Woody Allen
Ahimè, stavolta hanno ragione. Accade spesso che la critica sia più severa con un film di quanto dovrebbe; anche quando è un film di tipo, per così dire, “turistico” e alimentare, come quelli che Woody Allen va girando per le varie capitali europee con un occhio ai finanziamenti locali. Un occhio? tutti e due! tutti gli occhi di Argo! Eppure ciò non gli ha impedito di fare film buoni (“Incontrerai un uomo alto e bruno”, “Midnight in Paris”) o anche ottimi (il sottovalutatissimo “Vicky Cristina Barcelona”). Ma ecco che approdando a Roma con “To Rome with Love” Allen realizza un tonfo - il film più brutto della sua carriera (no: emendamento per noi alleniani furiosi: l'unico film irrimediabilmente brutto della sua carriera).
Il problema non sono i luoghi comuni. Tutti i film “europei” di Allen ne sono - legittimamente - pieni; basta guardare per esempio la bella bouquiniste di “Midnight in Paris”. E' che quelli di “Rome” sono luoghi comuni vacui e defunti. A questo punto sarà bene partire da una constatazione generale: se vogliamo trovare un indicatore della nostra decadenza, basta vedere che un film fatto per celebrare Roma e intitolato “A Roma con amore” è uscito in Italia col titolo inglese “To Rome with Love”: è la conferma che l'Italia è un paese morto. Ora, esiste uno strano paradosso: in un paese vivo e vivace anche i luoghi comuni turistici, queste falsificazioni autocelebrative, risultano amabili nella loro falsità; nel caso opposto, suonano come trite patacche, perché sono falsificazioni di una realtà che di per sé è falsa, sciolta, putrefatta (potremmo chiamarli falsificazione di secondo grado).
Ma nel presente film la loro piattezza vale anche sul piano soggettivo. Allen conosce l'Italia, non è piovuto ieri dallo Iowa; se “To Rome with Love” si apre con quel terribile pizzardone romano (da non credere ai nostri occhi e alle nostre orecchie!) e continua su questa falsariga da sceneggiato Rai di second'ordine, vuol dire che sul problema generale s'innesta una sordità artistica, o per gentilezza diciamo un drammatico calo d'ispirazione, dell'autore. Allen inserisce un'evidente excusatio quando il giovanotto dice all'architetto famoso che ora fa centri commerciali (Alec Baldwin) “Ti sei venduto” e quello risponde con placidità “Come disse una volta un saggio, le cose succedono”. Tuttavia, vendere se stessi può ancora essere onesto, a patto che il prodotto sia buono (non per nulla la escort interpretata da Penelope Cruz è il personaggio più simpatico del film). Diventa disonorevole quando, come qui, il concetto è - per usare il titolo di un Allen d'annata - “Prendi i soldi e scappa”. In realtà Allen ne è tanto consapevole che nasconde alla fine un'altra excusatio non petita dandosi addirittura del minus habens - ma non ci inganna.
Il film, che in origine doveva chiamarsi “Bop Decameron”, ha una struttura a episodi interlineati. Generalmente mal recitato da italiani gesticolanti (il migliore è Alessandro Tiberi) e da americani spiazzati, montato in modo addirittura dilettantesco, è una silloge di storie fiacche, spompate, faticose. Malamente copiata da “Lo sceicco bianco” è quella di Antonio e Milly: lei si perde per Roma e quasi finisce a letto con l'attore Antonio Albanese (vedendo la sequenza uno si chiede: dov'è finito l'autore de “La rosa purpurea del Cairo”?); lui è costretto a far passare la bellissima ma evidente escort Penelope Cruz per sua moglie davanti ai parenti bacchettoni. Altra storia: un giovane si innamora di una seduttrice (Ellen Page, brava) nonostante i consigli del grillo parlante semi-fantasmatico Alec Baldwin; la presenza di quest'ultimo che vede e commenta tutto, a metà fra concreto e astratto, è la cosa più interessante del film - ma è vecchio Allen riciclato. Roberto Benigni è un signor nessuno che si ritrova famoso per un giorno, in un episodio un po' stiracchiato ma almeno sensato. Woody Allen in persona appare nell'episodio in cui cerca di lanciare nella carriera artistica un becchino che canta benissimo, ma solo sotto la doccia. Questa è una barzelletta tristemente prolungata, anche se qui Allen si riserva un paio di battute passabili; finisce di rovinarla l'insopportabile Flavio Parenti nei panni di un giovanotto di sinistra che sarebbe caricaturale se qui ci fosse ombra di umorismo o caricatura.
Così in questo film la cosa migliore da fare è guardare la bellezza femminile che viene castamente ma costantemente esibita. Guardare le comparse in hot pants che Allen fa sfilare nella folla di turisti. Guardare la bella segretaria pronta a concedersi a Benigni divenuto famoso, e la modella di intimo supersexy che gli strizza l'occhio durante la sfilata di moda. Soprattutto, guardare Penelope Cruz. L'inquadratura in cui si rimette le mutandine dopo aver fatto sesso con Tiberi nel giardino è l'unica immagine da ricordare di questo disastro cinematografico.
Morale. C'è un film del 1994 che Allen probabilmente ha visto, ma di sicuro ha dimenticato, e dovrebbe proprio rivedere. Si tratta di “Pallottole su Broadway”, di Woody Allen: un film che è una superba riflessione sulla moralità dell'arte e sul rapporto fra autenticità artistica e autenticità umana.
sabato 5 maggio 2012
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