sabato 29 agosto 2009

Flash of Genius

Marc Abraham

La fotografia del “nostro” Dante Spinotti, friulano trapiantato a Hollywood, è il motivo principale per vedere il mediocre “Flash of Genius”, l’incontro di un produttore all’esordio come regista, Marc Abraham, con uno sceneggiatore al suo terzo lavoro, Philip Railsback. Se il regista è poco ispirato, è comunque colpa della cattiva sceneggiatura se il film appare fiacco e narrativamente macchinoso, incapace di costruire e poi rilasciare la tensione drammatica.
Sorretto da un’eccellente interpretazione di Greg Kinnear (che concentra nel volto tormento, stanchezza e determinazione assoluta, gli occhi neri e lucidi come bottoni), “Flash of Genius” è la storia - autentica - di Robert Kearns, l’inventore del tergicristallo a intermittenza. Brevetta la sua invenzione e la propone alla Ford; questa lo illude giusto il tempo di copiargli il brevetto, e poi lo taglia fuori. Ma ha scelto l’uomo sbagliato da fregare: a costo di rovinare tutta la sua vita, Kearns perseguita la Ford per dodici anni, superando ostacolo su ostacolo riesce a portarla in tribunale e alla fine ottiene la condanna della compagnia e un risarcimento milionario.
Si riconosce subito il modello di racconto alla base del film: Davide e Golia, il piccolo uomo contro il sistema prepotente e anonimo delle grandi corporation: un ruolo - nel cinema classico - per James Stewart o Gary Cooper. Più James Stewart, però, perché rispetto a Cooper possedeva qualcosa in più che ce lo fa idealmente ritrovare in Kearn: la capacità di rendere l’ossessione.
Perché è indubbiamente ossessivo questo personaggio tragico e ammirevole da “fiat justitia, pereat mundus”, capace di rifiutare 30 milioni di dollari di risarcimento extragiudiziale perché in tal modo la Ford eviterebbe l’ammissione di averlo truffato; che per la sua guerra giudiziaria sacrifica la vita familiare, si separa dalla moglie e dai sei figli, ma non deflette. All’inizio del film, Kearns rischia di ammazzare l’intera famiglia spegnendo a intermittenza i tergicristalli in mezzo al traffico sotto una pioggia violenta perché si sta chiedendo come potrebbero essere migliorati. Il film non è capace di lavorarci sopra, ma in questo episodio c’è la chiave del personaggio e dell’intero racconto. Sta qui il dramma psicologico sotteso alla sua ostinazione, dramma che in “Flash of Genius” è enunciato a parole ma non riesce a fiammeggiare sullo schermo. Ciò anche a causa del carattere irrimediabilmente stereotipato di tutti i personaggi secondari, a partire da moglie e figli per arrivare all’inviato della Ford che offre il compromesso extragiudiziale, e sembra uno di quei killer dei film di mafia che vogliono violentare la donna prima di ammazzarla. Il film è inoltre danneggiato dalla narrazione a singhiozzo che va in overdose di didascalie come “tre mesi dopo”, “quattro anni dopo” (chi scrive ne ha contate sei). Come Dio vuole, si arriva al processo; e a questo punto il film migliora decisamente trasformandosi in un “courtroom drama”, diviene agile, sciolto, a tratti perfino incisivo.
Il film deve molto alla magnifica fotografia di Dante Spinotti, che nei dialoghi serrati scolpisce i primissimi piani come statue rinascimentali. In un film in cui la pioggia gioca un ruolo così importante, l’immagine di Spinotti è nitida, pulita, “lavata”, negli spazi aperti (la gita in campagna verso l’inizio, o lo sguardo al canale industriale nella luce del mattino), oppure drammatica nel rendere il tempestare della pioggia torrenziale - come in una delle poche scene altamente emotive del film, quando nel diluvio il protagonista vede apparire le grandi Ford di nuovo modello e si accorge che montano i “suoi” tergicristalli. Tuttavia in ultima analisi "Flash of Genius" fa rimpiangere non solo il Francis Ford Coppola di "Tucker" e "The Rainmaker", che sono i riferimenti più prossimi, ma anche i vecchi film di Jimmy Stewart contro il mondo che sono il suo modello lontano.

(Il Nuovo FVG)

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