domenica 21 febbraio 2010

Lourdes

Jessica Hausner

“Lourdes” di Jessica Hausner si apre sulla sala da pranzo vuota di un albergo in un'inquadratura angolata dall'alto. Entrano i pellegrini (il primo è un nano deforme in carrozzella). La macchina da presa si avvicina calando dal suo punto di osservazione. Quel punto di vista dall'alto è il punto di vista privilegiato per descrivere e allo stesso tempo per marcare una distanza (perché questo è nel cinema il punto di vista dall'alto: la distanza). E in tutto il film la regista austriaca mantiene un occhio freddo come quello che guarda dall'alto in apertura.
Christine (folgorante l'interpretazione di Sylvie Testud, ultra-espressiva attraverso un calibratissimo gioco di nuances) soffre di sclerosi multipla ed è in sedia a rotelle, totalizzante paralizzata. Terribile la descrizione matter of fact della materialità dei gesti per accudirla: quando viene messa a letto dalle accompagnatrici, quell'“un due tre” per sollevarla l'abbiamo già visto tante volte al cinema - ma per i feriti da spostare dalla barella; mentre qui è l'orrore quotidiano della paralisi. E' il dolore della vita, l'assolutezza del dolore umano, che Jessica Hausner radiografa in tutte le sue manifestazioni in queste masse e nel loro incrocio di speranza e disperazione (la donna che piange dopo la benedizione). Di fronte a questo dolore eterno, vale la domanda che lo scettico comandante degli ospitalieri (interessante lo scetticismo di chi per regola accompagna i pellegrini a Lourdes) rivolge al prete: “Dio è buono o è onnipotente?”
Il film lancia su Lourdes uno sguardo documentaristico (anche i suoi momenti scenografici, come la processione, o Lourdes di notte con i fedeli provvisti di lumini, non si devono a una scelta registica ma perché Lourdes è scenografica, è costruita per essere tale: una sacra rappresentazione in pietra). C'è una raffinata, non aggressiva, ironia: bellissima l'inquadratura che presenta a sinistra la vetrina dei souvenir e a destra la statua della Madonna con aureola al neon (da quale lato bisognerà pregare?). Ma evidentemente non è un documentario; mette in scena un racconto d'invenzione, costruisce per via drammaturgica uno sviluppo. Eppure l'impressione di registrazione del reale permane fortissima, e non è solo riconducibile allo sfondo della vicenda - bensì all'implicito nascosto negli sguardi, che raramente trova nel cinema una simile punta estrema di verità. Potremmo dire: “Lourdes” è un documentario dell'anima.
Non è difficile indovinare che Christine partecipa ai pellegrinaggi perché è il suo solo modo di viaggiare (“A dire il vero preferisco i viaggio culturali”; “Diciamo che Roma è più culturale”). Attorno a lei si muovono gli accompagnatori volontari (le ragazze più giovani inevitabilmente debordano in uno spirito di vacanza), le figure istituzionali della fede (il sacerdote e la suora capo), i compagni di pellegrinaggio, che portano a Lourdes la loro speranza nascosta. Perché il prete e la suora ripetono un po' a macchinetta che a Lourdes si viene per guarire l'anima e non il corpo. Ma la verità è che tutti vengono segretamente con un desiderio: la guarigione del corpo. E infatti, qual è la cosa più straziante di tutte? E' lo sguardo degli altri pellegrini a Christine quando lei, non loro, viene miracolata.
Dunque lei si alza e vacillando cammina. Mescolato al rito delle felicitazioni e degli applausi (la breve scena muta dei camerieri sembra Jacques Tati), il film registra lo sguardo “altro” di chi è rimasto in carrozzella: un'invidia, non nel senso rancoroso, ma un'invidia, che contiene il doppio dolore di essere inconfessabile: uno sguardo ferito. Su tutti si riflette lo shock del miracolo, vale a dire lo shock della scelta di Dio: non io (perché non io?) ma un'altra; e magari, come dicono le due pettegole, “non ha l'aria di una credente, la nostra miracolata”. Anche la signora Hartl, che si era trovata uno scopo nel servire Christine un po' trascurata dalla giovane accompagnatrice, resta come spiazzata dalla sua nuova autonomia. Mentre per Christine la guarigione è dare libero sfogo al desiderio di vivere (il bacio all'ospitaliere, ripreso in uno strano campo lungo che suggerisce una soggettiva della signora Hartl che l'ha seguita).
E' fondamentale un'inquadratura di Christine in preghiera dopo il miracolo. E' ripresa fra massicce colonne che, disposte su piani diversi, chiudono pesantemente l'inquadratura a destra e a sinistra, ritagliando per lei solo un piccolo spazio di schermo. Non ci sono qui le luci che cadono dall'alto di Frank Borzage, non c'è neppure la tempesta della fede di Dreyer, o la sacra ostinazione del curato di Bresson sotto i suoi cieli possenti, o le epifanie di Lars Von Trier. Lei è imprigionata in questo spiraglio di spazio come un insetto nell'ambra.
Già prima Jessica Hausner ci ha preparati introducendo due volte il tema della delusione: una volta con una narrazione diegetica, poi con l'episodio della ragazza che sembra guarire e poi ritorna catatonica - come se il miracolo fosse una crudele staffetta. Nella davvero nera sequenza conclusiva, Christine (ed è già un dettaglio buñueliano, o alla Ferreri del primo periodo, il migliore) vince il premio per il miglior pellegrino dell'anno: il suo Oscar è una statuina della Madonna. Mentre balla con l'ospitaliere sulle note di “Felicità” (sguardo triste della signora Hartl alla statuina abbandonata sul tavolo!), cade giù. Sul piano diegetico, non è affatto detto che la caduta di Christine significhi il ritorno del suo male. Ma è la certezza del miracolo, e la sua promessa di felicità, che si è rotta. E infatti - in un finale altissimo, tragico e grottesco, assolutamente degno di Buñuel - si affretta a tornare alla sua sedia a rotelle, assistita da una signora Hartl che ha ritrovato il suo ruolo e con esso inconsciamente la sicurezza.
“Lourdes” non è certo un film sul miracolo, ma neppure - ecco il motivo per cui non si può considerare un film cristiano, o religioso - sulla fede nel miracolo (quella che forse dà un senso anche ai souvenir). E' un film sul desiderio del miracolo. Non stupisce che i commenti delle due pettegole nel finale arrivino alla soglia dello gnosticismo! In generale, “Lourdes” manca di pietas, e in questo è probabilmente da vedere un limite. Ma resta un agghiacciante capolavoro.

Nessun commento: