Terrence Malick
Il capolavoro di Terrence Malick “The Tree of Life” si apre con una citazione del Libro di Giobbe, cioè della più alta (e irrisposta) domanda che sia stata prodotta dalla cultura occidentale. E appunto la forma della domanda è quella in cui si esprime il film. Il Libro di Giobbe lo modella: sul piano alto nelle voci della madre (Jessica Chastain) e in modo più oscuro di Jack (Sean Penn), ma anche - parodisticamente - in una misura più mediocre, a dimensione del personaggio, nella lamentazione del padre (Brad Pitt) dopo aver perso il lavoro. In Malick il parlato ha sempre un tono elevato, oratorio, “shakespeariano”, che enuncia con ricchezza retorica l'interiorità; ma in “The Tree of Life” esso prende la forma della preghiera e dell'invocazione. Il sermone in chiesa, a un certo punto, ci mette esplicitamente di fronte alla triste verità che già Giobbe ha dovuto imparare: essere giusti non serve ad assicurarci contro il male e la sventura. Dio - sentiamo nel film - “sparge sale sulle ferite che dovrebbe curare”. Risuona sempre nei millenni la stessa domanda: “Signore, perché? Dov'eri?”, “Chi siamo noi per te?”
La risposta a questa domanda è (come caratteristico in Malick) ambigua, potente, trascendente: è la visione assoluta che irrompe come un vento irrefrenabile nella narrazione. Si intrecciano, nel film, le linee di un doppio livello dell'immagine, che c'è sempre in Malick ma qui è infinitamente allargato. Il primo livello è il realismo della storia, di altissima concentrazione emotiva, della nascita, della fanciullezza e dell'adolescenza (raramente un film è riuscito a portarci così dentro nel mondo del fanciullo): la crescita, l'odio per il padre, l'aggressività cieca, la scoperta della sessualità, la scoperta della morte. Il secondo livello è la visione totalizzante e infinita, che rappresenta e amplifica tanto il turbamento del sentimento quanto la risposta ad esso. Visione assoluta, dico, perché sempre nel suo cinema Malick conferisce all'immagine della natura, in dialettica con il narrato umano, una freschezza incondizionata e miracolosa: per cui queste immagini diventano totalmente inedite, una visione da “primo mattino del mondo”. In pochi altri maestri del cinema troviamo qualcosa di simile: Murnau, Dovženko, Dreyer, Godard.
Nel suo sviluppo estremo che vediamo in “The Tree of Life”, questo sguardo totale copre la realtà quotidiana e non, gli umili steli di un campo e i pianeti, i microbi e i vulcani, l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, la totalità del tempo dal “qui ed ora” di un paesaggio all'evocazione dei dinosauri. Troviamo nei credits finali la menzione di natural realm, astrophysical realm, microbian realm, ma ad essi Malick ha l'audacia di aggiungere tutte le risorse del trucco. Questo svincolarsi dell'immagine dal campo mimetico rare volte metaforizza la narrazione (un esempio eccezionale: la resa visiva del parto con il figlio, già ragazzino, che esce nuotando verso un'apertura in alto dalla casa allagata); più spesso la “apre” e la soverchia, vi entra come la voce possente dell'universo. O di Dio (la citazione iniziale riporta le terribili parole di Dio a Giobbe, “Dov'eri tu...” - perché le forme della materia, che vediamo dispiegarsi nell'immagine, sono le forme della creazione). Due vie e due forze si contrappongono in “The Tree of Life”, la Natura e la Grazia; potremmo dire, per mantenere l'antinomia malickiana, che nel film il realismo narrativo concretizza sullo schermo la Natura, la visione assoluta concretizza la Grazia.
Tutte le opposizioni che attraversano il film - Natura/Grazia, padre/madre, cattivo/buono, egoismo/donazione, logica/amore, contingente/infinito - vanno risolte; allo stesso modo in Jack va risolta, pacificata, la ferita della perdita del fratello, elemento unificatore simbolico della perdita del tutto (l'infanzia, gli affetti, la famiglia): “Cercami”. E tutto questo viene risolto nell'imponente visione finale, in cui, fuori dallo spazio e dal tempo, Jack ritrova il se stesso dell'infanzia, il fratello perduto, la madre, il padre, che pure - allora - odiava: ed è la grande conciliazione del tempo, che lima i nostri furiosi dolori. La Grazia irrompe come vento, o come la mutevole grandezza di un immenso stormo di uccelli in volo fra i grattacieli. Valgono tanto più per questo film le parole che concludevano “La sottile linea rossa”: “Tutto risplende”.
Sotto questo aspetto “The Tree of Life”, coerentemente con la sua aspirazione alla totalità, si differenzia dai film precedenti di Malick, e li assomma, perché pone in modo esplicito e quasi trionfale la sua risposta affermativa, in precedenza implicita, o si potrebbe dire sperata. Come già altri hanno osservato, stante l'evidenza dell'immagine visionaria e il suo modo di intersecare la narrazione, possiamo considerare “The Tree of Life” un “2001: Odissea nello spazio” per il terzo millennio.
martedì 31 maggio 2011
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1 commento:
Malick ha sfidato Dio. Come Kubrick aveva fatto nel '68. Diciamo che, se lì era stato un buon pareggio, qui si può parlare di una sconfitta più che onorevole. Resta il fatto che ha avuto il coraggio di sfidarlo.
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