venerdì 18 gennaio 2008

Harry Potter e il Calice di Fuoco

Mike Newell

Aprendo la serie dei romanzi-monstre all’interno del ciclo di J.K. Rowling, “Harry Potter e il Calice di Fuoco” è lungo oltre 600 pagine. Ciò pone ovvie difficoltà di riduzione cinematografica - anche per la sua struttura: se la linea narrativa principale con le tre prove del Torneo Tremaghi e la resurrezione fisica di Voldemort è semplice, il “subplot” concernente il professor Moody e il signor Crouch è complicato e tortuoso, seppur necessario. Ora, “Harry Potter e il Calice di Fuoco” di Mike Newell, quarto della serie, è un bel film: piacevole, emozionante, divertente e quant’altro. Nondimeno, è difficile sottrarsi all’impressione che tra i film del ciclo sia il meno brillante.
Qui gioca la complessità del romanzo (era giusta la prima idea della produzione, di girare il film in due parti); si ha quasi l’impressione di avvertire il panico dello sceneggiatore Steven Kloves nel cercar di ridurlo a una dimensione cinematografica. Mentre alcuni aspetti sono sacrificati da tagli radicali (il fascino soprannaturale di Fleur Delacour, ad esempio), altri sono mantenuti in modo alquanto incerto: il personaggio di Crouch nel film è una figura residuale, non chiara sul piano narrativo (la sua scena con Moody e il suo assassinio sono comprensibili solo per chi ha letto il libro).
Se quanto sopra potrebbe riguardare in ultima analisi solo i lettori della Rowling (una bella fetta di umanità, comunque), il film fa una cosa imperdonabile - peggio delle tre Maledizioni Senza Perdono, peggio che tirare l’Avada Kedavra a un disgraziato. Manca la finale del Campionato Mondiale di Quidditch! Vediamo, sì, una stupenda illustrazione dello stadio magico, vediamo dare il segnale d’inizio - e segue un’ellissi con passaggio al dopo partita, realizzata con uno degli stacchi più brutti, goffi, dilettanteschi di cui si abbia memoria nel cinema recente. Tale bruttezza - mentre il resto del film ha un buon montaggio, con raccordi eleganti e meditati - potrebbe far ipotizzare che la partita sia stata girata e poi tagliata per accorciare; se è così, uscirà il DVD coll’edizione “extended”; d’altro canto è difficile che una scena così costosa sia stata filmata e poi tolta. Quel ch’è certo, si tratta di un grave inciampo estetico.
Vero è che il film poi si fa perdonare trascrivendo le pagine del romanzo con felice sontuosità: la carrozza volante, la nave che viaggia sott’acqua, le prove del Torneo, la memorabile lotta di Harry contro il drago. E’ soddisfacente il côté horror (i corpi cerei degli “ostaggi” che fluttuano sott’acqua!), sebbene inferiore alle superbe pagine del terzo film, diretto da Alfonso Cuaron. Un punto di forza della serie cinematografica è sempre stata la galleria dei professori, e qui un magnifico Brendan Gleeson nel ruolo di Malocchio Moody è una degna aggiunta.
Mike Newell però sembra più personale quando si muove su un piano parallelo a quello fantastico: il Ballo del Ceppo, l’imbarazzo di Harry nudo nel bagno con lo spettro di Mirtilla Malcontenta, il solenne arrivo e la partenza delle scuole rivali (Newell ha sempre avuto un occhio per le cerimonie), e in genere tutto lo sviluppo adolescenziale, dove ritroviamo quell’elemento quasi crepuscolare che Newell aveva sotteso al suo film migliore, “Quattro matrimoni e un funerale”. Le parole finali di Hermione - “Adesso tutto cambierà, non è così?” - fotografano egualmente la guerra imminente annunciata dal ritorno di Voldemort e l’inquieto, malinconico senso del tempo che passa ch’è proprio dell’adolescenza.
Specchio e simbolo cinematografico di questo mutare dell’età è Hogwarts. Che nei primi due film, diretti dall’abile Chris Columbus, era il castello incantato sognato da un bambino senza casa; nel terzo, di Cuaron, ricordava i cupi castelli in decadenza degli horror della Hammer; e qui è un’imponente fortezza dalle mura formidabili e fredde, che in qualche misura rispecchiano la scontrosità di questi adolescenti nel labirinto degli incerti, fragili rapporti umani.

(Il Nuovo FVG)

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