umanizzazione” di Bond e
parte di lì per ricostituire la sua dimensione mitica. Dapprima
porta Bond fino al nadir dell'anti-mito: la sconfitta, la stanchezza,
la somma vergogna del quasi licenziamento per inadeguatezza fisica.
Poi avvia un calibratissimo movimento di restaurazione.
Prima
vediamo Bond stanco, stracciato, ferito per errore dai suoi, tentato
di “godersi la morte”, come dice, sfruttando la sua morte
presunta per scomparire (è una reminiscenza della conclusione di
“Si vive solo due volte”, non il film ma il romanzo). Lo vediamo
anche bere una Heineken (i giornali ci hanno ricamato sopra). Poi
il senso del dovere lo richiama in servizio, con tutte le difficoltà
citate. Il momento in cui la sua “resurrezione” viene enunciata
sta in un passaggio a Macao. Dopo la battuta “Vecchia volpe,
nuovi trucchi”, il film stacca a un totale panoramico del casinò,
con fuochi artificiali in cielo (simbolicamente celebrativi) – e
vediamo arrivare Bond, in piedi su un motoscafo in abito da sera,
mentre la score riprende il suo tema. E infatti segue la sua
classica formula di presentazione: “Signor...?” - “Bond. James
Bond”. E infatti poco dopo beve un Martini.
Il
movimento dialettico del film si realizza su tre piani diversi
(“Skyfall” è un film assai più interconnesso dei soliti episodi
bondiani, cosa che non stupisce, visto che c'è Sam Mendes alla
regia). Il primo è quello diegetico, ossia del racconto, con Bond
che mostra di essere tutt'altro che superato; dà persino una
lezioncina a Q individuando il dettaglio utile sulla schermata del
computer. Il secondo piano è quello allegorico di un percorso di
morte e resurrezione - teorizzata anche in una battuta - che si
risolve in una rivendicazione delle radici (il ritorno alla tenuta di
Skyfall è quasi una cura psicoanalitica). Il terzo è quello
simbolico legato a tutto un apparato di oggetti. Appunto il secondo
dipinto di navi, visibile nell'ufficio di M nel finale, mostra una
fila di navi da guerra in navigazione, che certamente è la flotta di
Nelson in rotta per Trafalgar: navi da guerra destinate non alla
demolizione ma alla vittoria. Fra questi oggetti-simbolo non poteva
mancare la famosa Aston Martin con il seggiolino eiettabile e le
mitragliatrici dietro i fanali.
Bisogna
aggiungere che “Skyfall”, addirittura citando Lord Tennyson,
applica alla Gran Bretagna la stessa operazione di Bond. La rinascita
passa per la riappropriazione delle radici: dai sotterranei di
Churchill, che appaiono come nuova sede del MI6, alla tenuta di
famiglia, Skyfall, in Scozia. In un
finale costellato di bandiere britanniche, il film si chiude su un
rinnovo di licenza; con una nuova Moneypenny e un nuovo M, 007
is back. Proprio per questo il tradizionale occhio/iride che
apriva tradizionalmente tutti i film bondiani qui appare alla fine:
non annuncia una situazione già data ma suggella un percorso
compiuto.
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