Che cosa è imperdibile – lo scrivo, si capisce, con inevitabile soggettività – nel Far East Film Festival 2008, che si apre venerdì 18 aprile al Teatro Nuovo, e che quest’anno festeggia il suo decimo anniversario? Beh, poiché ho usato la parola soggettività nel primo paragrafo, ne abuso, ed esprimo una personale preoccupazione. Che la curiosità per la biografia del grande regista coreano Shin Sang-ok, autore di oltre 70 film (il Far East gli dedica una retrospettiva storica con quattro film del 1958-59), ne offuschi la considerazione artistica. Perché nel 1978 questo regista-produttore di successo, ma in una fase calante della sua carriera, fu rapito a Hong Kong, insieme alla moglie e interprete preferita Choi Eun-hee, da agenti nordcoreani e trasportato nella Corea del Nord, dove Kim Jong-il (l’attuale dittatore ereditario del paese, figlio del dittatore pazzo di allora, Kim Il-sung) li tenne prigionieri per anni, usandoli per vivificare la cinematografia nordcoreana (i due riuscirono a fuggire durante un viaggio a Vienna). Sembra veramente un thriller coreano tipo “JSA”. Ma quel ch’è più importante è renderci conto della grandezza, troppo a lungo sottovalutata in patria e fuori, di Shin Sang-ok. Lo potremmo paragonare, anche come storia critica, al nostro Raffaello Matarazzo: un genio del cinema popolare guardato con sospetto perché autore di commoventi melodrammi femminili. Tali sono i quattro film presentati a Udine, anche se Shin ebbe una carriera più varia e articolata. Sono melodrammi affascinanti, dove rifulgono la capacità di messa in scena, la perizia narrativa (il gioco di campi e controcampi alla fine di “It’s Not Her Sin” è semplicissimo e stupendo), l’audacia tematica e anche l’interesse documentario, con l’uso di materiale girato per strada – non a caso Shin fu influenzato dal neorealismo. Un vero nome da scoprire.
Ma cosa bisogna vedere in particolare nella produzione asiatica contemporanea? Azzardo qualche titolo, senza avventurarmi ovviamente fra quei film che non ho ancora visto. E cominciamo col Giappone, per un ottimo motivo: attualmente il cinema giapponese è il migliore e il più interessante del Sud-est asiatico. Delizioso, divertente e drammatico al tempo stesso è lo splendidamente intitolato “Funuke, Show Some Love, You Losers!” di Yoshida Daihachi, storia di una famiglia disfunzionale, costellata di magnifiche interpretazioni. Lo stesso si può dire, appena una tacca sotto, del melodramma sportivo “Gachi Boy” di Koizumi Norihiro. Niente divertimento ma una dolorosa commovente intensità nello splendido “Your Friends” di Hiroki Ryuichi, mentre su toni sottilmente perversi alla Edogawa Rampo si situa l’ottimo “Peeping Tom” di Fukagawa Yoshihiro. Non dimentichiamo Miki Satoshi, cui il festival dedica un omaggio: fra le sue commedie raccomando in particolare l’ultra-delirante “Deathfix”. Inoltre noi tutti ammiratori del L di “Death Note” lo rivedremo con piacere nel godibile film d’apertura, “L change the WorLd” (non è un refuso), diretto dal grande Nakata Hideo che torna anche con “Kaidan”.
Da Hong Kong mi limito a segnalare il toccante “Mr Cinema” di Samson Chiu, impreziosito da una grande interpretazione di Anthony Wong, oltre che (ça va sans dire) “Sparrow” di Johnnie To. Dalla Corea il cupo, elegante thriller “Our Town” di Jung Kil-young e la bella commedia con un retrogusto drammatico “The Happy Life” di Lee Joon-ik. Della nutrita pattuglia thailandese, vorrei segnalare un magnifico horror “metacinematografico”, “The Screen at Kamchanod” di Songsak Mongkolthong, le cui atmosfere traducono in thailandese lo spirito di “Ring” ed una suggestione di Kurosawa Kiyoshi. Chiudo con una piccola scoperta del festival: il gustosissimo malaysiano Mamat Khalid, con le sue esilaranti commedie horror “Kala Malam Bulan Mangambang” (girato in b/n per parodiare i vecchi film noir) e “Zombi Kampung Pisang”, “Gli zombi del villaggio delle banane”. Quasi un Mel Brooks dal Far East.
(Il Nuovo FVG)
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