domenica 31 agosto 2014

Mr. Bean


Ecce homo”, canta il coro nella sigla dei filmati di Mr. Bean, di cui Canale 5 ogni giorno alle 13.45 ripropone opportunamente i primi classici. Ecco l’uomo, nella sua carne e nella sua miseria. Bean è tutti noi. Lo stesso orrore comico che ci coglie di fronte a certe sue nefandezze fisiche ci viene dal senso di questa parentela sotto la lente dell’esagerazione. Se si sviluppa l’atto diffuso di chi furtivamente si toglie con l’unghia dai denti un frammento di cibo, si ottiene Bean che rassettandosi prima di una cerimonia ruba un capello a una donna e lo usa di nascosto come filo interdentale.
Sorretta dal meraviglioso lavoro mimico di Rowan Atkinson, la comicità di Mr. Bean si basa sulla coerenza: sviluppo geometrico, violenta radicalità; che sul piano fisico tocca vertici oltraggiosi (si toglie un calzino e lo usa da cestello asciuga-insalata; durante un film che gli fa paura trasforma i popcorn in tappi per le orecchie, e alla fine se li mangia). C’è l’eco, in Mr. Bean, dei comici dell’epoca d’oro del muto, i quali lo riconoscerebbero a prima vista come uno dei loro. In particolare il grande e dimenticato Fatty.
Tutto ciò che è gli negato, questo personaggio infinitamente solitario se lo ricrea da zero con una folle genialità nella fabbricazione di surrogati, esilaranti e quasi tragici. La sua concezione del mondo è ingegneristica. Così, rispetto alla prima delle due classi di questioni che lo affliggono - come risolvere un problema meccanico e come evitare un’umiliazione - Bean riesce a ottenere un sudato pareggio; dove perde regolarmente è con i suoi simili.
Il rapporto Bean/umanità è un match impietoso, perché Bean non accetta le regole dello scambio sociale, né d’altro canto le rifiuta (non è né un criminale né un rivoluzionario): piuttosto, le aggira. E’ un anarchico ma non lo sa. La sua aria santimoniosa attesta quanto si consideri un membro regolare del mondo che sconvolge: la contrapposizione fra lui e la società è oggettiva, non soggettiva. Di qui il suo imperativo di non perdere mai la faccia. Pur di nascondere che teneva un costume da bagno in tasca, finge che sia un fazzoletto e ci si soffia il naso. Se qualcuno osserva i suoi maneggi, si ricompone freneticamente e controbatte con un finto sguardo incuriosito pieno di educata superiorità.
E’ capace di crudeltà e di vigliaccherie inenarrabili, ma non c’è cattiveria in lui. Non è più imputabile di un bambino di quattro anni, per lo stesso motivo. Mr.Bean è un bambino nel corpo di un uomo, come testimonia la sua cameretta con l’orsacchiotto. L’egoismo estremo che lo muove è puro solipsismo infantile.
Per questo il tentativo di trasformarlo in una figura morale - come nel recente, modesto film che lo ha trasferito sul grande schermo - è destinato a fallire. Lasciamo che l’umanità di Mr. Bean emerga in modi più semplici e naturali. In certi sguardi feriti, con cui passa all’istante da incosciente persecutore a vittima. Nel suo amore per l’orsacchiotto Teddy, che ha qualcosa di straziante perché è l’unico amore che Bean proietta fuori di sé, quello che non riserva a nessun altro e che nessun altro riserva a lui. Nella sua indefettibile sfortuna. Perché con tutta la sua ingegneria e la sua ridicolaggine, l’epopea di Mr. Bean è una descrizione eroica della sventura.

(Il Piccolo, agosto 1998)

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