lunedì 11 novembre 2019

La famosa invasione degli orsi in Sicilia

Lorenzo Mattotti


Dopo anni e anni di lavorazione, finalmente abbiamo La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Lorenzo Mattotti, trascrizione filmica del romanzo di Dino Buzzati.
Leggendo il saggio di David Rosenberg nel volume Mattotti / Sconfini, del 2016, c'è da restare stupiti: Rosenberg enumera i temi ricorrenti nelle opere di Mattotti (per evitare l'inciampo di una citazione troppo lunga menziono solo il viaggio iniziatico, ma sono molti); ah, ma sono gli stessi temi che si ritrovano nel romanzo di Buzzati. Il che vale a dire che Buzzati è quello che potremmo chiamare l'“autore naturale” per Mattotti, come ad esempio Ballard lo è stato per Cronenberg in Crash.
La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Buzzati è una storia affascinante e malinconica, che sa di foglie morte e di sogni impossibili, di grande speranza e di maggiore delusione, segnata dall'esperienza della guerra mondiale appena finita (la prima versione uscì a puntate nel 1945). Il film ha la bellissima invenzione di una cornice metanarrativa (prima, in una caverna che è un gioco astratto di grigi e di ombre, il cantastorie Gedeone e sua figlia, poi il vecchio orso, cui dà la voce in italiano Andrea Camilleri). Questa cornice traduce l'epos di Buzzati nella dimensione immediata dell'affabulazione realizzando in modo plastico quel senso di leggenda di tempi perduti che Buzzati conseguiva con altri mezzi, e assumendo la dimensione contemporanea dell'insicurezza del racconto. Se già nella sua prima versione il romanzo era stato diviso in due parti, qui, con tocco geniale, il racconto viene diviso in due “valve” che si rispecchiano in modo simmetrico: a un narratore umano segue un narratore ursino, al racconto umano ottimistico il racconto ursino pessimistico, ascesa e caduta, un canto e un controcanto; due racconti di cui il secondo è l'antitesi del primo. Così si mantiene e anzi si sottolinea quel senso di malinconia. Vero è che il film si chiude su una piccola invenzione ottimistica, il segreto rivelato dall'orso che risolleva gli spiriti della bambina; ma esso viene tenuto nascosto al cantastorie come a noi spettatori – quindi, per noi, una mozione di speranza piuttosto vaga.
Per portare sullo schermo la Famosa invasione, un forte lavoro di sceneggiatura (Lorenzo Mattotti, Jean-Luc Fromental e Thomas Bidegain) si è posto il compito di creare una trama maggiormente adatta a un'opera cinematografica. Non solo strutturando maggiormente il plot: per esempio il rapimento di Tonio, figlio di Leonzio, nel disegno di Buzzati è illustrato con una sola tavola di gelida angoscia astratta nella sua logica spaziale impossibile; nel film esso è la logica conclusione di uno sviluppo avventuroso cinematografico (l'orsatto viene trascinato via dal fiume). Prima ancora – poiché il romanzo di Buzzati è, in piccolo, una chanson de geste, in cui i personaggi hanno una continuità aleatoria – gli sceneggiatori sono intervenuti nello “schieramento” dei personaggi e nella loro definizione psicologica. Qui è importante l'introduzione di una figura femminile, doppia e tuttavia unica: la piccola apprendista cantastorie Almerina, che dalla cornice arriva a fondersi con l'Almerina del racconto, l'amica dell'orso Tonio. Un'invenzione che sarebbe piaciuta allo stesso Buzzati se avesse potuto vedere il film – a parte il fatto che Almerina è un omaggio al nome di sua moglie.
Un altro intervento di rilievo è lo sviluppo del personaggio dell'orso Tonio, che diventa un personaggio centrale, caricando su di lui il peso simbolico di questo incontro fra il mondo umano e quello ursino e trasformandolo in un personaggio attivo al confine fra i due mondi. Almerina e Tonio diventano i motori della seconda parte del film, mentre re Leonzio è relegato a un ruolo di sovrano ingannato e manovrato da Salnitro (il villain della situazione). La trama, in una parola, è più intessuta rispetto alla segmentazione aerea e poetica buzzatiana.
Una nota sulla violenza. Nei suoi disegni, che amano (per usare un termine cinematografico) il campo lungo, Buzzati si diletta a riempire il vasto spazio di figurine piccolissime di orsi visti in una quantità differenziata di atteggiamenti; e nella tavola dell'assedio riempie il quadro di combattenti e anche di cadaveri, con una macchia di sangue che si allarga sotto il corpo. Pure nell'illustrazione della banca rapinata non mancano i cadaveri dei guardiani sugli scalini. Il film è molto più pacifico; non solo si muore di meno – il minimo possibile, potremmo dire – ma il sangue è assente, come nei film americani degli anni Trenta. Dopo la morte del gatto mammone, nel film gli orsi inghiottiti saltan fuori trionfalmente dalla sua pancia come Pinocchio dalla balena.
Sul piano grafico, il film risolve brillantemente il suo problema più spinoso: è la versione cartoon indipendente (non è come nel rapporto manga/anime) di un testo illustrato, che deve evitare di essere subordinato all'illustrazione originaria e contemporaneamente vuole evitare di gettarla via per creare un'illustrazione totalmente “altra”. Con la differenza che Buzzati, come illustratore del suo romanzo, ha la possibilità di scegliere il momento perçant da fissare – mentre Mattotti deve lavorare in continuità. Eppure Mattotti crea egualmente un'opera di cui si può dire che ogni inquadratura è un quadro.
Tutta l'opera di Mattotti ha una variata ricchezza, che attinge a una grande cultura figurativa che ingloba suggestioni della storia della pittura, dell'illustrazione e del fumetto. Anche qui, Mattotti non lavora su un “partito preso” grafico – per lui ogni inquadratura è un problema da risolvere in sé – ma su una linea guida di composizione estetica coerente, per cui il grande risultato artistico del film è che tutto si fonde in una composizione unitaria con perfetta fluidità.
Se Buzzati nelle sue illustrazioni per la Famosa invasione usava il pennino anche per le tavole colorate, Mattotti illustra la storia con un flusso di colore puro, una gioia di colori vivacemente accostati. Un declivio erboso è una cascata di pastello verde. Guardate i picchi delle montagne in lontananza: quelli di Buzzati sono rocce aspre, un'esagerazione fiabesca delle montagne del Trentino che lui amava; quelli di Mattotti sono forme arrotondate e fantastiche. Il disegno di Mattotti è essenziale, un gioco raffinato di colori squillanti e ombre. Le fughe prospettiche di Buzzati vengono riprese e amplificate. Un volo di uccelli in questo paesaggio fantastico è bello come in Miyazaki.
E', quello di Mattotti, un tratto pieno, corposo, “tangibile”, vien voglia di dire tridimensionale. Gli orsi sono pesanti e massicci, al pari del cantastorie. Ma ecco il doppio personaggio femminile, che è tutto energia e movimento. Ed ecco – riprendendo Buzzati – il professor De Ambrosis che è un burattino scheletrico, tutte linee strette e spezzate nel gioco di gambe e braccia come un insetto... i suoi nemici lo chiamano, nel film, “cavalletta”, oltre che “scheletro” o “asparago”.
Il Gatto Mammone di Buzzati è, pur con le strisce e i “baffoni” bianchi, un gattaccio randagio magnificato; quello di Mattotti è un inquietante clown fiabesco, quasi un pallone volante, uno Stregatto assassino. Ma gli fa da pendant e alternativa la minuziosa descrizione del Serpenton dei mari che invece, riprendendo Buzzati da vicino, è una creatura realistica, con un movimento (ed effetti sonori) da film di mostri.
Nel film sono incastonati graziosi riferimenti pittorici. Non solo Van Dyck rifatto parodisticamente in un ritratto equestre del perfido Granduca. Nel corpo del racconto ritroviamo velocemente, inaspettatamente, una piazza metafisica dechirichiana (nella fuga di Almerina), i fichi d'india di Guttuso, un gruppo di case che fanno tanto Carlo Carrà. Nonché Buzzati. Il film inserisce nel proprio corpo la riutilizzazione dei disegni di Buzzati della Famosa invasione come dipinti intradiegetici. Per esempio, li vediamo come affreschi nel palazzo e come grandi quadri incorniciati appesi nel suo corridoio d'onore: come una riflessione e una celebrazione degli orsi sulla loro storia. E' ozioso ma affascinante chiedersi quale pittore (uomo od orso?) ne è stato l'autore nell'universo del film. Non si sarà chiamato Buzzati? Sicché Dino Buzzati diventa per via indiretta un personaggio della propria stessa creazione.

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