Clint Eastwood
“Non posso curare la
vecchiaia”.
Elegiaco
e malinconico, Cry Macho
di Clint Eastwood è una
confessione dolorosa e piena di dignità sulla vecchiaia. Un film
trasparente come la pelle
tesa sul viso di Eastwood novantenne che lo interpreta con una
bellissima recitazione sobria, in accordo con la sua prima
apparizione in controluce, piena di dettagli sottotraccia ma
lampanti, come la sua espressione quando al suo personaggio, ex
alcoolizzato, viene offerto da bere.
Due
splendidi film di Eastwood sulla vecchiaia, The Mule
e Cry Macho, formano
una coppia di film-testamento; in entrambi ha gran parte il Messico,
l'altra faccia dell'America rispetto agli States dei pionieri
bianchi. Fra i due c'è, a parere di chi scrive, una differenza
fondamentale, da cui conviene partire per intendere il secondo: The
Mule è narrativa mentre Cry
Macho sotto la superficie
narrativa è poesia. Di qui la sovrana indifferenza con cui sorpassa
in certi momenti la mera logica narrativa, e ricorda l'elegante
astrazione del cinema muto.
Dopo titoli di testa in
pura grafica western, vediamo Eastwood, il vecchio ex campione di
rodeo Mike Milo, venire licenziato dal suo boss Howard Polk. Un anno
dopo Howard si fa vivo da Mike e gli chiede di andare in Messico a
recuperare per lui (che non può andarci) il figlio tredicenne Rafo,
là trattenuto dalla madre, e abusato. Mike non stima Howard ma si
sente in debito con lui che l'ha aiutato nei momenti bui. Così
parte; in Messico la madre di Rafo (una ricca ninfomane alcoolizzata
immersa in affari poco puliti) gli dice con disprezzo che il ragazzo
l'ha abbandonata e ora vive da solo in un quartiere malfamato. Mike
riesce a trovare Rafo (una buona interpretazione di Eduardo Minett
che mostra la fragilità rabbiosa dell'adolescente), col suo gallo da
combattimento Macho, e lo convince a venire con lui; ma la via del
ritorno sarà molto più complicata di quanto si aspetti. E' un film
di viaggio, di fuga, di litigi e di speranza, ingenua in Rafo,
disincantata in Mike; come sempre Eastwood ci mostra la vita e il suo
travaglio con la chiarezza dei classici. Per un certo tempo i due si
nascondono presso la bella vedova Marta (interpretata dall'attrice
messicana Natalia Traven, che ha negli occhi un bagliore alla Katy
Jurado); fra lei e Mike nasce, pudicamente raccontato, un amore; ma
arriverà il momento di andarsene.
Mike è stato ed è un
grande domatore di cavalli – in Eastwood come in Hawks la
competenza nel lavoro è un valore supremo – e i cavalli sono
assieme al gallo gli animali-simbolo del film: lo sguardo che Mike
lancia ai cavalli di Howard in apertura, la nostalgia sulle vecchie
foto del rodeo, la bellissima inquadratura, durante il viaggio, del
branco che galoppa nel corral facendo a gara con l'automobile sulla
strada, ed altro ancora. Il film è semplice e diretto nel mostrare
l'amore per gli animali, l'amore per i bambini (le nipoti di Marta,
fra cui la piccola muta con cui Mike sa comunicare col linguaggio dei
segni), e per le anime oneste come Marta, che nel suo coraggio
decisionista e nella sua forza d'animo si caratterizza come il doppio
di Mike.
L'eroe eastwoodiano ha due caratteristiche: l'indomabilità e la
solitudine. Quest'ultima in Cry Macho è
dovuta a una disgrazia invece che a un allontanamento come in The
Mule e tanti altri film (la voce
incrinata di Eastwood quando raccontando della morte di moglie e
figlio dice “my boy”!). L'indomabilità è sempre presente, ma
stanca, indebolita dalla vecchiaia. Minacciato e sbeffeggiato dalla
ex moglie di Howard e dai suoi sgherri, che gli intimano di tornare
negli USA, Mike non mostra paura, ma tuttavia non ha scelta, e se ne
va (è infantile pensare – e pur sapendolo lo facciamo – “Adesso
li prende a cazzotti”). Ma Rafo si è nascosto nella sua auto, e
nasce una fuga a tre, perché il gallo Macho nel film ha dignità di
personaggio. Il classico tema eastwoodiano della responsabilità qui
viene declinato su una coppia di obblighi contrastanti. Mike diventa
il vero padre adottivo del ragazzo (“Tu non bevi nessuna tequila!”)
ma si sente impegnato moralmente col suo ex datore di lavoro. Howard
è un mediocre ma ha pronunciato tre parole fondamentali per la
morale eastwoodiana: “You owe me”. Così Mike arriva, se non a
mentire a Rafo, perlomeno a nascondergli la natura del padre (da lui
definito all'inizio del film “un uomo debole, meschino e senza
palle”). Ovvia la reazione del ragazzo quando la verità, anche
peggiore di quanto sapeva Mike, viene fuori.
C'è
una moralità interiore nei personaggi eastwoodiani – anche un
ladro professionista (Potere assoluto)
o un corriere della droga puttaniere (The Mule)
– ma qui il contrasto di obbligazioni la fa ritirare molto
all'interno del personaggio (e così torniamo al discorso della
solitudine). Ne risulta un ritratto di grandissima umanità. Ed ecco
le parole, assolutamente western, nel finale aperto del film, quando
Mike consegna il ragazzo al padre pagando il debito: “Sai dove
trovarci – se hai bisogno di noi”. Quel rovesciamento finale che
ne I professionisti di
Richard Brooks, fondato su un dilemma simile, appariva forzato, qui è
di limpida purezza.
Il
plurale “noi” comprende il gallo Macho, che, vero macho,
in precedenza ha tolto i protagonisti da una situazione disperata. E
sul concetto di macho
Eastwood compie in questo film una riflessione che è quasi una
palinodia (ma non tanto quanto hanno voluto nella critica alcune
lettura un po' ideologiche): “La storia del macho
è sopravvalutata”. Si finisce sempre con un pugno di polvere. “E'
come ogni cosa nella vita, pensi di conoscere le risposte, ma quando
diventi vecchio non ne hai nessuna”.
Invero
nella sua carriera Eastwood – anche attraverso film su machos
puri, come Gunny
– ha sempre posto il tema della virilità; ovvero si è sempre
confrontato con la domanda: che cos'è un uomo? Ma già lo sappiamo,
al centro di tutto il cinema di Eastwood c'è (depurato da qualsiasi
decadentismo) il concetto della morte che vince sempre. Dell'essere
uomo fa parte la consapevolezza che un giorno arriverà la morte (è
un peccato che Clint Eastwood non abbia mai girato un western su Doc
Holliday, che si direbbe l'eroe eastwoodiano per eccellenza). Così
le parole pronunciate da Marta al momento della separazione – “Tu
sei un buon uomo, lo sai? Spero che tu lo sappia” – sono quelle
che tutti noi vorremmo scolpite, per così dire, sulla tomba – e
che non tutti meritiamo. Si può ricordare per inciso che questa è
la preoccupazione centrale dello spielberghiano, e quasi
eastwoodiano, Salvate il soldato Ryan.
Sono parole tanto più forti nella visione del mondo di Eastwood, per
il suo concetto della responsabilità; per lui, in ultima analisi, un
uomo vale per quello che si lascia dietro.
Il finale mostra Mike,
ritornato, che balla di nuovo con Marta, un'immagine di romanticismo
in una trascrizione del racconto, l'abbiamo detto, in poesia.
Nessun commento:
Posta un commento