Alberto Rodriguez
Il
regista Alberto Rodriguez è noto da noi in particolare per La isla
mínima, un bel thriller su due poliziotti che indagano su un serial
killer nella Spagna più profonda. Rodriguez (sempre col suo
co-sceneggiatore fisso Rafael Cobos) usa il cinema di genere come un
pretesto per analizzare la società spagnola. Ora ritorna con
l’interessante Prigione 77, un film carcerario a sfondo politico,
basato su fatti veri.
Siamo
nel 1976: arrestato per un furto in ditta, che ha commesso ma che un
complice altolocato ha fatto apparire più grande, il giovane
contabile Manuel (Miguel
Herrán)
precipita nell’inferno delle prigioni spagnole, fra
corruzione e violenza delle guardie (se vuoi un materasso devi
pagare, se protesti ti riempiono di botte). Franco è appena morto,
si parla di democrazia, ma l'impianto carcerario rimane assolutamente
franchista. I prigionieri politici vengono rilasciati ma per i
comuni, “nada”. Nasce una sorta di sindacato dei prigionieri che
chiede l'amnistia; però Manuel e il suo compagno di cella Pino, portati
via di notte per trasferirli in un altro carcere che è un vero luogo
di tortura, pagano il prezzo di una repressione feroce.
Una
strana mancanza del film è che ignora, non totalmente ma certo
largamente, la risposta fuori, con manifestazioni di adesione e
veglie nella strade davanti al carcere (eppure, che ci fossero, non
lo dice solo la logica ma anche le fotografie – autentiche – dei
titoli di coda).
La
descrizione della vita interna della prigione dal punto di vista dei
carcerati, e in particolare di Manuel che inizialmente non si ritiene
uguale agli altri, è l’aspetto migliore del film (nel ruolo di
Pino, ottimo Javier Gutiérrez, visto anche ne La isla mínima).
Prigione 77 non è un thriller, come pure è stato detto: è un
solido film di impegno sociale, realizzato con partecipazione e
capacità descrittiva. I due sceneggiatori Rodriguez e Cobos vogliono
ficcarci dentro tutto, come nei film del Marvel Cinematic Universe,
ma finché la storia tiene, va tutto bene. Anche nella regia di Alberto Rodriguez, in Prigione 77 ritroviamo caratteristiche già presenti ne La isla
mínima come l’uso del drone per inquadrature perpendicolari molto
dall’alto, tali che il paesaggio sottostante diventa un reticolo
(se viene in mente il David Lynch di Una storia vera, il riferimento
non è tanto ozioso, perché La isla mínima mostrava che Lynch ha
effettivamente un’influenza su Rodriguez).
Il
problema si pone a tre quarti del film, quando una brusca svolta –
ma brusca davvero – crea un vero cambio di paradigma nella logica
dei generi. Manuel perde d’un colpo la fede nella lotta
dell’associazione dei carcerati, e il film diventa un film di
evasione dal carcere, con Manuel, Pino e altri che scavano la
classica galleria – tutto concentrato nell’ultimo quarto di
durata, anche con un’evidente accelerazione narrativa. Non sarebbe
tanto un difetto in sé, ma questa sproporzione di tempo fra le due
parti (sarebbero state necessari, per bilanciarsi, come minimo,
un’ora e un quarto contro tre quarti d’ora) apre una grave falla
sul piano dell’unità artistica.
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