Si
sa, è buona educazione da parte di un recensore avvertire quando la
recensione contiene uno spoiler; e questa contiene lo spoiler più
grosso che ci sia, in quanto rivela proprio the big surprise
che rende particolarmente spudorato “Breaking Dawn – Parte 2”
di Bill Condon. Ma questo recensore non si sente colpevole. In primo
luogo, il lettore è avvertito. In secondo luogo, c'è già tutto nel
romanzo e il film non fa che svilupparlo. In terzo luogo, la
rivelazione potrebbe aiutare qualcuno a evitare di incavolarsi, o
magari a non buttar via i soldi del biglietto.
Da
quanto precede, sembrerà ai lettori superstiti che debba seguire una
stroncatura da levare il pelo. Invece no: se “Breaking Dawn –
Parte 1” era un fallimento totale, la "Parte 2" migliora man
mano che si sviluppa. Il motivo non è solo che la sceneggiatura di
Melissa Rosenberg è superiore a quella della puntata precedente; è
anche che il racconto si concentra meno sugli zuccherosi Edward e
Bella e più sugli altri vampiri, dipingendo le loro particolarità e
punti di vista. Poiché si prepara e poi esplode una sanguinosa faida
fra il clan dei Cullen (con tutti i loro amici... una specie di ONU
vampirica... e in alleanza coi licantropi) e quello dei Volturi.
Vampiri revisionisti e democratici contro vampiri tradizionalisti e
conservatori.
Peraltro,
proprio su Edward e Bella il film riserva una buona apertura che
rende abbastanza bene la nuova ricchezza di sensi che Bella possiede
dopo essere divenuta vampiro (la sua voce narrante - che poco
elegantemente va e viene nel film - ci dice con soddisfazione: “Ero
nata per essere un vampiro”. Non male, dopo tanto sfogliare la
margherita). Sempre fortunata, Bella è anche capace di dominare da
subito la sua sete di sangue. A tal proposito, per un attimo sembra
perfino che il film riesca a renderla inquietante – ma sarebbe
troppa grazia. Quasi mai nella saga di “Twilight” questi vampiri
fanno un minimo di paura. E ciò esprime il grande “Vorrei ma non
posso” della serie - sempre indecisa fra un tenue horror e un
romanticismo turgido ma di serie B. Inquietanti invece sono i
Volturi: perché recuperano tutto l'armamentario vampiresco
tradizionale, cappe nere comprese; perché fra tanto miele i cattivi spiccano per contrasto; e perché il casting
regala a loro gli attori migliori, come Dakota Fanning, Christopher
Heyerdahl e soprattutto il delizioso Michael Sheen, che se la gode un
mondo con un overacting
sfrenato.
Anche
se la sceneggiatura in un paio di punti è piuttosto impacciata (si
sospetta che ciò sia dovuto alla presenza opprimente di Stephenie
Meyer come produttrice), comunque evita le ridicolaggini
dell'episodio precedente e procede con passabile sicurezza verso il
climax della battaglia finale sul ghiaccio. Che è molto bella. Bill
Condon qui ritrova tutta la sua verve di regista e mette in scena una
semi-conclusione formidabile. Ottima quella notte di attesa
discorrendo di antiche battaglie. Ottima, molto ben giocata sul piano
visuale, l'apparizione dei Volturi dall'altro lato del campo. Qui c'è
vera tensione e il romanticismo tocca una nota più autentica.
Dopo
un grande passaggio di recitazione “eccessiva” di Michael Sheen,
segue uno scontro molto vivace e crudele: dovizia di teste strappate,
un ritmo eccellente e una esaltazione visuale cui non si potrebbe
chiedere di più. Mentre guardi ammirato ti dici: ecco che finalmente
la saga è sbocciata in una pagina degna di restare nell'antologia
ideale del cinema di vampiri. Splendidi certi dettagli come Marcus
(Heyerdahl) che accoglie la morte sospirando “Finalmente!”, o
l'annientamento di Aro (Sheen), la cui testa mozza vede in
soggettiva avvicinarsi la fiamma distruttrice. Il tutto nel quadro di
quello shock inconfessato che sempre si prova quando si vede morire
un personaggio fisso di una saga, e che qui è moltiplicato, visto
che ne muoiono a mucchi...
E
invece no. Perché (arriva lo spoilerone!) dopo la battaglia e la
morte di Aro vediamo che era tutto un sogno, un'illusione, la
visualizzazione di una profezia: Aro ha solo visto tramite le doti
profetiche di Alice Cullen come andrebbe a finire (e, non essendo
stupido, decide di andarsene). “Che cazzata”, ho sentito
protestare a voce alta una spettatrice in sala - e aveva
perfettamente ragione.
Perché
al cinema una ridefinizione del già visto come ipotetico e virtuale,
un “Non è successo”, appare un'intollerabile violazione (e
questa è una prova in più che il tempo del cinema non è il
presente, come sembra, ma il perfetto narrativo). Può essere
concepibile una ridefinizione come ipotesi dell'intero apparato del
racconto (Lang, “La donna del ritratto”), ma non del solo
capitolo culminante.
Dopo
questo gigantesco, sesquipedale, derisorio anticlimax, cosa volete?
Delusi e spompati, lasciamo i vampiri vampirically correct
della saga al loro destino e non parliamone più. Tanto, quando in
precedenza nel film avevamo visto la cameretta preparata per la
mirabolante figlia di Bella, notando che manca la cuccia per il lupo
mannaro/custode/quasi fidanzato, avevamo capito qual è il loro
futuro: senza ombra di umorismo, ma è la famiglia Addams.
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