Abel Ferrara
Stupefacente Abel Ferrara! Chi mai si poteva aspettare che dopo “Mary” - un’alta e solenne meditazione sul dolore e la responsabilità sulla scorta dei Vangeli gnostici - ci offrisse una commedia delirante e sfasciata come il bellissimo “Go Go Tales”? Beh, ad esempio poteva aspettarselo chi conosce “New Rose Hotel” (anche in relazione al voyeurismo erotico di Ferrara); ma in generale, la sensibilità piuttosto pigra del pubblico d’oggi si è ritratta dal film come una vecchia signora che durante la passeggiata pesti una cacca di cane - basta leggere i commenti su Internet (e molta sub-critica si è preoccupata solo della slinguazzata di Asia Argento al suo rottweiler sul palco - che poi ci sta benissimo nel contesto del film e nella definizione del personaggio).
“Go Go Tales - Storie da night club” recupera in termini di screwball comedy l’interrogazione di tutto il cinema di Ferrara sul senso del caso (ambigua volontà di Dio) - e comicamente lo trasforma nel biglietto vincente del lotto. Se Ferrara mette sempre in scena il dramma della caduta (non come punto singolo della storia ma come eternità in atto), “Go Go Tales” lo sottopone alla classica deformazione parodistica: la riduzione basso-mimetica alla più quotidiana immediatezza vitale. Come “Vedrai, s’al cantar mio porgi l’orecchia, / Elena trasformarsi in una secchia” (Tassoni), così vediamo il Paradise (Lost?), misero nightclub d’infima tacca, rischiar di chiudere per mancanza di soldi, di fiducia, di buona amministrazione.
Il manager Ray (Willem Dafoe) con la sua impacciata coorte di sodali cerca disperatamente di tappare le falle ma il disastro è alle porte. Il futuro sono i cinesi, dicono; ma il pullman di cinesi - affamati di granchio più che di lap dance - si lascia dirottare dalle promesse gastronomiche di un procacciatore in costume da crostaceo. I creditori incalzano, le spogliarelliste non pagate minacciano lo sciopero. L’unica speranza è nel gioco del lotto - fa meraviglia che si perdano il biglietto vincente?
Il film è un’interminabile notte di chiacchiere, isterismo, bevute, splendidi sederi femminili, episodi tragicomici e personaggi pazzeschi (il culmine è Matthew Modine con frangetta bionda, volpino in braccio e pianoforte giocattolo). La narrazione franta e interlineata sembra un Altman sotto acido, con il frazionamento allucinato (e così ferrariano: “Blackout”, “New Rose Hotel”) dell’esperienza sensoriale. Tutta la vita del Paradise è ossessivamente duplicata dai monitor di cui si circonda Ray, che riportano nel film l’interesse di Ferrara per la riproduzione - perché in Ferrara il film è sempre anche il film del film - e il suo gusto per la contaminazione della pellicola con il video. Ferrara scaraventa come all'impronta i volti di Burt Young, Romina Power, Anita Pallemberg: c’è nel casting qualcosa di molto wellesiano.
In Ferrara il dramma dell’uomo è di sentire di non poter essere diverso da quello che è: poiché è questa la sfida - così spesso persa - dei personaggi di Ferrara, di qui passa la salvezza. Ma “Go Go Tales” può permettersi di declinare questa inalterabilità in termini di commedia. I suoi personaggi si muovono nel breve cerchio dell’immutabile, della coazione a ripetere (alla fine, dopo la vittoria al lotto l’unica scelta che vien loro in mente è continuare a giocare). Anche per questo lo spazio-tempo chiuso e claustrofobico ricorrente nel cinema di Ferrara è, in questo film, più chiuso che mai. Aleggia un’atmosfera notturna e pesante. Il Paradise è un universo chiuso e autoreferenziale (tanto che possiede una moneta sua propria), a cui tutto ritorna. Quando Ray va a giocare al lotto, la sua uscita è pervasa di un’aura di inquietudine come in un film di zombi. I tentativi di fuga da questo universo bloccato sono conati alquanto incerti: la ballerina incinta che chiede ferie pagate; il fratello e socio (Matthew Modine) che vuole tirarsi fuori; la sboccatissima Lilian (Sylvia Miles) che minaccia di chiudere il locale per l’affitto arretrato - tutto un parlare più che un fare. Perfino le spogliarelliste passano la serata strepitando, bitching no-stop, ma tornano ubbidienti allo spettacolo.
E improvvisi irrompono squarci elegiaco-sentimentali, dalla figuretta appena evocata dell’“unica gentile” alla canzone di Dafoe al microfono fino alla sublime pagina in cui Ray e lo staff cacciano via i clienti dicendo che si chiude e si dedicano, per un altro pubblico più dimesso di casalinghe e impiegati, a un commovente microspettacolo d’arte varia (la prestigiatrice, l’attore dilettante, la ballerina sulla punte…). “Go Go Tales” ricorda molto Cassavetes (“L’assassinio di un allibratore cinese”) - anche in questa strana e intensa umanità.
(Il Nuovo FVG)
sabato 5 luglio 2008
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