A
Zed & Two Noughts (Lo
zoo di Venere:
e per una volta sia consentito preferire il titolo italiano, meno
significante, ma più magico, più grumoso),
di Peter Greenaway, è un film allegramente ossessivo. L'ossessione
della simmetria.
Le
nozioni di simmetria, specularità, bilateralità sono centrali nel
film fin dal livello figurativo, con la sua partizione pervicacemente
simmetrica di spazi e figure. L'esempio più facile è la camera di
Alba (Andrea Ferreol) e le sue scene coi gemelli Deuce, ma fin dalle
prime inquadrature vediamo il mantello “zebrato” della tigre su
un manifesto bilanciato a sinistra dalle strisce “zebrate” della
sbarra sull'entrata (1).
Ed
è, la zebra, il simbolo animale del film. La domanda di Greenaway se
sia un animale nero a strisce bianche o bianco a strisce nere è
irreale: sappiamo che le zebre sono bianche a strisce nere. Ma ha un
senso in quanto postula – e ne impone il concetto allo spettatore –
una ipotetica, platonizzante zebra
assoluta,
una ur-zebra
perfettamente simmetrica che incarna il concetto centrale del film.
La
simbologia assume una particolare importanza in quanto, ne Lo
zoo di Venere,
Greenaway rifiuta un modulo narrativo lineare di tipo romanzesco
(storia di uno sviluppo e di una crisi, passaggio da un ordine a un
altro) in favore di un movimento circolare, o meglio, a spirale. Il
film si struttura su temi – come dei Leitmotive
– ciascuno dei quali prima accennato, poi via via ritornante,
rafforzato e sviluppato, in senso musicale, ma sempre uguale a se
stesso. Così prima di metà film si trova completamente delineata
agli occhi dello spettatore una tessitura di motivi estremamente
precisa e interconnessa: un universo auto-referente che Greenaway –
una vola posto – non ha bisogno di variare o accrescere, ma di cui
segui il ripetersi con la sua già nota olimpicità, crudele e per
questo toccante (2). Il film si chiude sull'immagine di un disco che
non gira più.
Ecco
allora che il richiamo alla mitologia classica, uno degli aspetti
strutturali del film, non è bizzarria o tantomeno orpello. Il
passaggio da immaginario mitologico a realtà diegetica non è
contraddizione e trasformazione, è solo questione di grado, è tema,
già-dato,
che ritorna nel continuo moto circolare. Questo vale per il mythos
classico (Leda, i Dioscuri) come per il racconto
aneddotico e casereccio: così la storia raccontata da Alba sulla
cortigiana francese senza gambe contiene in
nuce
la sua stessa futura storia, o le storielle pornografiche di Venere
di Milo, prostituta aspirante scrittrice,sul congresso carnale con
animali si tradurranno – fallimentariamente? - in realtà. La
stessa teoria scientifica nel film è strettamente equiparata al
racconto
e si trasforma in pressi senza soluzione di continuità.
Siccome
poi Peter Greenaway è un pittore e pensa per immagini non ci
stupiremo che anche l'opera di Jan Vermeer sia un già-dato
che ritorna e ritorna come motivo. Proprio Jan Vermeer (1632-1675),
con la sua partizione tersa e rigorosissima degli spazi attraverso il
colore...
La
tensione verso l'ordine
simmetrico
(3) è la dannazione dei personaggi. Alba, priva di una gamba dopo
l'incidente, è asimmetrica.
Quindi il chirurgo Van Meegeren – un dr. Frankenstein vermeeriano,
ossessionato dall'idea di riprodurre nella realtà l'opera del
Maestro (4) – le taglia anche l'altra gamba, perché ciò permette
maggior fedeltà a un'opera di Vermeer in cui le gambe non si vedono,
ma soprattutto per recuperare l'armonia originaria. E Alba sogna
l'utopia erotica della donna senza gambe, vagina “senza ostacoli”,
in grado di amare e partorire liberamente,
e parla della gamba superstite come di qualcosa che soffre e fa
soffrire.
Idem
per i gemelli Deuce: siamesi separati, hanno perso l'unità
originaria (i Dioscuri, nati da un unico uovo e speculari
nel loro essere alternativamente un giorno all'Olimpo e un giorno
agli inferi. Legati al mito di Leda. Connessi al cavallo... e che è
una zebra se non un cavallo a strisce?). I Deuce dopo la separazione
si erano sposati con donne che la ignoravano, costruendosi – è
implicito – delle biografie
separate.
Morte le mogli nell'incidente, ritornano pian piano all'impossibile
sogno di fondersi. Si somigliano sempre più, fanno le stesse cose,
vanno a letto insieme con Alba (che partorirà loro due gemelli
commentando: due sono entrati e due sono usciti). Insomma la completa
specularità. Ma non basta: tentano farsescamente di ricucirsi e si
fanno confezionare da Venere un assurdo “abito per siamesi”,
chiusi nel quale andranno infine a uccidersi con perfetta simmetria.
E
qui è il momento di parlare del secondo tema del film: il
fallimento. La tensione verso la simmetria comporta la propria
frustrazione.
Il
dottor Van Meegeren taglia ad Alba l'altra gamba. Ma attenzione: H.A.
Van Meegeren (1884-1947) fu nella vita reale un famoso falsario,
naturalmente vermeeriano (riuscì ad appioppare un suo falso anche a
Hermann Goering). Il Van Meegeren del film è falso,
losco, velleitario e pateticamente innamorato respinto di Alba. È un
simbolo di impotenza.
Anche
senza gambe Alba resta mutilata, incompleta, asimmetrica (il suo
pianto di protesta contro Van Meegeren e contro Vermeer può
ricordare quello della Marie godardiana contro Dio). Dopo essersi
accoppiata ai gemelli si fidanza al suo omonimo speculare
Arc-en-Ciel, anche lui senza gambe, ma è una sistemazione più che
altro sociale. Alba muore.
Falliscono
(in mezzo ai fallimenti di tutti i personaggi, nessuno escluso) i
gemelli Deuce. Costorpo sono ossessionati dalla decomposizione, che
studiano riprendendo il disfacimento degli animali e proiettandolo
accelerato (uno degli aspetti visivamente più affascinanti del
film). Perché? A un certo punto de Lo
zoo di Venere
un personaggio enuncia un concetto chiave: la decomposizione inizia
con la perdita della simmetria bilaterale del corpo.
È
la natura che destruttura l'ordine del corpo per ristrutturarlo nella
sua lenta, fangosa
evoluzione (lumeggiata nel documentario della BBC di cui vediamo
alcune scene). I gemelli vi si ribellano. Il loro scopo è di trovare
un senso alla morte:
inserire il dolore personale (le mogli) in una spiegazione
complessiva
(5). Ma il loro lavoro è velleitario (e illegale), è il mero cedere
a un fascino morboso. Dopo aver spiato il disfacimento della zebra
(vertice dell'animalità), restano loro solo gli esseri umani. Non
possono ottenere il corpo di Alba? Si uccidono filmandosi.
E
in questo sconvolto studio della simmetria, come si situa il sesso?
Ah, ma anche il sesso è scomposto e asimmetrico.
Nel sesso i corpi si torcono, si abbandonano, ne colano umori e
succhi: Greenaway assimila il sesso alla decomposizione (6). Ecco
apparire il secondo animale-simbolo del film: la lumaca, animale
primitivo, ermafrodita
e connesso al marciume. Le lumache invadono le apparecchiature
predisposte dai gemelli, coprono i cadaveri, fermano le macchine,
trionfano sullo schermo.
Così
tutte le astrazioni ricompositive degli esseri umani falòliscono
(7): le loro istanze ordinatrici (scienza o racconto) sono perdenti.
Non a caso la mdp di Greenaway ha delle fissità che la assimilano
alla mdp bloccata dei gemelli nelle riprese di decomposizione. Il
vincitore è la natura
che, come sappiamo, attraverso la decomposizione opera.
Probabilmente
il terrore della decomposizione è la forma che meglio assume la
paura della morte nell'uomo contemporaneo, figlio di una cultura
della centralità del corpo. Ecco allora apparirci chiara la matrice
culturale del film. Lo
zoo di Venere
è una grande meditazione barocca sulla morte, sulla sua necessità
entro lo schema delle cose, sulla dolorosa inanità umana a farsene
carico, a darsene un senso. Una grande meditazione barocca, più
culterana che concettista, più vicina a Gongora che a Quevedo: e in
questo splendido film, se non fosse per la vivacità del suo humour
noir,
il grande poeta di Cordoba avrebbe visto un degno complemento ai suoi
sonetti funebri (“Malinconica guglia, ma lucente”).
(Nickelodeon,
1986)
(1)
Ma ricordiamo anche nell'inizio la scritta ZOO diabolicamente
luminosa nel cielo notturno, vero ideogramma di Alba e dei gemelli, e
anche qui c'è una contrapposizione e un bilanciamento.
(2)
La commozione per essere seria ha sempre bisogno di sposarsi alla
crudeltà: o si cade nel pietismo (vedi l'immondo Storia
d'amore
di Maselli).
(3)
Ci troviamo nell'ambito della scuola pitagorica. “Tutte le cose che
si conoscono hanno numero; senza questo nulla sarebbe possibile
pensare né conoscere”, dice un suo esponente, Filolao di Crotone.
(4)
Ha anche un Igor: la sua complice Caterina Bolnes, che in sala
operatoria pettina in acconciatura vermeeriana Alba anestetizzata,
appare col cappello rosso di un altro quadro di Vermeer, fa ritornare
un simbolo archetipo del film nelle sue mutandine zebrate... Caterina
Bolnes era il nome della moglie di Vermeer.
E
per inciso: quando l'attrice Guusje Van Tilborgh appare sullo schermo
nuda con il cappello rosso fa balenare una bellezza lievemente
autunnale
che spesso dimentichiamo, la bellezza del corpo maturo.
(5)
Uno dei gemelli all'inizio del film: “Non sopporto l'idea che mia
moglie vada marcia”. Alba, più tardi, gli replica: “Hai una
visione personale dell'evoluzione!”.
(6)
Forse per divina casualità la mela che marcisce nel primo filmetto
dei gemelli realizza per un attimo la parodia di una vagina e di un
ano?
(7)
In The
Draughtsman's Contract
(I
misteri del giardino di Compton House)
il pittore – abituato a razionalizzare geometricamente lo spazio –
altrettanto
velleitariamente
voleva razionalizzare i rapporti sociali mediante un contract.
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