Ann Hui è la meno visibile fra i registi della New Wave hongkonghese, che rinnovò il cinema dell'allora colonia negli anni '70/'80. Se dico meno visibile non significa appartata - anzi, è molto attiva e prolifica - ma è perché Ann Hui a differenza degli altri nasconde lo stile nella narrazione anziché sovrapporcelo. Regista intima ed elegante, preferisce rinchiudere la sua eleganza nelle pieghe della storia che racconta.
Anche lo splendido A Simple Life, che esce adesso distribuito dalla valorosa Tucker Film di Udine/Pordenone, ha un'eleganza raffinata che però non “si grida” com'è usanza del cinema contemporaneo. Basta guardare certi delicati framing dell'immagine (o la grazia dei raccordi di montaggio) per cogliere il segno della maestria - ma una maestria pudica e segreta. Per la fulminante forza emotiva che nasconde nell'immediatezza del quotidiano, potremmo applicare al cinema di Ann Hui l'ossimoro di una quieta esplosione.
I temi ritornanti nella sua filmografia - i rapporti parentali, i piccoli lavori d'ogni giorno, il ruolo della memoria, la ricerca di un rifugio materiale o ideale - sono tutti presenti in questa storia semplice di una vita semplice. Ah Tao (Deanie Ip, giustamente premiata alla Mostra di Venezia con la Coppa Volpi per la miglior attrice) ha passato sessant'anni al servizio della famiglia Leung, entratavi da ragazzina, e vi è diventata il punto fermo, una confidente, una specie di vice-madre. Ora la famiglia è emigrata in America e a Hong Kong è rimasto solo il malinconico Roger Leung, produttore cinematografico (un bravissimo Andy Lau), di cui in passato Ah Tao si è presa cura dopo un infarto. Ora Ah Tao ha un ictus e deve ritirarsi in una casa di riposo. Roger le mostra la riconoscenza e l'affetto che si è meritata, aiutandola, visitandola, seguendola da vicino in un rapporto (come dice a tutti) di figlioccio e madrina.
Sulla scorta di una sceneggiatura di Susan Chan e Lee Yan-lam, dalla storia vera di quest'ultimo, Ann Hui intesse la descrizione del carattere di Ah Tao (la sua ritrosia ad accettare regali, le sue piccole ruvidezze: critica tutti i piatti che non ha cucinato lei) e del suo rapporto con Roger entro il quadro, disegnato a piccoli tocchi precisi, degli altri ospiti e della loro vita nella casa di riposo. Qui la regista mescola autentici pensionati ad attori professionisti (svolgendosi tra l'ambiente del cinema e quello dell'ospizio, il film è pieno di partecipazioni straordinarie di giganti del cinema hongkonghese, da Tsui Hark a Sammo Hung, da Anthony Wong a Chapman To). Il suo cinema ha sempre una vena documentaristica, con uno sguardo sulla realtà che la rende vera, quasi colta per strada.
Ogni film incrocia una drammaturgia e uno sguardo. Ann Hui non ha bisogno di elementi drammatici esterni per commuoverci; anzi, i momenti di svolta drammatica nel film (i due ictus di Ah Tao e la sua morte in ospedale) avvengono in ellissi. In una parola, Ann Hui rifugge dal romanzesco. A Simple Life è un quieto fluire della vita quotidiana, un'attenzione alla dimensione immediata - ove il dramma non è legato a un qualsiasi coup de théâtre ma al dolore che fa parte della trama stessa dell'esistenza: la vecchiaia, la malattia, i figli che si dimenticano dei genitori, la solitudine (la più vecchia ospite della casa di riposo non l'ha mai visitata nessuno).
Argomenti trattati con estremo pudore. Per mostrare come la vecchia signora trascurata dal figlio maggiore guarda con rimpianto alla più fortunata Ah Tao, alla regista basta un tocco di montaggio: un primo piano della signora e poi uno stacco ad Ah Tao e al “figlioccio” che camminano insieme.
L'affetto nasce nel tempo, si nutre del ricordo. Ah Tao, che ha visto passare quattro generazioni di Cheung, commemora questa lunga vita di amorevole fedeltà in piccoli brandelli di conversazione che suonano nitidamente autentici - ad esempio quando, chiacchierando con la madre di Roger tornata dall'America, rievoca il loro primo frigorifero e la grossa anguria che ci misero dentro. E' la sua delicatezza di tocco che consente ad Ann Hui di girare una storia di affetto e di bontà senza mai rischiare di cadere nel buonismo, come già nel suo recente capolavoro The Way We Are, visto al Far East Film Festival di Udine 2009. Perché il buonismo è per natura declamatorio e programmatico, mentre qui nulla è programmatico, tutto è vero. C'è uno sguardo di comprensione verso tutti: la ragazza che deve fare la dialisi all'ospizio perché costa meno, il vecchio puttaniere Zio Kim (al quale la regista riserva addirittura l'ultima immagine del film, al rito funebre, prima di una dissolvenza che introduce i titoli di testa su una commovente scena del passato), la capo infermiera - che è solo una giovane gentile finché un brandello di conversazione e un bel primissimo piano la portano per un attimo al centro del film, facendo intravedere di scorcio un suo dolore segreto. Tutti una loro realtà da rispettare e un dolore... Perfino i gatti del mercato hanno una vita privata (“La moglie lo ha piantato”).
Questa è la storia di una donna anziana che si avvia verso la morte, e delle persone che la amano, in una narrazione centrata sul qui ed ora della concretezza vitale. Certi primi piani di Ah Tao sono allo stesso tempo chiarissimi e indecifrabili: chiarissimi perché il film convoglia una carica di comprensione tale che ci pare di averla conosciuta dal vero; indecifrabili perché mantengono una vibrazione segreta che è quella che tutti ci portiamo dentro, l'irriducibilità della vita più intima alla macchina da presa - e il film di Ann Hui riesce anche a farci sentire, cosa rara al cinema, la viva presenza di questa irriducibilità.
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