Mercoledì 23, al Far East Film di Udine, si rinnova una tradizione: era l’Horror Day, un appuntamento classico del festival, nato sotto il segno del Giappone (con la trilogia “Ring”) ma che sempre più esplora la vivacissima produzione della Thailandia. Avendo mancato un paio di film, menziono subito “Altar” (Filippine), di Rico Maria Ilarde, un “regular” del Far East Film (“Woman of Mud”, “Beneath the Cogon”). E’ un piccolo buon film sui temi della casa infestata e della possessione demoniaca; girato con un budget che definire minimo è ancora poco, risulta tuttavia efficace anche grazie a un ottimo lavoro dell’art director. Manca qui il “tarantinismo” incrociato con la tradizione del cinema horror filippino che si faceva notare nel precedente “Beneath the Cogon”, ma Ilarde dà al suo protagonista una carica di umanità che mancava a quello, più stereotipato, di quel film. Il fatto stesso di avere realizzato un film che funziona con questa limitatezza di mezzi dovrebbe bastare per guardare al regista filippino con interesse e rispetto.
“The Screen at Kamchanod” di Songsat Mongkolthong è una di quelle bellissime sorprese che spesso ci riserba l’horror thailandese (come, l’anno scorso, “The Unseeable” di Wisit Sasanatieng). Il cinema, si sa, è un’operazione magica: ci sono gli spettatori e c’è il film, un intero mondo baluginante sul telone - che poi d’un tratto svanisce. Si dice però che a Kamchanod in Thailandia sia successo esattamente il contrario: si stava proiettando un film in un campo presso una foresta - e sono svaniti gli spettatori.
Verità o leggenda metropolitana che sia, è da questo incidente che prende le mosse “The Screen”, in cui un ricercatore vuole scoprire l’accaduto e riprodurlo a fini scientifici. La prima cosa da fare è dunque di recuperare “quel” film… La storia ha ovvii punti di riferimento con “The Ring” - come vediamo chiaramente quando ci vengono offerte alcune inquadrature del film maledetto - ma c’è anche un’eco del cinema di Kurosawa Kiyoshi nel progressivo spopolamento della città attorno ai protagonisti. La narrazione è estremamente ellittica: il sottotesto fondamentale del rapporto crudele del protagonista con la sua compagna viene distillato, come informazione, a poco a poco, con un magnifico gioco di ambiguità. Ovviamente il fatto che il racconto s’incentri su un film porta “The Screen” nel campo dell’horror metacinematografico – e il film insiste molto (e assai giustamente) sul dispositivo di proiezione. Anche il “dénouement” ha una forte impronta metacinematografica - e certamente lontano dai semplici rapporti di causa-effetto, stile Hammer Films, cui ci ha abituato l’horror occidentale.
Deludente invece è “Black House”, del coreano Shin Terra. A una prima parte lenta e prevedibile segue una seconda che è la classica partita di “hide and seek” nella classica casa del serial killer, un bric-a-brac pieno di cadaveri - tutta roba già vista in diecimila slasher americani.
Però si resta in Corea con un ottimo film, il migliore della giornata assieme a “The Screen”, ed è l’attesa première “The Guard Post” di Kong Su-chang (il quale, oltre ad essere sceneggiatore del classico “Tell Me Something”, ha realizzato pochi anni fa un altro splendido horror militare, “R-Point”). In uno dei fortini supermuniti che costellano la frontiera con la Corea del Nord, l’intera guarnigione è stata spazzata via, e un sergente investigativo della spedizione di soccorso ha solo una notte per chiarire l’accaduto. Temo che qualsiasi accenno allo svolgimento ulteriore sarebbe uno spoiler, per cui mi limito a segnalare l’ottima costruzione dell’atmosfera, la crudele immediatezza fisica, il buon gioco interpretativo e l’abile ondeggiare del film fra il racconto di questa notte sempre più nervosa e una serie di flashback di affascinante ambiguità. L’immagine di questo cupo fortino sotto la pioggia non si dimenticherà facilmente.
Ed è arrivata mezzanotte, e ha chiuso l’Horror Day con simpatica leggerezza il poco impegnativo, assai piacevole “Sick Nurses” (Thailandia) di Thospol Sirivat e Piraphan Laoyont. Un film senza pretese di soli 82 minuti, destinato a mostrarci una collezione di bellissime infermiere (come personaggi, una più “bitch” dell’altra!) che un fantasma femminile vendicativo costringe a farsi male nei modi peggiori possibili. Certamente c’è un elemento di enumerazione meccanica - ma visto che ci si diverte tanto, tre urrà per la Thailandia.
martedì 29 aprile 2008
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