Se guardiamo alle schede filmografiche, il grande film friulano “Gli ultimi” è diretto da Vito Pandolfi e scritto da Padre David Maria Turoldo; ma è evidente che nel film l’impronta di Turoldo è assai più forte e decisiva di quella usuale - pur già così importante - d’uno sceneggiatore, al punto da assurgere a un livello di co-autorialità. Ebbene, quando pochi anni or sono è apparso il restauro de “Gli ultimi”, abbiamo potuto vedere in appendice alcune inquadrature tagliate che non è esagerato definire folgoranti, in un paio di casi fra le cose migliori del film. E’ dunque una perdita, un impoverimento, che esse siano state espunte dalla versione definitiva. Qui - non è errato concludere - il marxista e razionalista Pandolfi ha prevalso a torto su Turoldo e sulla sua particolarissima sensibilità artistica: poiché le parti tagliate illustravano meglio quell’elemento irrazionale e quasi onirico, pertinente a un Friuli notturno e fantastico, ch’è sotteso a “Gli ultimi”, e che ci appare oggi come il suo aspetto forse più rilevante.
Lo incarna la figura dello spaventapasseri, vero Leitmotiv ossessivo del film, ben al di là del suo essere metafora della miseria del piccolo protagonista Checo, che proprio con lo spaventapasseri viene oscuramente identificato; appunto nella più bella e importante delle scene tagliate, vediamo Checo a fianco dello spaventapasseri, e una panoramica verso il basso sposta l’inquadratura su un velo d’acqua in cui insieme si rispecchiano: il bambino e il suo doppio.
Indicativamente, proprio da quest’elemento fantastico, da questo sottotesto onirico del film è affascinato Gianluigi Toccafondo nel suo intervento su “Gli ultimi” - recente frutto artistico di un lavoro che si distribuisce equamente sul versante grafico e sul quello della video art. Toccafondo lavora modificando, distorcendo, ridefinendo l’immagine cinematografica fotografata da un monitor. Ecco che qui, ne “Gli ultimi”, la grana video assume una strana, distaccata lontananza - poiché si oppone nella nostra memoria a quel calore vitale, che come una furia trattenuta e nitida informava le immagini del film.
L’artista coglie immediatamente il ruolo centrale dello spaventapasseri come figura totemica del film, e l’amplifica. Così nelle visioni di Toccafondo lo spaventapasseri campeggia in cima ad alberi spogli, ne prolunga la forma scheletrita, quasi germinandone!, sopra il malinconico paesaggio friulano.
Altrove, Toccafondo lo pone sotto il segno della pesantezza. In genere nella visione dinamica di Toccafondo le figure sono soggette a una forza centrifuga, si allungano lateralmente e verso l’alto, le propaggini del corpo schizzano verso il bordo del disegno. In un paio d’immagini dello spaventapasseri le sue braccia si appesantiscono, generano un oscuro viluppo di linee nere che si gonfia quasi oscenamente verso il terreno: figura tellurica, ctonia.
Ombre e fantasmi. Lo spazio intorno al letto di Checo si contorrce, nel disegni di Toccafondo, la tinta si ritrae per creare col nero dell’immagine sottostante una popolazione di ombre. Allo stesso modo, nere ombre fantastiche popolano come spettatori l’inquadratura/disegno di Checo “impiccato” da bambini crudeli (e sospettiamo qui anche una reminiscenza da “Pinocchio”, gran libro nero della nostra letteratura infantile).
C’è la trascrizione fantasmagorica della malvagità: quei bambini del film diventano grottesche maschere maligne; ma l’opera di Toccafondo è tutta, in partenza, per sua natura, una proiezione fantasmatica tesa a evocare graficamente l’inconscio. Quell’elemento fantastico che vediamo nei disegni di Toccafondo già attraversava in filigrana “Gli ultimi”. Possiamo quindi dire che il lavoro di Toccafondo sul film non vi sovrappone un’interpretazione esteriore ma ne coglie e ne evidenzia in modo affascinante l’interna realtà.
postfazione a "Lo spaventapasseri. Gli ultimi di Toccafondo", CEC, Udine 2005
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