Vincenzo Alfieri
“Il
corpo” è il cadavere di una bella donna cinquantenne, morta
d’infarto (fin dall’inizio, non è uno spoiler): è Rebecca
(Claudia Gerini), ricchissima e alquanto crudele, che ha sposato
(ovvero si è comprata) un marito squattrinato più giovane di lei,
Bruno (Andrea Di Luigi). Dalla sua morte quest’ultimo ha tutto da
guadagnare. Com’è, come non è, il cadavere scompare
dall’obitorio. Un bizzarro ispettore di polizia (Giuseppe
Battiston) indaga sul fatto, e convoca all’obitorio il vedovo
tutt’altro che inconsolabile.
È
un gioco al gatto col topo (l’ispettore non fa mistero di odiare
Bruno) in un’interminabile notte piovosa, costellata di flashback.
Anche se Il corpo è il remake di un film spagnolo, l’atmosfera di
corruzione diffusa e di prepotenza (la beffa iniziale di Rebecca a
Bruno) che vediamo squadernata in questi flashback può far pensare
agli ambienti malati di Georges Simenon – mentre il fatto che, di
fronte a questi strani avvenimenti, il vedovo comincia
inevitabilmente a sospettare che la morta non sia proprio morta è
suggerito da un vecchio, bellissimo thriller francese, I diabolici,
di Henri-Georges Clouzot. Quel ch’è certo, le regole
dell’indagine, come le vediamo nel film, non hanno nulla a che fare
con la prassi italiana.
Il
corpo è un giallo un po’ fatuo ma divertente, con una buona resa
delle atmosfere, e fondato su un’implausibilità addirittura
monumentale. Alla fine come tutti i gialli, mette in campo una
soluzione (di cui com’è ovvio non farò parola), nella quale
alcune apparenti falle logiche vengono tappate – ma al prezzo di
un’inverosimiglianza ancora più grande di quella precedente.
Ovvero, c’è nel film un doppio set di implausibilità, quella
dell’indagine e quella della soluzione. Beninteso, la plausibilità nel cinema non è mai stata una legge assoluta. Ci sono autentici
capolavori basati su un’improbabilità quasi sfacciata (uno per
tutti: Detour di Edgar G. Ulmer). Ma si tratta di un gioco di
prestigio che deve illusoriamente dar conto di tutto, come negli
assurdi e meravigliosi romanzi di John Dickson Carr. Ne Il corpo, il
primo set di assurdità non è interamente sanato dal secondo.
Infatti
nel cinema, accanto alle eventuali inverosimiglianze della trama, vi
sono delle assurdità pertinenti all’universo diegetico che mettono
in crisi la croyance. Per intenderci, se nel presente film, d’un
tratto, il corpulento Battiston facesse un balzo verso l’alto di
due metri afferrandosi con le mani a una modanatura del soffitto, la
nostra sospensione dell’incredulità ne uscirebbe irrimediabilmente
compromessa (mentre in altro contesto lo accetteremmo da John Wick).
Non
succede questo ne Il corpo, ma – attenzione, seguono spoiler –
riguardo all’atteggiamento dell’ispettore e del suo aiutante
verso l’ambiguo Bruno, che è sospettato ma convocato come
testimone, i conti non tornano. In Italia, un paese in cui
(purtroppo!) un poliziotto che spara a un criminale armato che lo
minaccia trova il magistrato che lo manda sotto processo, quello che
l’ispettore si permette con Bruno integra una serie di autentici
reati, non escluso il sequestro di persona – culminando in una
delirante scena di confessione al registratore in una cappella
davanti a un pubblico di poliziotti-spettatori. La soluzione finale
ne dà una spiegazione psicologica – ma non lo rende credibile.
Eppure la soluzione c’era: non si capisce perché gli sceneggiatori
(Vincenzo Alfieri e Giuseppe Stasi) non abbiano ambientato il film in
qualche paese europeo diverso dall’Italia: bastava cambiare i nomi.
Come
già detto, Il corpo è il remake di un fortunato film spagnolo del
2012, El cuerpo di Orion Paulo, che ne ha già avuti un paio. Questo
regista e sceneggiatore ha girato nel 2016 Contratiempo, altro giallo
che pure ha avuto dei remake internazionali, fra cui l’italiano Il
testimone invisibile e l’eccellente coreano Confession (Jabaek) di
Yoon Jong-seok, visto al Far East Film Festival 2022. Anche in
Contratiempo l’intero svolgimento viene ribaltato dalla rivelazione
finale di una simulazione che ridefinisce tutto il film; però in
questo caso (almeno nel film coreano) il gioco di prestigio era
perfettamente riuscito e lo sviluppo appariva del tutto credibile. Se
lo menziono, non tanto è per paragonarvi sfavorevolmente Il corpo
quanto per far notare la somiglianza strutturale fra le due storie.
Attrice
dotata e coraggiosa, Claudia Gerini, che esibisce una splendida
nudità sia da viva sia da morta, è la migliore in campo,
tratteggiando un ottimo ritratto di dark lady borghese: in fondo non
chiede altro che di godersi il marito, al quale ama fare scherzi
cattivi (esagerata ma bella la scena della piscina). Giuseppe
Battiston è bravo come sempre, sebbene l’implausibilità di cui si
è detto pesi molto sul suo personaggio. Altri personaggi o non hanno
gran consistenza o escono dal film letteralmente circonfusi da
un’aura di incredibilità assoluta. La buona regia di Vincenzo
Alfieri, coadiuvato dall’abile montaggio dello stesso e dalla
fotografia di Andrea Reitano, è fondamentale nel tener su il film.
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